#RoFF18. Dall’alto di una fredda torre

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“Vuoi più bene a mamma o papà?” è la domanda terribile e assolutamente anti-educativa che generazioni di bambini e bambine si sono sentiti rivolgere. Francesco Frangipane, nella sua opera prima “Dall’alto di una fredda torre”, la rivolge – seppur in altri termini – a due giovani adulti ancora profondamente figli che si troveranno loro malgrado a fare i conti con una decisione ben più grande di loro e dai risvolti drammatici.

Due figli che improvvisamente si ritrovano a dover essere genitori dei loro genitori al punto di dover e poter decidere della loro stessa esistenza in vita.

Il film, prodotto da Lucky Red in collaborazione con Rai Cinema e Sky Cinema, dovrebbe arrivare nelle sale già in primavera e in questi giorni è stato insignito del premio per la miglior opera prima italiana dalla associazione Amici di Luciano Sovena  “per la forza con la quale ha saputo mettere in scena al tempo stesso un dramma familiare e un dilemma morale e per l’intelligenza con la quale ha valorizzato tutti gli attori che hanno partecipato al film”.

Presentato nella sezione Grand Public alla diciottesima edizione della Festa del Cinema di Roma, il film – che è una trasposizione cinematografica di un’opera teatrale – nasce dalla fortunata collaborazione in ambito teatrale tra il regista e lo sceneggiatore Filippo Gili con cui firma la Trilogia di mezzanotte, di cui Dall’alto di una fredda torre è il secondo capitolo (preceduto da Prima di andar via e seguito da L’ora accanto).

«Il passaggio dal teatro al cinema – spiega Frangipane in un’intervista concessa a Rai Cinema sul red carpet del festival capitolino – non è stato così faticoso anche perché parte del cast aveva fatto anche lo spettacolo. Insieme per anni abbiamo lavorato su questo tipo di drammaturgie scritte da Filippo Gili, è stato più semplice di quello che mi aspettassi».

Nel cast, rispetto alla messa in scena teatrale, un’importante conferma: Vanessa Scalera nei panni di Elena. Sul grande schermo, l’attrice pugliese viene affiancata da Edoardo Pesce (Antonio), Giorgio Colangeli e Anna Bonaiuto (rispettivamente Giovanni e Michela, padre e madre dei due), Elena Radonicich e Massimiliano Benvenuto (nei panni dei due medici).

Al centro della scena c’è una scelta complicata, inaspettata e terribile. La notizia di una malattia rara e potenzialmente letale che ha colpito (caso altrettanto raro) entrambi i genitori irrompe nella vita di Antonio ed Elena e dell’intera famiglia.

L’unica possibilità di salvezza sta nel trapianto di midollo osseo ma, da alcuni accertamenti, solo uno dei due gemelli può sottoporsi all’espianto, quindi per una questione di tempistiche, solo uno dei due genitori potrà essere salvato.

La terribile scelta spetta ai due figli come il compito di informare i genitori della patologia e della possibilità di cura. Una scelta drammatica che li obbligherà a fare i conti con il loro passato e a portare a galla i più feroci istinti.

I due protagonisti, e di riflesso il pubblico che non fa fatica ad immedesimarsi, tocca fare i conti con un dilemma terribile e la responsabilità del potere di segnare per sempre il destino altrui, arrivando all’estremo di sancirne – vestendo, pur senza volerlo, i panni del fato – la vita o la morte, con tutta la questione morale e sociale che ne consegue. Scelta, ovviamente, ancora più complicata quando si tratta di un affetto come un genitore.

“Dall’alto di una fredda torre” si presenta come il racconto di sei solitudini. Il nucleo familiare, sebbene molto saldo, soprattutto nel fortissimo legame tra i due gemelli, si va pian piano sgretolando nel tormento della decisione che riporta a galla ricordi, esperienze e segreti.

Ognuno è solo nella sua fragilità, nel suo sentirsi piccolo di fronte ad una scelta tanto enorme e oscena che scomoda gli archetipi della tragedia greca e della psicanalisi, da Elettra ad Edipo.

Ognuno – compresi i genitori, completamente all’oscuro della situazione – compie un viaggio nel proprio mondo interiore andando a toccare la propria essenza primordiale fatta anche dai mostri e nodi irrisolti.

Il tema della scelta è ricorrente nella produzione di Gili che anche in altre opere – Ovvi destini, per citarne soltanto una –  mette i suoi personaggi in una situazione estrema, quasi ‘al limite’. Se Elena – sentendosi anche investita maggiormente dalla responsabilità – reagisce più di pancia arrivando anche allo scontro con la madre prima e con il fratello poi, Antonio è più passivo e sembra quasi subire le decisioni altrui.

Stessa dualità che ritroviamo anche nei due genitori, a una Michela più estroversa e propositiva si accompagna un Giovanni che gioca di rimessa ma che sarà silenziosamente in grado di leggere nella tensione dei due figli qualcosa che non va e ad nutrire qualche sospetto.

Un impianto, quello teatrale, che si sente e si percepisce nell’intera pellicola sia per la struttura e nei ritmi narrativi sia nel numero ristretto di personaggi ma che non rappresenta in alcun modo un limite per la godibilità del film.

Rispetto alla versione scenica, che – per ovvie ragioni logistiche – concentra la scena ai soli interni domestici, lo sguardo si apre all’esterno sia nei luoghi con le strade di Gubbio valorizzate da un’ottima fotografia, oltre che dalle musiche di Roberto Angelini, sia nelle vite di Elena e Antonio che vediamo alle prese con le proprie passioni e occupazioni lavorative: insegnante di nuoto ai bambini lei (ardua prova d’attrice per Vanessa Scalera che ha in più interviste raccontato di non essere particolarmente portata per il nuoto e che in questo film si è cimentata anche con una prova subacquea in piscina) e proprietario di una tenuta con ulivi e cavalli lui.

Proprio il più amato dei cavalli, Dario, si darà alla fuga improvvisamente e comincerà una fuga selvaggia e inarrestabile nelle zone circostanti in cui i due fratelli si avventureranno per le ricerche. Metafora, forse, del tempo che passa ineluttabile e che attende spietato una loro decisione.

Vincente la scelta dei due protagonisti, come quella degli interpreti degli altri personaggi, che danno spessore psicologico ai loro personaggi restituendone tutta la fragilità e il dramma interiore.

Il finale aperto si presta a molteplici interpretazioni e concede allo spettatore lo spazio per provare a dare una propria risposta.
«Il film pone delle domande, non dà delle risposte, non penso possano essercene di giuste a interrogativi del genere. Quello che ho cercato di fare è mettere il pubblico nella stessa condizione di questi due fratelli», spiega il regista.
«Racconta – aggiunge –  anche un percorso di lavoro di gruppo, con l’autore di questa sceneggiatura e con attori con cui ho avuto la fortuna spesso di lavorare in teatro, che ci ha portato a questo film.
E la volontà è quella di raccontare una storia che non entra nell’idea del dramma ma proprio in quella della tragedia e del tragico, quindi di andare a toccare degli elementi tipici della tragedia greca che ci permettono anche di raccontare una quotidianità divertente di questa famiglia per poi romperla con una notizia sconvolgente sulla quale bisogna trovare delle risposte.

Risposte che non si conoscono perché non si ha coscienza di quella domanda che fino a quel momento era sconosciuta. Al centro del film non c’è la malattia dei genitori ma la scelta. Come si fa a scegliere? Ci sono parametri legati all’età e alla salute o bisogna andare più a fondo e arrivare a chiedersi a chi si vuole più bene? Bisogna sporcarsi le mani e la coscienza e andare fino in fondo».

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Classe 1987. Romana di nascita, siciliana d’origine e napoletana d’adozione. Giornalista professionista, comunicatrice e redattrice freelance. Da sempre appassionata di (inter)culture, musica, web, lingue, linguaggi e parole. Dopo gli studi classici si laurea in Lingue e comunicazione internazionale e in seguito, presso l’università “La Sapienza” di Roma, si specializza in giornalismo laureandosi con una tesi d’inchiesta sul giornalismo in terra di camorra. Ha poi conseguito un master in Giornalismo (biennio 2017 – 2019) presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. Giornalista per caso e per passione, ufficio stampa e social media manager per festival, eventi ed associazioni in particolare in ambito culturale e teatrale oltre che per Europride 2011, Trame – Festival dei libri sulle mafie e per Save the Children Italia (2022). Collabora con diverse testate occupandosi in particolare di tematiche sociali, culturali e politiche (dalle tematiche di genere all’antimafia sociale passando per l’immigrazione, il mondo Lgbtqia+ e quello dei diritti civili). Vincitrice della borsa di studio del premio “Giancarlo Siani” per l’anno 2019.
Fotografa, spesso e (molto) volentieri.

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