Short Theatre 9 – La rivoluzione delle parole. Marta dalla Via presenta Veneti Fair

MARTA_DALLA_VIA_3La nona edizione di Short Theatre la si esplora a partire da un nome già noto al festival, quello di Marta Dalla Via, con Veneti Fair, già apprezzata lo scorso anno assieme al fratello Diego con Mio figlio era come un padre per me (Scenario 2013), in replica anche quest’anno nei giorni a seguire.

A proposito di rivoluzione e di parole, in apertura si assiste a un prologo di rime dialettali rigorosamente coincidenti con la lettera P per quanto riguarda l’incipit. A declamarle è appunto Diego e il centro del suo dire corrisponderebbe a una sorta di Livella in chiave nordista.

Poi, lo show.

Lo sforzo più evidente, compiuto da questa giovane coppia di attori e drammaturghi riguarderebbe forse il sincero tentativo nei confronti della ricerca, prima che del teatro di ricerca (questione che, a dirla tutta, ha oramai acquisito le parvenze di un colabrodo); nonostante il risultato possa apparire poco conturbante, si può sperare che il primo passo della ricerca sia quello di partecipare antropologicamente allo studio che ci si propone di sviscerare.

In tale ottica appunto, Marta Dalla Via raggiunge la sponda dell’equilibrio.

Da una parte è evidente l’assenza di una pretenziosa altezza che incenserebbe lo spettacolo di fuorvianti impulsi, dall’altra invece, il meccanismo comico è immediatamente riconoscibile come non fine a se stesso e funge invece da chiave per la composizione del mosaico.

Il meccanismo è morettiano per un certo verso, e perché camuffantemente cinico nei confronti della porzione giudicata e per il suo insinuare di nonsense nelle crepe dell’unità narrativa.

Il Veneto è l’oggetto narrato, nel suo andirivieni di burle umane, viziacci provinciali, ubriachezze moleste metaforiche e non, padroni in doppio petto che raccolgono mano d’opera cinese a costo zero per le proprie fabbriche e Miss che inventano antologie filosofiche sulla base del proprio vissuto.

Dalla Via mette in mostra le insistenze di un tappeto sociale fortemente equivoco, spicchio di tutte le Italia e lo fa in modo terso, ove il passaggio è cosa impercettibile e altresì la cerniera che lega un frammento a un altro. Che sia la retorica, abbinata al suo contrario, la leggerezza, a comporre una buona base per la fruizione dopo la nausea che si ha delle spaccature?

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Maria Rita Di Bari è un acquario del 1986. Si laurea in lingue con una tesi sulla giustizia letteraria dedicata a Sophia de Mello Breyner Andresen e scrive di critica teatrale e cinematografica per testate quali Repubblica.it, “O”, “Point Blank” e “InsideArt”. Ha pubblicato con Flanerì un racconto dal titolo “La fuga di Polonio”.

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