1946-1972: il videogaming pioneristico prima dell’Età dell’Oro dei videogiochi

In questi giorni di emergenza planetaria la tecnologia nel senso più ampio, per chi ha la fortuna di potersela permettere, è sicuramente di ottimo supporto per quanti, confinati nelle proprie abitazioni, devono poter lavorare, studiare, occuparsi di vari servizi, cercare di mantenere relazioni sociali o anche solo per svagarsi con l’intrattenimento che la Rete permette.

E’ proprio sull’uso della tecnologia dedicato in particolare al gioco, che vorrei soffermarmi: forse è la parte più futile tra le tante, e potrebbe essere sostituita anche con altro intrattenimento analogico, ugualmente rilassante e ricreativo, ma di fatto vede molte persone, soprattutto le fasce più giovani, passare il proprio tempo libero (forse ora sin troppo in eccesso) –  a parte le offerte delle numerose piattaforme di distribuzione di films, serie televisive, etc. – in attività ludiche di video gaming online o su console come la PS4, Nintendo64 etc.

Ebbene, probabilmente i più giovani sono portati a credere che il fenomeno del video gaming sia una forma di svago ricreativo nato negli anni ‘80 e decisamente consolidato negli anni  ‘90 proprio grazie all’accesso di massa ai PC domestici e alle prime console della Nintendo o della Atari, fino alle tabletop o le console portatili della Nintendo Gameboy o Microvision. Chi ha più di 40 anni potrebbe ipotizzare che questa attività sia iniziata qualche decennio prima, con gli originari giochi cabinati arcade tipo Computer Space (1971, Syzygy Engineering), Death Race (1976) il classico Space Invaders (Taito , Midway Games 1978), Asteroids (1978,) Galaxians (1979), o il famoso Pac Man (1980 NAMCO) e che piano piano questi ingombranti oggetti multicolorati con funzionamento a gettone si sono andati ad affiancare ai gloriosi flipper elettromeccanici delle sale giochi (fino a scalzarli definitivamente in pochi anni).

Si pensi anche, in quegli anni,  alle prime console domestiche , ad esempio la Magnavox Odissey (1972), la Zanussi/Séleco  Ping o tronic (1974), la Philip Tele-Spiel (1975), solo per citare alcune delle decine già disponibili in quegli anni. In effetti, fu proprio a partire dagli anni ‘70 del XX secolo che giocare anche comodamente da casa inizia a diventare un realtà. Agli esordi, ciò non era proprio alla portata di tutti, dato che le console avevano costi non certo contenuti e la grafica molto scarna lasciava molto all’immaginazione. Si poteva giocare da singoli o in due giocatori (multiplayer) e farlo online non era possibile, a causa della esiguità fisica della rete telefonica di allora e perché la Rete, intesa come Internet, non era ancora stata inventata o muoveva i primi passi proprio in quegli anni con il progetto Arpanet (1976), ma con grossi limiti e per il fatto di essere nato ed impiegato per altri scopi strategici, accademici e militari.

Quando, quindi, è stato possibile per la prima volta interfacciare in maniera interattiva un essere umano a uno schermo o ad un computer a scopo ludico? Ebbene, i primi esempi risalgono addirittura al 1946. Stiamo parlando degli Stati Uniti e del Cathode-ray tube amusement device ideato da Thomas T. Goldsmith Jr. e Estle Ray Mann, entrambi pionieri nel campo dello sviluppo della televisione.

Il gioco era una sorta di battaglia navale in cui i due giocatori si dovevano fronteggiare per colpire i bersagli a colpi di missile su uno schermo ispirato ai radar militari a tubo catodico (CRT). Per supplire alla carenza grafica, che non poteva essere realizzata sullo schermo in mancanza di un vero e proprio hardware e software, i progettisti applicarono direttamente sullo schermo delle strisce di pellicola trasparente per rappresentare i bersagli identificati con delle coordinate e tramite dei cursori si potevano regolare la traiettoria,  la velocità del missile e con un pulsante si faceva fuoco. Sullo schermo  del radar era possibile visualizzare una simulazione piuttosto grossolana dell’esplosione dell’ordigno. Il gioco fu brevettato nel 1947 ma a causa degli alti costi di produzione non fu mai messo in produzione e rimase a livello di prototipo.

Qualche anno dopo, esattamente nel 1951 in occasione del Festival of Britain il duo John Bennet e Raymond Stuart Williams presentò Nimrod, versione elettronica del tradizionale gioco del Nim. La versione del ’51 funzionava su un computer realizzato dalla Ferranti International Plc, un’azienda britannica che produceva componenti elettronici e semiconduttori, nata verso la fine del XIX secolo ed in attività fino al 1993, e nota per aver prodotto il primo computer commerciale della storia, il Ferranti Mark 1 conosciuto anche come Manchester Electronic Computer (1951). Il Nimrod fu presentato poi a Berlino in fiera e fu poi smantellato alla fine del percorso delle kermesse.

Nel 1952 è la volta di  OXO. Sviluppato  dall’Università di Cambridge dall’informatico Alexander Sandy Douglas, in pratica era la versione elettronica del Tris.  OXO  fu  programmato su un computer EDSAC (Electronic Delay Storage Automatic Calculator, uno dei primi computer elettronici digitali della storia,  1949) chiamato Bertie the Brain; come schermo utilizzava un tubo catodico CTR. Questa “applicazione” da computer non fu mai pensata come gioco da intrattenimento in quanto nato con l’intenzione  di dimostrare una tesi sull’interazione uomo-macchina.  Oggi, tramite un emulatore per sistema EDSAC è ancora possibile giocare a OXO conservando la videografica originale.

Dovette passare ancora qualche anno per riconsiderare l’impiego di un computer come intrattenimento interattivo ludico a scopo accademico.

Infatti nel 1958 il fisico statunitense Willy Higinbotham, del Brookhaven National Laboratory (i cui campi di ricerca includono fisica nucleare e fisica delle particelle, fisica e chimica dei materiali, ricerche ambientali ed energetiche, neuroscienze, medicina, come quelle delle strutture biologiche), notando lo scarso interesse che avevano gli studenti per la materia, realizzò, in collaborazione con il suo collega  Robert V. Dvorak, il ludico Tennis for Two, che aveva il compito di simulare le leggi fisiche che si riscontrano durante un incontro di tennis: il mezzo utilizzato era un oscilloscopio collegato ad un computer analogico, il Donner 30 del 1954. Il Tennis for Two viene ricordato come un esperimento universitario più che come un gioco e rispetto al Pong, che sarebbe arrivato circa 15 anni dopo, il campo di gioco era rappresentato in sezione e non dall’alto. Si poteva partecipare in modalità multiplayer con 2 giocatori che si fronteggiavano a colpi di cursore; le due plance, tipo paddle, erano dotate di manopole che regolavano la traiettoria e un pulsante era pensato per lanciare la palla. Naturalmente, come avviene per il tennis reale, il lancio doveva superare la rete centrale e la traiettoria della palla era influenzata da un algoritmo che simulava la forza di gravità. Il videogioco rimase in esposizione presso il Brookhaven National Laboratory per un paio di anni prima di essere disattivato.
Una breve nota sull’autore del gioco: Higinbotahm  fu testimone come tecnico del  primo test dell’esplosione di una bomba atomica – nome in codice “The Gadget” – fatta esplodere nel Test Trinity il 16 luglio 1945 nel poligono di Alamogordo, in Nuovo Messico; nel 1946 fu candidato come primo presidente della Federation of American Scientists (Federazione degli Scienziati Americani), un’organizzazione fondata subito dopo la seconda guerra mondiale contro la guerra nucleare e la diffusione delle armi atomiche: Higinbotham credeva fermamente nell’importanza di mantenere l’energia atomica in mano ai civili.

Il 1961 rappresenta l’anno della svolta: sei giovani scienziati del MIT (Massachusetts Institute of Technology) riescono a dare movimento a puntini luminosi e oggetti sullo schermo di un computer DEC PDP-1 (Programmed Data Processor-1) a 18 bit che utilizzava 2.700 transistor e 3.000 diodi. Nasceva così Spacewar!, il primo videogioco a presentare un mondo dotato di regole fisiche, con situazioni variabili e completamente in tempo reale.

Vide la luce quasi per caso, mentre uno dei suoi ideatori, Steve Russel, insegnante al MIT, scriveva una applicazione matematica: durante il suo lavoro, infatti, scoprì accidentalmente una funzione che disegnava sullo schermo del PDP-1 delle elaborate forme ellittiche e iniziò a pensare come poterle utilizzare in maniera creativa.
Il gioco consiste nel duello di due astronavi che si affrontano a colpi di missili muovendosi nello spazio; vince il round chi riesce a colpire per primo l’astronave avversaria, tenendo conto che al centro dei duellanti esiste un misterioso corpo celeste che influisce sulla gravitazione delle astronavi destabilizzandole continuamente. Tutto il set veniva controllato da due primordiali joystick (in sostituzione dei pulsanti iniziali che ne limitavano la giocabilità) realizzati con scarti di materiale elettrico derivato dal club di modellismo ferroviario dell’università.

Spacewar! diventa il primo videogioco ufficiale della storia, largamente diffuso, ed è stato dichiarato, nel marzo 2007, uno dei dieci videogiochi più importanti di sempre da Henry Lowood della Stanford University; i joystick a scopo ludico sarebbero, invece, stati poi perfezionati e divenuti fondamentali per le manovre di precisione delle prime capsule spaziali impiegate dalla NASA per le missioni spaziali!

Parallelamente ai videogiochi da computer si iniziò a pensare a dispositivi autonomi da poter collegare a dei comuni televisori. Per questo, nel 1966, nacque Chase il prototipo della prima console domestica. Il suo inventore, l’ingegner Ralph Baer (Rudolph Heindrich Baer), ebreo tedesco che dovette emigrare negli Stati Uniti con la sua famiglia per sfuggire alle persecuzioni naziste, creò questo semplice videogioco che poteva usare, come terminale video, un normale televisore. L’idea di Home Console, come la possiamo intendere oggi, Baer la ebbe mentre era dipendente della Sander Associates, una ditta privata nel campo militare, che sviluppava sistemi radar per aerei e sottomarini per il Governo degli USA. La sua idea era quella di un televisore che poteva trasformarsi  in un terminale e diventare una facile fonte di intrattenimento per la famiglia.

Nel 1967 Baer, insieme al tecnico elettronico Bill Harrison, creò un altro videogioco su Tv: Bucket Filling Game. A due giocatori, fu il primo gioco multigiocatore utilizzabile su dispositivo televisivo; sullo schermo doveva essere applicata una pellicola colorata che simulava la silhouette di un secchio che i due giocatori, tramite un solo comando a testa, dovevano riempire o svuotare gareggiando l’uno contro l’altro.
Baer e Harrison e il loro team continuarono a lavorare sul progetto di Home Console e nel 1968 venne creato un  prototipo di quello che oggi definiremmo una vera e propria console: il Brown Box (oggi  in esposizione presso il National Museum of American History a Washington), che può considerarsi a pieno titolo la prima vera console da gioco della storia. Il sistema, che poi fu perfezionato e commercializzato qualche anno dopo (nel 1972) con il nome di Magnavox Odyssey, è caratterizzato anche da un design accattivante minimalista che già inizialmente permetteva di cimentarsi in vari a giochi tra i quali: tennis, baseball, cat&mouse, basketball, invasion, tiro al bersaglio, fino ad un massimo di 6 cartucce e 12 titoli. Una delle prime periferiche aggiuntive fu la pistola ottica, ideata da Baer, Harrison e Bill Rusch con costi però ancora elevati e difficoltà di funzionare compatibilmente con i numerosi modelli di televisori allora esistenti sul mercato.

Tra la metà degli anni 60 e i primi anni 70 vediamo apparire delle meteore, esperimenti tra i quali vale la pena di annoverare il primo videogioco di simulazione: Golf Game Computing System del 1966 ideato da J. C. Russel e dai suoi collaboratori. Consisteva nella simulazione della traiettoria di una pallina da golf reale sullo schermo di un PC analogico e in uno spazio fisico allestito che prevedeva un ambiente dove andavano posizionati, seguendo uno schema predefinito, uno schermo, due video-proiettori, un microfono, delle fotocellule ed un computer analogico. Il giocatore posizionato su una pedana doveva colpire la palla, e mentre i due proiettori si sarebbero occupati uno del punteggio e l’altro di riprodurre l’azione della palla, il microfono e le fotocellule avrebbero permesso il calcolo di traiettoria, velocità e persino senso e velocità di rotazione della palla. Il tutto era davvero molto complesso e costoso, per cui rimase a livello di prototipo con un brevetto depositato solo nel 1970.

Il 1969 diventa un anno cruciale per la storia e il destino dei video-giochi: dai laboratori della AT&T Bell nasce UNIX un nuovo sistema operativo portatile  che diventa il più utilizzato sui sistemi mainframe a partire dagli anni 70. Le figure di spicco di questo risultato sono sicuramente i due allor giovani informatici e hackers statunitensi: Ken Thompson e Dennis Ritchie.

UNIX praticamente nasce come sperimentazione per eseguire un programma chiamato Space Travel”. Il programma era in grado di replicare i movimenti del sole e dei pianeti e anche quelli di una navicella in grado di atterrare in posti differenti. All’inizio dello sviluppo, Space Travel era scritto in linguaggio Fortran per il sistema GECOS (General Comprehensive Operating System) ma la poca versatilità del sistema ed i costi molto alti convinsero gli sviluppatori a spostare il progetto sul  PDP-7 (Programmed Data Processor-7 del 1965) utilizzando parte del linguaggio assembly che servì poi allo sviluppo definitivo dell’UNIX. Questo linguaggio, quindi, nato “per gioco”, servì effettivamente poi a sviluppare una nuova generazione di videogiochi che utilizzavano UNIX come sistema operativo.

Giunti ormai alle porte degli anni 70 vediamo l’apparizione dei primi “arcade”. Per “arcade” si intende un videogioco che si gioca in un’apposita postazione pubblica funzionante a gettoni o a monete. Uno dei primi videogiochi arcade mai realizzati fu appunto Galaxy Game, uno “sparatutto” ispirato al precedente Spacewar!, perfezionato nella grafica e nella giocabilità. Fu sviluppato e ultimato dalla Stanford University nel settembre del 1971, appena due mesi prima del lancio del primo arcade su larga scala di Computer Space commercializzato negli Stati Uniti in circa duemila esemplari. Il videogioco, distribuito in versione cabinata per bar e sale giochi, fu prodotto dalla Nutting Associates e sviluppato dalla Sygygy Engineering che sarebbe diventata, poco dopo, la famosissima ATARI. Dietro questa sigla c’erano Nolan Bushnell e Ted Dabney, appunto i futuri fondatori della ATARI Inc.

Nonostante la novità assoluta in campo commerciale, che anticipava di poco quella delle prime console domestiche da collegare direttamente al televisore, Computer Space soffriva ancora di qualche problema di fruibilità per un pubblico non ancora abituato a confrontarsi con un certo tipo di giochi. Bisogna considerare, infatti, che il giocatore medio da bar di allora proveniva dal flipper o da altri giochi elettromeccanici e Bushnell capì subito la regola dei videogame, che era: “nobody wants to read an encyclopedia to play a game”, ossia “nessuno è disposto a leggere una enciclopedia per imparare le regole di un gioco”. Occorreva semplificare le cose e soprattutto aspettare che il pubblico maturasse per abituarsi ad una complessità prima sconosciuta del videogaming che adesso diamo per scontato. Questa modalità, quindi, rappresentò per l’essere umano un cambio antropologico e culturale di approccio al tema del gioco.

Siamo ormai giunti ai primi anni ‘70 del XX secolo e di lì a pochi anni sarebbe partita una vera e propria rivoluzione del mondo dei videogaming. Verso la metà degli anni ‘70 e fino ai primi anni ‘80 del XX secolo le sale giochi iniziarono a riempirsi di centinaia di titoli diversi di arcade mettendo in soffitta i flippers e la generazione dei giochi elettromeccanici coni i relè e le fotocellule.

Contemporaneamente, nelle case iniziarono ad entrare Home Console giocabili direttamente collegandosi al cavo di antenna del televisore e con sempre più offerte;   stava per avere inizio proprio in quegli anni quella che è considerata dagli addetti ai lavori e dalle generazioni che hanno passato parte del loro tempo nei bar e nelle sale giochi a “smanettare” su Space Invaders, fronteggiando ondate di astronavi aliene, o a casa con le prime console o i primi Home Computer tipo Sinclair Zx Spectrum o Commodore 64, la Golden Age” dei videogiochi.

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Paolo Di Pasquale si forma studiando prima Architettura poi Disegno Industriale a Roma, specializzandosi in Lighting design. Nel 2004 è co-fondatore dello STUDIOILLUMINA, dove si occupa principalmente di Architectural Lighting Design e Luce per la Comunicazione: lo Studio progetta e realizza allestimenti espositivi e museali, ideazione della luce, corpi illuminanti, scenografia notturna - nel settore della riqualificazione urbana e in progettazione di arredi (porti turistici, parchi, giardini, piazze etc.)-, piani della luce per alcuni Comuni italiani e spettacoli di luce. Nel 2007 fonda lo Studio BLACKSHEEP per la progettazione di architettura di interni e di supporto alla pianificazione di eventi, meeting e fiere. E' interessato alla divulgazione della cultura della luce e del progetto attraverso corsi, workshop, convegni e articoli. Ha insegnato allo IED e in strutture istituzionali. E’ docente di Illuminotecnica presso l’Istituto Quasar - Design University Roma di nel corso di Habitat Design e in quello di Architettura dei Giardini. E' Redattore di art a part of cult(ure) per cui segue la sezione Architettura, Design e Grafica con incursioni nell'Arte contemporanea. Dal 2011 aderisce a FEED Trasforma Roma, collettivo di architetti romani che si interroga sul valore contemporaneo dello spazio pubblico esistente, suggerendone una nuova lettura e uso con incursioni e azioni dimostrative sul territorio metropolitano.

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