Le regole – matematiche – per vivere insieme

«Siamo sempre qualcosa meno delle parole che si usano per descriverci» Questo è vero per tutti ma forse un po’ di più per Chiara Valerio, scrittrice, editor, matematica, vincitrice proprio nelle ore in cui scriviamo del Premio Mondello 2020 per Il cuore non si vede (Einaudi) – di cui avevamo già parlato qui – ma che arriva a Pordenonelegge per spiegare, attraverso il suo recente pamphlet, che La matematica è politica.

Una agile e densissima vela Einaudi in cui Valerio apre mondi – meglio, universi – non solo a chi ha amato la matematica dalla scuola in avanti, ma anche – e forse soprattutto – per chi non ci ha mai capito niente, e attraverso queste pagine scopre attraverso la matematica il funzionamento che sta alla base del vivere civile, del nostro stesso esistere in comunità, in modo particolare nel tempo ansiogeno della pandemia.

Nelle sue pagine come nelle decine di minuti del suo rutilante e sapiente monologo, con la passione e l’acutezza che la contraddistinguono, Valerio puntella alcuni aspetti capitali del nostro vivere.
Ad esempio, che «l’autorità e le regole sono due cose diverse. La prima si subisce e le seconde si contrattano.

Studiare matematica – spiega – significa capire che le regole esistono, e anche quando si infrangono si costruisce un altro sistema. Non avere regole non è altro che un’altra regola».

La matematica – spiega Chiara Valerio – è la costellazione di concetti intorno a un unico concetto, studia sistemi.

immagine per Chiara Valerio
Chiara Valerio

Studiare matematica, quindi, è «prendere confidenza coi sistemi nei quali per agire convivere e comunicare bisogna conoscere e rispettare regole». Le stesse regole che ci permettono di vivere insieme, ma che chiamano ad essere non soltanto rispettate ma anche e forse soprattutto analizzate e comprese criticamente.

Un elogio del sapere, anche quello assorbito per prossimità; del resto le regole di funzionamento della società si acquisiscono come si ascoltano le storie. Così «si sanno cose senza averle imparate. Perché qualcuno me le aveva raccontate senza interessarsi di come e quanto capissi».

Una volta acquisita una regola, matematica o democratica che sia, la sua assunzione come tale non sussiste senza il secondo postulato, che Valerio sintetizza limpidamente. Chi non ha compreso la matematica è indotto a pensare che da regola discenda il concetto di verità, unica e data come un risultato.

Le pagine di Valerio invece, fanno scoprire il contrario: che ogni verità è al tempo stesso assoluta e transeunte, in base al luogo nel quale è collocata. Se una somma di quadrati non può essere negativa tra i numeri reali, ciò non è vero tra gli immaginari.

Così «vero e falso, bello e brutto sono dipendenti dal tempo e dal potere, e abbiamo diritto di sapere che le cose dipende dal contesto in cui sono inserite » perché la matematica non è la scienza dei dati ma quella delle prove, della formulazione e confutazione di teorie e – più ancora – come la grammatica, la scienza delle relazioni tra le cose e le persone, dentro cui «ogni volta che guardiamo noi siamo l’errore di valutazione», che ci induce a rapportarci con quello che cerchiamo, ovvero «un modello di individuo che supponiamo non avere incertezze».

Nel farlo la matematica come le parole ci spinge a recuperare un diritto e un’aspirazione che stiamo perdendo, quello all’individualità, mentre ci lasciamo trasformare in pixel umani per costruire grandi messe in scene del mondo in cui arriveremo, come all’inaugurazione delle Olimpiadi.

La matematica è politica

Studiare matematica è quindi un nuovo esercizio di questo diritto, ma un esercizio anche di riconoscimento di sé. Imparare come tutti i gesti umani ha sempre una connotazione emotiva. Si assumono le regole senza preoccuparsi di capirle, ma poi si procede sempre per scelta. Per passione, per sentimento. Sia esso l’amore, verso i numeri o la professoressa di matematica, ma anche per vendetta, o per ripicca; sono i sentimenti umani a nutrire il nostro intelletto, a indurci a creare sistemi altri per eludere l’ineludibile, a trovare dopo duemila anni un sistema dentro cui i quadrati sono negativi ma anche a fuggire come Sirius Black dalla prigione di Azkaban: la matematica, quindi, è anche uno processo rivoluzionario e liberante, da tutte le prigioni. Perché «l carcere come i regimi oppressivi vede solo ciò che cerca, governa solo quando toglie, occupandolo, il tempo di chi ci vive».

Ecco che la matematica smette di essere una teoria calata nel vuoto e si trasforma in prassi collettiva, capace di trasmettere una postura etica. E che questo compito può essere svolto soltanto dallo studio, da quella scuola bistrattata che ci costruisce come individui e ha il compito di restituirci le lingue, dei numeri e delle parole, perchè «perdendo parole ti perdi il diritto di descrivere la realtà.

E allora, in un tempo che tende alla banalizzazione, alla ricerca della verità univoca propinata come assoluta allontanandoci dall’aspirazione a discutere sistemi, «perché non ci chiediamo di che razza è il gatto di Schroedinger? solo così potremmo domandarcene le abitudini. Perché non trasformiamo in cultura pop il fatto che un quadrato dipende dal sistema, e che qundi la verità e l’esistenza stessa dipendono dal contesto?»

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Nata (nel 1994) e cresciuta in Lombardia suo malgrado, con un' anima di mare di cui il progetto del giornalismo come professione fa parte da che ha memoria. Lettrice vorace, riempitrice di taccuini compulsiva e inguaribile sognatrice, mossa dall'amore per la parola, soprattutto se è portata sulle tavole di un palcoscenico. "Minoranza di uno", per vocazione dalla parte di tutte le altre. Con una laurea in lettere in tasca e una in comunicazione ed editoria da prendere, scrivo di molte cose cercando di impararne altrettante.

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