Festival della Letteratura #4. L’isola dei loti nel Lago Superiore. Non tutte le storie sono libri.

img-20150708-wa0014Il Mincio a Mantova forma tre laghi, la cui origine è artificiale e si deve all’ingegnere Alberto Pitentino che nel 1190, otto secoli fa, ne costruì gli sbarramenti.

Il più esteso di essi è il Lago Superiore sulla cui riva si affaccia il B&B in cui alloggio ogni volta  che vengo a Mantova. La proprietaria, la signora Emilia, lo ha realizzato adattando la casa di famiglia. Lei è nata qui. I suoi genitori erano entrambi pescatori nel Lago Superiore ed è lei, insegnante in pensione, che mi ha raccontato la storia della grande isola dei loti che copre il lago davanti alla casa.

Se venite qui in inverno vedete la superficie dell’acqua stendersi libera davanti a voi. In primavera, a marzo, pian piano ricrescono le grandi foglie e presto ne ricoprono gran parte. Da lontano non si riesce a valutarne le dimensioni. La signora Emilia mi spiega che in dialetto vengono chiamate cappucci perché i pescatori erano soliti raccoglierne una ed usarla come cappuccio e mantello in caso di pioggia.
Ma i loti, ovviamente, non sono originari di qui. Nel 1921 una giovane botanica, Anna Maria Pellegreffi, ne trapiantò i primi rizomi provenienti dall’Asia.
Il Nelumbus nucifera trovò un ambiente molto favorevole e colonizzò il lago.

Col sopraggiungere dell’estate, a metà giugno, compaiono i grossi boccioli verdastri che si aprono nei fiori rosa dal diametro di circa trenta centimetri. Ogni fiore dura  tre giorni mostrando un cuore giallo e diventando sempre più chiaro per poi affondare delicatamente.
La raccolta è vietata – ci troviamo nella grande riserva naturale delle Valli del Mincio – ma è permessa, a certe condizioni, a pochi autorizzati.
Mi racconta Roberto, il marito della signora Emilia, che è tra coloro a cui è consentita, che per compierla ci si avventura seminudi tra le piante sospingendo la stretta canoa con un unico remo, facendo presa sulle piante stesse. È facile , dice, sbagliarsi e rovesciarsi e garantito uscire comunque baganti fradici dal percorso tra le foglie.
I boccioli vanno raccolti chiusi e somigliano a dei grossi carciofi. Li si apre poi delicatamente con le dita, un petalo per volta, dopo essersi bagnati le mani. Ilfiore, spiega Roberto, è delicatissimo e conserverebbe altrimenti l’impronta scura di ogni polpastrello.
A fine luglio rimangono solo le foglie che con l’autunno ingialliscono e si diradano fino a sparire. L’inverno porta a riva i calici lignei che danno la definizione di nucifera a questo loto. Sono larghi oltre dieci centimetri e risuonano, scuotendoli, per la presenza al loro interno dei semi. Spesso li vediamo nelle composizioni  dei fiorai e non immaginiamo che si tratta del fondo dei grandi fiori rosa del loto.

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Cecilia Deni, classe 57, sarda di nascita, vive e lavora come medico di famiglia a Bologna. Lettrice ossessiva, ama restituire il frutto delle letture a chiunque, imprudentemente, si presti ad ascoltare.

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