Monte S.Angelo. San Michele angelo del sole

Monte S.Angelo
Monte S.Angelo
Monte S.Angelo

Una fascia di nubi nere separa il cielo di Peschici sotto il cui sole la spiaggia brilla delle paillettes dei bikini di inizio stagione da quello della Foresta Umbra, minacciata dalla pioggia incombente.

Mentre la strada si inoltra dentro il bosco fittissimo l’aria si fa scura e il suo sapore è acuto. Lecci, aceri e faggi si dividono il terreno scosceso quando iniziano a cadere le prime gocce di pioggia che, in un attimo, si tramutano in una cortina d’acqua grigioargento che si rimbalza sulle foglie, scivola sui sentieri di terra scura, abbevera i ciclamini selvatici che crescono solitari ai piedi dei tronchi.

Più avanti l’illusione che la pioggia sia finita: la trama fittissima dei rami, l’intreccio delle foglie si stendono come un tetto robusto sul cammino ed impediscono, a tratti, all’acqua di filtrare.

Ma ecco di nuovo le gocce bagnare i tronchi dei tassi millenari, alberi contorti e scheletriti che sembrano venire dalla foresta stregata e che non a caso si chiamano “alberi della morte”. E nella pioggia i caprioli ed i daini s’accucciano ai piedi degli alberi; il laghetto calmo e azzurrato diviene specchio che riflette i contorni smerlati delle fronde e nella pioggia le vacche incerte e sonnolente proseguono grandi e bianche sulle loro zampe sottili ondeggiando al suono incrinato dei loro campanacci.

Il percorso, avvolto in una nube di pioggia, scivola via dalla foresta per affrontare con il fiato bagnato la montagna a tratti brulla e calcarea, a tratti verdeggiante. Orti abbandonati e tetti aguzzi e sopra tutto lo sperone di roccia che è fondamenta e scrigno del  Santuario.

Monte S. Angelo è lo specchio del simbolismo di S. Michele: luce e tenebre, angelo e demone, alto e basso, perfezione ed imperfezione. Per raggiungere la città, infatti, occorre salire e salire, ma per raggiungere il sacro bisogna scendere e scendere e scendere.

Terra Santa, ovvero mai consacrata da mano umana, la Sacra Grotta ancora nasconde e irradia l’impronta dell’Angelo Guerriero che apparve più volte per ribadire la volontà divina di fare di quel luogo una testimonianza della divinità.

Nel Gargano, terra protesa verso l’Oriente, terra di passaggio, terra solitaria di boschi e mare, ovunque si trovano tracce di culti arcaici ai quali si sono sovrapposti, man mano, gli dei dei Greci e dei Romani, le divinità daune e delle altre popolazioni autoctone ed infine, con l’avvento dei monaci, il cristianesimo con i suoi santi le cui caratteristiche ricalcano i poteri e le magie degli antichi numi.

Michele, che sconfigge il demone è simbolo del sole invitto che sconfigge le tenebre come lo fu Apollo vincitore del serpente Python o Mithra. Michele è traghettatore di anime, psicopompo come Ermes/Mercurio, Semele, Anubi, Osiride e lo stesso Dioniso. Come tutti gli dei possessori della chiave d’accesso ai Misteri, alla spiritualità, alla vita ed alla morte, capaci di entrare in contatto con gli strati più profondi e sconosciuti della psiche.

Arrivare alla grotta è davvero uno stupore. Si scende lungo la grande scala di marmo voluta dagli Aragonesi, che si poggia, preziosa, fra le viscere della terra, nella roccia scavata. La sovrasta una volta altissima, come un capogiro. Volte a crociera, archi a sesto acuto e mura che sembrano fughe verso il cielo.

Sui muri iscrizioni antiche di millecinquecento anni: croci, mani, impronte di sandali, nomi, date, alfabeti sconosciuti come quello runico ed ancora croci, croci, una foresta di croci d’ogni forma e rilievo e intensità.
La croce rappresenta, in primo luogo, il corpo umano con le braccia allargate e distese in perfetta linea con il piano terrestre; è crocevia, luogo ove si è transitato; la croce divide lo spazio in quattro parti e dunque lo ricompone. La croce è l’asse principale della ruota, simbolo del Carro del Sole; è la realizzazione dell’uomo universale, la lettera tau simbolo dei Templari, la rappresentazione del cosmo, dell’albero della vita fatto di materia umana e collegamento fra terra e cielo.
La scala scende piegando al suo volere il ventre della montagna. Sembra come una discesa agli inferi. E quando finalmente si giunge alla Porta del Toro (anche se fra ricordini, immaginette e cartoline la coda del demone ha già fatto il suo lavoro), ecco apparire la Grotta.

È difficile comprendere, a prima vista, come dalle mura romaniche possa staccarsi questa pietra antica, carica di energia della terra, che ancora stilla le acque della montagna… o forse, al contrario, è la pietra che si ferma davanti a tanto splendore architettonico… E nonostante altari, statue cinquecentesche, corredi e arredi sacri quasi nulla si perde della primitiva e naturale potenza della Grotta sotto la quale, come solo da poco si può vedere, s’apre una cripta che cela il primordiale ingresso al Santuario.

L’ingresso antico, quello utilizzato prima della scenografica scalea angioina, l’ingresso semplice con un doppio arco dalla volta affrescata di fronte al quale sono sbozzati nella roccia non più di dieci gradini che portano ad un sistema di grotte attraverso le quali, arrampicandosi lungo i fianchi del monte, i pellegrini degli anni dimenticati, raggiungevano a piedi e mani nude la grotta principale.

Nella cripta si trovano tombe longobarde, antichi simboli orientali, bassorilievi di cavalieri con turbante e lancia in resta, svastiche solari, leggii a forma di aquila, colonne ritorte, iscrizioni, capitelli, bassorilievi in pietra pugliese ed infine, mistero della fede, l’altare delle impronte sotto il quale, si dice, ci sia la testimonianza della presenza di Michele: una pietra che recherebbe l’impronta del suo piede lasciata durante la lotta col drago.

Il ritorno in superficie è accolto dallo splendere improvviso del sole.
L’ombra del campanile ottagonale costruito da Federico II a somiglianza delle torri di Castel del Monte attraversa il cortile puntando verso oriente.

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Giornalista culturale e autrice di testi ed adattamenti, si dedica da sempre alla ricerca di scritture, viaggi, tradizioni e memorie. Per dieci anni direttore responsabile del mensile "Carcere e Comunità" e co-fondatrice di "SOS Razzismo Italia", nel 1990 fonda l’Associazione Teatrale "The Way to the Indies Argillateatri". Collabora con diverse testate e si occupa di progetti non profit, educativi, teatrali, editoriali, letterari, giornalistici e web.

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