Bookcity #1. My name is Swan. La poesia vivente di Jan Noble

immagine per My name is Swan. La poesia vivente di Jan Noble
My name is Swan. La poesia vivente di Jan Noble

“Poeti, uscite dai vostri studi,
aprite le vostre finestre, aprite le vostre porte,
siete stati ritirati troppo a lungo
nei vostri mondi chiusi.
Scendete, scendete”

Potrebbe aprirsi con le parole di Lawrence Ferlinghetti, l’edizione 2017 di Bookcity. E in effetti per certi versi così è.

Il primo giorno, dedicato a scuole e università, nel dipartimento di Lingue della Statale, si apre in poesia, in quell’inglese che è lingua anche di Ferlinghetti, e per mano di un uomo che gioca a tradurre in italiano il proprio nome. Gioco di cui Lawrence, che dagli amici italiani si faceva chiamare Lorenzo rivendicando un cognome – e un padre – bresciano, non aveva bisogno.

È da lui che si può provare a farsi guidare alla scoperta di quello che a buon diritto potrebbe esserne un figlio, o un nipote amato.

Il poeta Jan Noble o, come traduce divertito nella sola concessione all’italiano di un incontro destinato agli anglisti, Iannuzzo Nobile, (di cui le docenti Maggie Rose e Cristina Cavecchi sono efficaci sparring partner) con Ferlinghetti condivide la lingua, ma con diversa inflessione; è londinese.

A lui e ai poeti beat però lo unisce molto di più. Soprattutto. il modo di intendere la poesia, di viverla e di condividerla.
Con il suo ultimo testo, infatti, rifiuta qualsiasi impostazione accademica, qualsiasi tentativo di costringere la poesia alla parola scritta, alla staticità stantia dei volumi.

Il suo ultimo lavoro, infatti, il monologo poetico My name is swan, non si trova in forma scritta. Si trova in formato audio, e soprattutto in forma di cortometraggio. Ma anche questo è un punto d’arrivo. Il poema infatti nasce per voce. Nasce per cambiare il modo di essere poeti.

Abbiamo visto le migliori menti della nostra generazione
Distrutte dalla noia ai reading di poesia.
La poesia non è una società segreta,
né un tempio.

È proprio la lezione dei beat a guidare Noble. È l’immagine di Ferlinghetti e soprattutto di Allen Ginsberg, mentre nel 1965 declamava a Londra il suo Urlo, a chiamarlo a ricordare la forza della parola poetica portandola dove non ce la si aspetta.

Prende così il suo cigno (swan, appunto) l’animale simbolo della regina, e lo porta nei pub, negli innumerevoli della working class inglese che proprio dei  cigni portano il nome.

È tra quelle mura che suona e si alza la sua voce, ed è tra quelle mura che ci si trova catapultati, fuori dalle aule universitarie, quando Noble  interpreta. La sua non è poesia, è performance a tutto tondo, capace di riempire di senso, di forza evocativa le immagini che nella poesia prendono forma.

Nell’happening la musica delle sue parole suona, come quella dei poeti beat, mentre, come spiega “il ritmo è più importante di qualunque struttura”.

La “musica naturale” delle parole non si limita a ricordare che la lezione dei beat non è ancora solo materiale buono per le antologie poetiche, ma che c’è ancora chi vuole “trovare una voce, per chi è esausto e non trova le parole per dirlo”.

Chi lavora, le persone che “ignorano i poeti perché i poeti hanno ignorato loro”. Quelle persone, anche oggi, vanno prese per mano, e accompagnate fuori.

Non è il momento ora di nascondersi per l’artista
sopra, oltre, dietro le scene,
indifferente, tagliandosi le unghie,
purificandosi fuori dall’esistenza

E Noble non vuole stare nascosto. Esce nelle strade della Londra di oggi,  della Brexit, la Londra in cui tuttavia tutto il mondo si incontra. La racconta con le sue parole, e la vede con gli  occhi del  regista  Adam Carr.

Così, da un viaggio di ventiquattro ore tra il cielo e i bassifondi londinesi nasce un suggestivo film in bianco e nero, che riecheggia le sinfonie urbane dei padri del documentario per offrire uno “tentativo profetico” di cosa è o può essere l’arte negli anni Venti del ventunesimo secolo: progetto crossmediale, nato per stare tra la gente. Che può  – come è capitato a Noble – allibire i critici di mestiere, per cui poesia è solo ciò che trova spazio nei festival. Ma anche emozionare gli operai, che una silloge ignorano cosa sia.

Questo è forse il “segreto del cigno”: portare i pub dentro la poesia e la poesia, o meglio la performance, dentro i pub, con una forma in cui “la lunghezza del verso”, come per i beat, è data non più dalla metrica na dal respiro. E scoprire che è in questo modo che la poesia parla ancora.

Poeti, scendete
Nelle strade del mondo ancora una volta
E aprite le menti & gli occhi
Con la vecchia delizia visuale,
schiarite la gola e parlate più forte,
la poesia è morta, lunga vita alla poesia.

+ ARTICOLI

Nata (nel 1994) e cresciuta in Lombardia suo malgrado, con un' anima di mare di cui il progetto del giornalismo come professione fa parte da che ha memoria. Lettrice vorace, riempitrice di taccuini compulsiva e inguaribile sognatrice, mossa dall'amore per la parola, soprattutto se è portata sulle tavole di un palcoscenico. "Minoranza di uno", per vocazione dalla parte di tutte le altre. Con una laurea in lettere in tasca e una in comunicazione ed editoria da prendere, scrivo di molte cose cercando di impararne altrettante.

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e statistici. Cliccando su "Accetta" autorizzi tutti i cookie. Cliccando su "Rifiuta" o sulla X rifiuterai tutti i cookie eccetto quelli necessari per il corretto funzionamento del sito. Cliccando su "Personalizza" è possibile selezionare quali cookie attivare.