Le otto montagne. il rapporto tra Umanità e Natura ma anche di più.

Nel film Le otto montagne di Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch c’è molto di più che un racconto su un cogente rapporto tra l’Umanità e la Natura, che anima umana non ha, ma rimane pur sempre una parte viva del nostro mondo, pianeta terra. Su questo rapporto conflittuale ed indissolubile tra Uomo e Natura è costruita una delle tematiche più poliedriche ed inesplicabili del pensiero e dell’agire umano.

Le cime delle montagne hanno sempre attirato ed affascinato l’uomo, da quel terricolo dell’età del rame ritrovato sulle montagne di Otzal, preceduto e seguito da altri ominidi, fino alla ‘conquista’ (una grande illusione) delle più alte vette del mondo, fino ad arrivare alle vacanze organizzate sull’Himalaya.

Ma il film Le otto montagne (tratto dal libro omonimo di Paolo Cognetti e prodotto da Italia, Belgio, Francia), che ha già vinto premi prestigiosi come Il premio della giuria a Cannes e quattro premi importanti ai David di Donatello, va oltre quella ossessione dell’uomo di raggiungere vette vicino al cielo, e riesce a penetrare invece le profondità nascoste e psicanalitiche dei rapporti-scontri tra generazioni ed ancor di più i labili confini delle grandi amicizie tra ‘uomini’.

Labili, nel senso che malgrado gli slanci di solidarietà tra due amici per la vita e per ‘la pelle’, con una casa anche costruita in comune, le scelte individuali, condizionate da una società diventata più severa delle montagne stesse, porteranno a due vite completamente diverse e lontane.

Un film quindi molto intimista in cui il pensiero e le azioni sono spesso in contraddizione, come riflesso di obblighi, presi a monte delle giuste riflessioni delle persone stesse.

Bruno (Alessandro Borghi) e Pietro (Luca Marinelli) sono due ragazzini di 11 anni che si incontrano in montagna. Il primo di origine montanara (Val d’Aosta), il secondo in vacanza per la grande passione del padre, ingegnere impiegato a Torino, per le scalate. Ma già i rapporti di questi due ragazzi con i rispettivi padri non si rivelano idilliaci.

Due menti che si incontrano, con acquisiti valori diversi, quelli della semplicità, della solidarietà, dell’aria aperta, della libertà dagli obblighi il primo, quelli della vita sociale, della cultura, del rispetto delle regole il secondo.

Bruno, che vive in comunione con la natura (in alpeggio con gli zii) è costretto a lasciare i suoi luoghi per andare a lavorare con il padre in città, mentre Pietro accusa conflitti insanabili con il padre, rifiutandosi di continuare escursioni, ed appena può esce da casa, rimanendo in contatto solo con la madre.

I due, diventati grandi, debbono fare i conti con un passato di rapporti sbagliati con i rispettivi genitori. Poi vivono insieme (e forse è la parte più bella del film) un’estate, in una piena comprensione fra sé stessi e la natura, ricostruendo una baita diruta in alta quota, lasciata dal padre ormai morto di Pietro. Una casa sognata, lontana dal mondo, più amata da Bruno che da Pietro, che vuole trovare la sua strada lungo le strade del mondo.

I due percorsi di Bruno e di Pietro si divaricano in una confusa indeterminatezza dei loro ruoli nei confronti della montagna. Bruno che è sempre sembrato più forte, concreto e determinato preleva l’alpeggio degli zii, sposa Lara, un’amica di Pietro, di Torino, ha con lei una figlia ed intraprende una nuova attività di produzione di formaggi tradizionali. Pietro invece è attratto dal Nepal con escursioni sulle favolose montagne dell’Himalaya, ed ancora alla ricerca di una sua trasformazione, inizia un rapporto con un’insegnante locale.

Quando viene a sapere che Bruno, non avendo la stoffa dell’imprenditore ha dovuto chiudere l’alpeggio e Lara lo ha lasciato per tornare dalla madre, torna in Italia per aiutare in ogni modo l’amico. E lo trova in una profonda crisi esistenziale. Ha chiesto di poter vivere solo ed isolato nella loro baita e si rende conto, autocommiserandosi, che è capace di vivere solo in montagna ed ha abbandonato moglie e figlia come aveva fatto suo padre. La stessa Lara confessa a Pietro che non si può aiutare chi non vuole essere aiutato, e che lei e la figlia sono per Bruno meno importanti della sua montagna.

Quante verità non solo razionali, ma anche coinvolgenti vengono fuori dal film! Una vita fatta di pace e tranquillità può far apprezzare di più la bellezza della natura e la semplicità della vita, ma a quale prezzo! Ogni ambiente, sia di vita solitaria, sia di vita sociale formano i caratteri, con la presenza del ‘caso’ sempre pronto a determinare quello che succede ed a suggerire nostalgicamente quello che poteva succedere.

A questo punto il senso del tragico prende il sopravvento. Bruno è irremovibile. Nulla è più gestibile. Pietro, dopo averlo di nuovo sostenuto, mentre l’altro si inselvatichisce e si chiude in sé stesso, riparte per il lontano Nepal, dove forse creerà una famiglia. La storia nepalese, emblematica del titolo, che narra delle otto montagne con la più alta nel mezzo ora diventa più chiara. In quella montagna centrale, che per trasposizione è quella in cui Bruno ha deciso di farsi una casa, vivere e finire è anche quella in cui Pietro non tornerà più, ma gli toccherà vagare attraverso le altre, che non saranno mai quella, in una continua sensazione di solitudine e disperazione.

Un film molto intimista, pieno di idee e scorci di natura, realizzate splendidamente da una grande fotografia (Ruben Impens) in cui il pensiero e l’azione, la riflessione e la spontaneità dei due protagonisti sono spesso in contraddizione, come è giusto siano, frutto delle tante debolezze umane. Ed infine non è vero che la montagna non può fare del male. Tra l’Uomo e la Natura c’è tanta reciprocità, buona o cattiva, bisogna sempre vederle entrambe.

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Pino Moroni ha studiato e vissuto a Roma dove ha partecipato ai fermenti culturali del secolo scorso. Laureato in Giurisprudenza e giornalista pubblicista dal 1976, negli anni ’70/80 è stato collaboratore dei giornali: “Il Messaggero”, “Il Corriere dello Sport”, “Momento Sera”, “Tuscia”, “Corriere di Viterbo”. Ha vissuto e lavorato negli Stati Uniti. Dal 1990 è stato collaboratore di varie Agenzie Stampa, tra cui “Dire”, “Vespina Edizioni”,e “Mediapress2001”. E’ collaboratore dei siti Web: “Cinebazar”, “Forumcinema” e“Centro Sperimentale di Cinematografia”.

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