Di petrolio e poesia. Mattia Morretta illumina l’eredità di Pasolini

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Il saggio dello scrittore e psichiatra Mattia Morretta Di petrolio e poesia. L’eredità di Pier Paolo Pasolini per le edizioni Croce offre un approccio inedito e imponente sull’opera dello scrittore. Equilibrista della parola, Morretta non è nuovo a queste escursioni impossibili nelle profondità inesplorate della natura umana e, a differenza degli avventurieri dell’azzardo, sa tornare a galla portando con sé il bottino di missioni dalle quali nessuno potrebbe ritornare illeso.

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C’è nella sua scrittura una caratteristica di grande fascinazione. Come nei migliori pamphlet filosofici la parola deve sfoggiare il numero massimo di significati e così la cifra stilistica dell’autore, aristocratica ma composta, riesce ad esprimere con naturalezza tutti e novantanove i nomi di Dio, parafrasando i sacri testi coranici.

L’eredità di Pasolini, il manifesto filosofico e intellettuale si sostanzia nella provocazione candida della personalità duale dello scrittore, capace di navigare nella pozza petrolifera densa di incubi pur mantenendo il rapporto con un cuore elegiaco che sublima le ossessioni a sfondo sessuale.

Il “petrolio” a cui fa riferimento Morretta è il titolo dell’ultimo lavoro letterario di Pasolini, un repertorio frammentario di allegorie umane incompiute ma sufficienti a far vacillare l’asse della coscienza, immobilizzata dagli strumenti di contenimento psichici e sociali.

Morretta compie questa operazione con metodo psicologico, restituendo una narrazione impreziosita da frammenti letterari dello stesso protagonista e di altri autori che condividono la stessa complessità nelle relazioni.

È utile indagare il significato semantico di tradizione e di civiltà, in questo determinato contesto. Pasolini è rappresentato come l’agnello sacrificale, vittima di una veggenza che lo condanna alla persecuzione moralista e lo consacra poi, alla luce di una successiva lettura politica neoprogressista; nella vulgata comune, l’opposizione di Pasolini si rivolge soprattutto al declino della civiltà dovuto all’opera occulta del potere e delle sovrastutture sociali.

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Il presunto realismo che Pasolini imprime invece ai suoi personaggi si pone in netto contrasto con la comune visione erotica che viene intesa come classicheggiante, mitica, calata in un contesto di contemporaneità temporale ma non antropologica.

Nelle sue opere appare infatti una visione tutt’altro che realistica (ancor meno neorealistica) del mondo rappresentato, bensì permeata di simbolismo, di una sorta di “sacralità” primitiva dei personaggi stessi. Alla colpevole, degenerata civiltà borghese Pasolini contrappone una “santità” degli strati più bassi del popolo, innocenti, appunto, perché ancora non contaminati dai valori borghesi.

Non è contro la “tradizione”, quindi, ma comprende e naviga proprio quel mondo epico e pagano dove l’eros non è sublimato ma rimane materia incandescente.

D’altra parte nella Grecia classica, ad esempio, l’orientamento sessuale non era concepito come un identificatore sociale che era definito invece dal ruolo rivestito nell’atto sessuale. Questa polarizzazione tra attivo e passivo entrava in corrispondenza con i ruoli sociali dominanti e sottomessi e anche con le pratiche pederastiche come emanazione stessa del dominio.

Il contenuto allegorico della produzione pasoliniana non è considerabile in maniera semplicistica come un’allegoria del potere (vedi anche Salò) ma come un tentativo di esorcizzare l’ossessione sessuale e riconciliare le parti: la barbarie ancestrale e il prodotto poetico della sublimazione degli istinti.

La seconda riflessione riguarda, maliziosamente, la datazione antropologica del concetto di civiltà. Se l’evoluzione della specie umana fosse progressiva e costante nella sfera emotiva così come nella neurogenesi probabilmente sarebbe scomparsa anche la sessualità. Il tentativo irrisolto e maniacale che Pasolini uomo rincorre è quello di contemplare l’abisso nero della carnalità che non potrà mai allinearsi alle strutture razionali, pena l’estinzione della specie; riuscirà invece nella trasmutazione alchemica proprio attraverso la poesia.

La chiaroveggenza dell’uomo Pasolini sta piuttosto nella comprensione del dualismo contrapposto natura-cultura e dall’esercizio dell’atto politico, audace nel definire i limiti della dialettica tra le parti.

Grazie al lavoro di Mattia Morretta è finalmente possibile leggere l’esistenza e le profonde contraddizioni di Pasolini attraverso la dimensione scabrosa della sessualità e la sua trasfigurazione in linguaggio, consentendo alla capacità critica di non subire censure o letture edulcorate da narrazioni imparziali.

L’attenzione al patrimonio poetico dello scrittore è relativamente recente perchè quello che rimarrà immediatamente impresso dopo la sua morte è la sua attività giornalistica, di narratore, la politica. Ma Moravia aveva riassunto la tragedia con una frase: «Hanno ucciso un poeta» ed è proprio questo che rendeva Pasolini un uomo fuori dalla massa: il fatto della comprensione lucida, del tentativo instancabile di conciliare la carnalità e il sacro, di non restare prigioniero dei ruoli.

Qual è il prodotto autentico, scevro dalle santificazioni, non inquinato dalla portata intellettuale, che non risponde alle provocazioni del potere a volte temuto, a volte sottilmente evocato? È la Poesia, l’atto più rivoluzionario che l’intellettuale consuma nella contemplazione di un’umanità imperfetta ma necessaria, catarsi per eccellenza di ogni pulsione infernale e angoscia profonda.

Scrive Mattia Morretta nel suo libro, parlando del Pasolini poeta:

«...Al contrario è quando dice poco o il minimo, si trattiene e contiene, inciampa e va a capo, limitandosi a indicare con il dito la luna e a evocare le vibrazioni impalpabili, che Pasolini acquista leggerezza e sale come un palloncino lasciato volar via dal bimbo.

La discordia incessante si tramuta in armonia su carta velina, le pecche e le macchie si trasformano in sfumature d’inchiostro, gli atti impuri e la fornicazione frasi gettate al vento, le angosce un lessico familiare, la sofferenza un alfabeto decifrabile, la coscienza un aquilone trasportato dalla brezza della fantasia…»

“Di petrolio e poesia” è una lettura importante per la comprensione di comportamenti e dinamiche evitando approcci semplicistici e banalizzanti: il riscatto del lascito poetico che sospende il giudizio sull’uomo.

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Antonella A. Rizzo è nata a Roma il 17 gennaio 1967. E' poeta, scrittrice, giornalista, performer. Ha pubblicato: Il sonno di Salomè - Edizioni Tracce 2012. Confessioni di una giovane eretica - Edizioni Lepisma 2013, Cleopatra. Divina Donna d'Inferno - Fusibilia libri 2014, Iratae pièce teatrale con Maria Carla Trapani - Fusibilia libri 2015, Plethora – Nuove Edizioni Aldine 2016, A dimora le rose, Edizioni Croce 2018, A tutti quelli che non sanno che esiste il vortice – Lavinia Dickinson edizioni 2019.

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