Francesco Vezzoli. Vita Dulcis Paura e desiderio nell’impero romano. Con intervista.

Vita Dulcis Paura e desiderio nell’impero romano al Palazzo delle Esposizioni di Roma è una mostra che si ripromette di condurre la Capitale al centro della scena contemporanea internazionale; sono queste le ottime intenzioni di Marco Delogu, presidente dell’Azienda Speciale Palaexpo, che ha voluto proporre a Francesco Vezzoli di avvicinare le proprie opere ad autentici reperti archeologici, alcuni noti ed esposti nel Museo Nazionale Romano, altri custoditi da decenni nei suoi depositi, quindi pressoché inediti.

Per il curatore della mostra, Stèphane Verger, direttore del museo romano, è stato come presentare a un bambino goloso una vetrina ricolma di pasticcini invitanti: le porte delle sedi del museo e dei depositi si sono spalancate e l’artista, anche nelle vesti di co-curatore, ha potuto individuare le opere e i reperti che meglio avrebbero dialogato con i suoi lavori.

Terza protagonista della mostra è la settima arte, con una selezione accurata di pellicole ispirate all’antico, a partire dalla celebre e più datata Cabiria, del 1914, consegnata da Giovanni Pastrone alla storia del cinema, fino all’autografo Trailer for a remake of Gore Vidal’s Caligula, ispirato al film di Tinto Brass del 1979 e presentato da Vezzoli nel 2005 alla 51esima Biennale d’Arte di Venezia.

Verrebbe subito da sottolineare, e con una certa risolutezza, che in queste operazioni l’allestimento sia davvero tutto, il rischio dietro l’angolo è quello di un gratuito giustapporsi di oggetti distanti nel tempo e altrettanto lontani dalla capacità di comprensione – e godimento – da parte del pubblico.

Viceversa, pur nei soli cinque mesi impiegati per la realizzazione dell’intero progetto, il risultato può considerarsi -è il parere di chi scrive- estremamente apprezzabile.

Artefice meticoloso di quella che possiamo considerare una scenografia, o meglio, una mise en scène, è l’artista Filippo Bisagni, che ha saputo mettere in relazione opere contemporanee, sculture antiche, spezzoni cinematografici, non necessariamente in diretta simmetria, talvolta con divertenti confronti dialettici.

Il tutto illuminato con sapienza (e lodevole risparmio energetico) dal pluripremiato direttore della fotografia Luca Bigazzi.

Interessante la suddivisione delle sale per aree tematiche: dal culto per la guerra all’amore di Adriano per Antinoo, dalla rappresentazione del femminile al tema della morte, dall’esaltazione dell’erotismo al ritratto del potere, per finire con la sala denominata Mixtura dementiae, dove vediamo esplodere il gioco dell’artista-curatore in dialogo serrato con una consistente raccolta di reperti provenienti dal Museo Nazionale Romano.

Stèphane Verger non ha proposto a Vezzoli solo opere d’arte, ma anche oggetti privi di caratteristiche esclusivamente estetiche, che hanno tuttavia il pregio di saper raccontare la vita di tutti i giorni nella Roma antica, come le decine di iscrizioni funerarie esposte nella sala Certa omnibus, (passeggiata deliziosa per chi ama l’epigrafia) o come nella sala dedicata alle donne romane, Dux Femina Facti, con reperti votivi in terracotta riproducenti gli organi genitali femminili (IV-II secolo a.C.) a dimostrazione, in entrambi i casi, di quanto la vita quotidiana dell’Urbe fosse permeata di atti rituali.

Ma una piccola annotazione sull’allestimento tuttavia ci sarebbe: pur apprezzando la scelta di Bisagni di disporre nella rotonda centrale un alto diaframma longitudinale in asse all’ingresso, svincolandosi così dalla planimetria circolare, la sequenza di light-box posizionata su questa sorta di plinto, con statue classiche sormontate da volti di celebrità femminili (un lavoro del 2012) si rivela un po’ fuori tempo, con un azzardo, la si potrebbe definire più vintage che contemporanea.

Una piccola sfumatura dissonante nella percezione complessiva della mostra, del resto Francesco Vezzoli è un maestro nel saper dar vita, non sempre volontariamente, a piccole e grandi provocazioni e a conseguenti dibattiti più o meno vivaci. In aggiunta, il suo vissuto, denso di esperienze preziose nel periodo trascorso fuori dall’Italia, tra Londra, New York e Hollywood, gli ha lasciato un certo disincanto nei confronti delle logiche del sistema dell’arte, sentiero lungo il quale è impossibile non avventurarsi quando si registra la crescita esponenziale della propria notorietà.

Vezzoli è stato saggio, ha saputo impadronirsi dei meccanismi del mercato e delle sue regole, senza farsene fagocitare, ma, pur in un ambito simil-imprenditoriale, è riuscito ad escogitare una formula agile, come il suo team, creando una sorta di opificio mobile, senza soluzioni stabili, che sarebbero state ingombranti e sicuramente dispendiose anche in termini creativi.

In questo modo ha potuto acquisire un coraggio maturo, consapevole, che lo ha aiutato a scegliere di volta in volta sul posto protagonisti e collaboratori per le sue nuove opere, ma anche a districarsi tra le innumerevoli tentazioni iconografiche con le quali, nel caso di questa mostra, è stato invitato a interagire.

Vero è che, come ci ha detto in una breve intervista, non ha mai avuto timori reverenziali nel venire a contatto con gli oggetti antichi, Vezzoli li ha infatti rispettosamente maneggiati con la stessa attenzione che ha avuto nel rapportarsi ad icone cinematografiche del calibro di Valentina Cortese o Cate Blanchett.

Questo approccio privo di soggezione, con oggetti o persone circondati da un’aura quasi sacra, lo ha condotto a ritagliarsi un ruolo di mediatore con il pubblico, un “attivatore di emozioni” ludiche e non ingessate, per risolvere quel senso di estraneità che ha il mondo contemporaneo nei confronti dell’antichità; perfino quando quest’ultima viene sfruttata come mero fondale in allestimenti poco attenti nei confronti dei rispettivi linguaggi, cosa che negli ultimi anni si registra malauguratamente in modo ripetuto.

Uscendo dal Palazzo delle Esposizioni, potrà sembrare difficile capire se in Vita Dulcis sia stata l’archeologia a servirsi dell’arte contemporanea per far conoscere meglio il proprio ricchissimo e seminascosto patrimonio, o se sia stato invece Vezzoli ad affidarsi al mondo antico e al suo lessico, che ha dato prova di mantenere intatta la sua universalità nonostante il trascorrere dei secoli. Visitatori e visitatrici sono più che mai invitati a dire la propria.

Per finire, e per aggiungere ulteriore materiale di riflessione sulla mostra, (visitabile fino al prossimo 27 agosto) proponiamo le risposte dell’artista a tre nostre piccole curiosità:

Francesco, ti sei trovato subito a tuo agio a toccare fisicamente le opere d’arte antica o hai provato un minimo timore reverenziale?

“Non ho provato alcun timore reverenziale e spero di comunicare questa mia assenza di timore anche agli spettatori, ribadisco anche che non chiedo la complicità o l’approvazione dei grandi studiosi e degli archeologi.

Ho creato il mio percorso d’artista, come tale, porto avanti i miei gesti e spero che servano da attivatori di un dibattito su questo patrimonio immenso a volte dimenticato, a volte nascosto, a volte, forse, non ancora capito e apprezzato.

Capolavori come il Pugilatore o l’Ermafrodito (opere custodite nella sede del Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo, una delle quali, l’Ermafrodito dormiente, del II secolo d.C., è presente in mostra ndr) meriterebbero le code come la Gioconda. Mi pongo non come artista, ma solo come attivatore di curiosità.”

Come ti rapporti rispetto alle azioni di Ultima Generazione, hai qualcosa da dire in merito?

“È curioso, forse io sarò un micro-nostalgico, ma ricordo i tempi nei quali venivano lanciate le torte: a chi indossava le pellicce, ma anche a Rupert Murdoch.

Preferisco la torta sul personaggio che ti sta antipatico, era un’arma in fondo trasversale che finiva su tutti i media del mondo; viceversa, deturpare un Botticelli perché si è contro i potenti della terra che non capiscono le criticità legate alle tematiche ecologiche, non so se ottenga l’effetto desiderato.

Anche fare politica penso sia una scienza precisa, le vie attraverso le quali si mettono in atto provocazioni e rivendicazioni devono essere mirate, chirurgiche, non devono lasciare il fianco scoperto ad eventuali attacchi.

La torta garantiva lo stesso effetto e colpiva con precisione il nemico, quello che tu ritieni responsabile, altrimenti corri il rischio che il pubblico, che non può essere sempre preparato su questi temi, non capisca quale sia il tuo reale bersaglio, forse non ti stai spiegando sufficientemente bene. Io rimetterei in pista la torta.”

Il tuo approccio amorevole con l’antico si unisce all’intento di lasciare in esso una traccia che non sarà tuttavia indelebile…

“Certo, la traccia scolorirà, non ne faccio un problema, le mie poi sono colorazioni del tutto arbitrarie per le quali mi prendo ogni responsabilità. La verità è che al mondo ci sono decine di migliaia di reperti di questo tipo.

Io li acquisisco, li manipolo per riportare l’attenzione su questo dibattito, sulla presenza del colore nella scultura antica, su cosa vogliamo fare di questo enorme patrimonio… Compro una testa che nessuno vuole comprare o che probabilmente potrebbe finire poggiata su una mensola in mezzo ai libri, senza che qualcuno se ne prenda cura, mentre io la uso come strumento.

Spero si capisca che quando si parla di arte contemporanea ci può essere di mezzo l’ideologia e anche un posizionamento specifico, politico e partitico, ma quando si parla di protezione del patrimonio mobile, secondo me le eccellenze sono precise, le università quelle sono, i musei quelli sono, si può essere tranquillamente bipartisan nella difesa di questi valori.”

Info mostra Vita Dulcis Paura e desiderio nell’impero romano

  • A cura di Francesco Vezzoli e Stéphane Verger
  • 22 aprile – 27 agosto 2023
  • Palazzo delle Esposizioni, via Nazionale 194, Roma
  • Orari: dal martedì alla domenica dalle 10.00 alle 20.00, lunedì chiuso. Ingresso consentito fino a un’ora prima della chiusura
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Maria Arcidiacono Archeologa e storica dell'arte, collabora con quotidiani e riviste. Attualmente si occupa, presso una casa editrice, di un progetto editoriale riguardante il patrimonio del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell'Interno.

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