Marco Strappato, Au-delà. Luoghi dissolti, Ghirri e altri racconti. Con intervista all’artista

immagine per Marco Strappato
Untitled (bodies, bomber, bones), 2017, burned driftwoods, rabbit glue, filler, plaster, polyester, lacquer on wooden platform, 34 x 44 x 60 cm, courtesy The Gallery Apart Rome, photo by Giorgio Benni

Marco Strappato (1982) è un artista che si contraddistingue per la sua peculiare indagine sul paesaggio declinandolo in differenti modalità e approcci ispirandosi ai grandi del passato che hanno segnato la storia dell’arte italiana, ovvero: Ghirri, Bonalumi, Fontana, Manzoni. Tra questi proprio Luigi Ghirri, pietra miliare della rappresentazione paesaggistica, e fotografica, è riuscito a colmare quel gap che si è interposto tra “mappatura” e “territorio” facendo assumere al paesaggio un ruolo rilevante, evidenziandolo come parte focale nella vita delle persone. Scrive Ghirri su un numero di “Lotus” (cit. in: Domus)

“Fin da bambino le fotografie che mi piacevano erano quelle di paesaggio intercalate negli atlanti con le carte geografiche. Immancabile, immobile, appariva un piccolo uomo sovrastato dalle cascate del Niagara o sul ciglio di un burrone. Questo omino lo trovavo poi nelle cartoline, che raffiguravano piazze più o meno celebri, arrampicato su monumenti storici, disperso nei ruderi del Foro di Roma o sotto la Torre di Pisa […] Mi piaceva l’idea che il fotografo non fosse mai solo, che avesse un amico che attraversava il mondo con lui per scoprirlo e rappresentarlo […] Quando più tardi ho iniziato a fotografare, ho continuato a guardare le fotografie di paesaggio ma non ho più trovato l’omino. […] i luoghi si erano dissolti […], l’omino se ne era andato via, aveva portato con sé la rappresentazione dei luoghi e vi aveva lasciato il loro simulacro”.

Sulla base di tale citazione rivedo, nelle opere di Strappato, i “luoghi dissolti” dove il predominante bianco abbaglia e disorienta contraddistinto da segni che ora evocano -delicati e leggiadri- ora confinano -netti e profondi- paesaggi di un mondo etereo che trovano la loro collocazione nel gioco mnemonico che l’artista intende instaurare. Un candore che non aspetta altro di essere sporcato dai ricordi e dalle esperienze. Le stesse che hanno riempito i siti che l’artista ha reso protagonisti. A far loro da cornice, negli ampi spazi di The Gallery Apart di Roma, che ospita la quarta mostra di Strappato, ci sono video, foto e legni che, in balia di venti, acqua e sole, si trasformano assumendo nuove forme -quasi scultoree- ammorbidite, affusolate, ritrovando quell’essenzialità viva e pulsante che da sempre li caratterizza.

Guardando le tue mostre e approfondendo il tuo percorso artistico si può dire di fare un viaggio all’interno di una serie di declinazioni del paesaggio, vero protagonista delle tue opere. Ora il suddetto è appena accennato, evocato, e attraversa le fasi del tuo “nomadismo”. Puoi raccontarci come sei giunto a questa nuova formalizzazione edulcorata dal candido bianco e dalla pura essenzialità?

L’immagine di paesaggio è il perimetro all’interno del quale da tempo svolgo le mie riflessioni sul rapporto tra le multiformi modalità di rappresentazione, fruizione e distribuzione delle immagini e le infinite sensibilità con cui ciascuno si rapporta ad ogni tipo di immaginario. Misurarmi con differenti declinazioni del tema, dunque, da una parte è inevitabile e dall’altra è confacente all’obiettivo che mi prefiggo. In tal senso i lavori che ho realizzato negli ultimi anni presentano diversi gradi di esplicitazione del riferimento al paesaggio. Intendo dire che mi è già capitato di realizzare lavori in cui tale riferimento, seppur sempre esplicito, risulta abbastanza leggero, direi quasi delicato se non a volte etereo. Nella mostra in corso l’essenzialità, se vogliamo enfatizzata dal parziale ricorso alla monocromia (mi piace sommessamente fare piuttosto riferimento all’acromia), è la conseguenza di un obiettivo esistenziale che la mostra mi ha fatto intravedere nel momento in cui ho deciso di interpretarla non come dispositivo atto a sviluppare un progetto concettualmente predeterminato, bensì come la dimostrazione di una consequenzialità nel lavoro svolto nell’ultimo anno e mezzo. Spero cioè che la mostra metta in luce la coerenza interna della ricerca che conduco senza bisogno di appigli concettuali di comodo e a dispetto della condizione nomadica che inevitabilmente influenza la mia attività, ponendomi di volta in volta in condizioni anche molto diverse in termini, ad esempio, di reperibilità e disponibilità di tecnologia.

L’era digitale ha alterato la percezione umana. L’immagine viene amplificata e, alle volte, distorta. Forse sono proprio gli artisti a dover ricondurre l’uomo ad una percezione sensoriale dei luoghi, custodi di memoria e di storia, lasciando il pubblico libero di poter andare “au-delà”. Come ti poni tu e come si pone la tua arte – dove il digitale riveste un ruolo nodale- a tal proposito?

La rivoluzione digitale e l’abbattimento dei vincoli modernisti hanno caratterizzato il nostro recente passato, ma a ben vedere si tratta di concetti in parte già superati alla luce di un flusso di immagini, propagato da un sempre maggiore numero di canali, capace di instillare il senso di infinito e di inesauribilità. Tutto ciò annette sempre maggiore importanza al concetto di selezione. Molti sono i soggetti politici, istituzionali e fra gli organi di informazione a cui viene assegnata questa importante funzione di selezione da realizzare secondo criteri e modalità il più possibile rispettosi dei principi etici e morali che presiedono alla convivenza civile. Gli artisti hanno la grande opportunità di affiancare e possibilmente precorrere questi soggetti seguendo percorsi diversi, vocati non tanto al raggiungimento della o di una verità, quanto alla prefigurazione di scenari e soluzioni alternative alle questioni che interrogano la contemporaneità.

Nella mostra corrente è presente, per la prima volta, un autoritratto sotto forma di dipinto “emblema dell’approfondimento e della ricerca del sé”. Quanto, a tuo avviso, l’era digitale ha amplificato la coscienza del sé dissolvendola, e quanto l’arte e la sua sensibilità può cercare un canale per ritrovarci in un contesto così ampio tornando all’autenticità?

In effetti in tempi di capillare diffusione di immagini di sé e di dilagante narcisismo proporre un autoritratto può rivelarsi operazione pericolosa. In realtà ho rispolverato un genere peraltro alto e nobile nella storia dell’arte per sugellare una mostra che nel suo complesso considero molto personale e intima. Tutte le opere in mostra parlano della mia ricerca in cui l’immagine di paesaggio diventa spunto anche per esercitare differenti gradi di penetrazione tecnologica e per interrogare alcuni grandi maestri della recente storia dell’arte italiana che, in quanto tali, diventano anche icone pop caratterizzanti il nostro paesaggio mentale e intellettuale. Ma in questa mostra ho voluto anche aggiungere in modo forte ed esplicito le mie radici territoriali, il mare, il ricordo del finestrino di destra del treno che mi portava via da casa e che ogni volta mi faceva pensare a Ghirri. Insomma, l’autoritratto è un sugello a tutto questo e pertanto l’ho concepito e lo vivo come qualcosa di vicino alla ricerca e all’approfondimento del sé e invece molto distante dall’assenza di autenticità che invariabilmente contraddistingue ogni forma di spasmodica ricerca di apparire.

Info mostra

  • Marco Strappato AU – DELÀ
  • Dal 07/03/2019 al 26/04/2019
  • The Gallery Apart
  •  Via Francesco Negri, 43, Roma
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Valentina Muzi nasce e vive a Roma. Diplomata in lingue nel 2011 presso il liceo G.V. Catullo, matura esperienze all’estero e si specializza in lingua francese e spagnola con corsi di approfondimento. La passione per l’arte l’ha portata a iscriversi alla Facoltà di Studi Storico-Artistici dell’Università di Roma La Sapienza, parallelamente ha frequentato un Executive Master in Management dei Beni Culturali presso la Business School del Sole24Ore di Roma. Dal 2016 svolge attività di traduzione di cataloghi, stesura di testi critici e curatela. Dal 2017 svolge l’attività di giornalista di taglio critico e finanziario per riviste di settore. Attualmente è membro del Board Strategico presso l’Associazione culturale Arteprima nonprofit, Social Media Manager ed è Responsabile organizzativa della piattaforma Arteprima Academy.

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