ViennaFair The New Contemporary. Intervista alla sua Direttrice artistica Christina Steinbrecher-Pfandt

Dalla prospettiva della rivista “Drome Magazine”, il cui numero attuale è dedicato alle maschere nell’accezione ampia che possano avere per l’arte e dove si spazia tra maschere indossate e quelle dismesse, quotidiane e straordinarie, la Vienna Art Fair è tutta da scoprire.

Secondo Stand dal fondo del settore riviste d’arte, con un occhio rivolto all’angolo in cui bambini dipingono come giovani Richter le loro opere del futuro, la rivista italiana può spingere il proprio sguardo verso i vari “gironi” in cui è suddivisa la Fiera. Noi, con la maschera ancora indosso, che sia un ponte tra identità diverse, tra quello che siamo e quello che saremo, partiamo per inoltrarci nel viaggio tra artisti conosciuti e non, provenienti da paesi limitrofi o meno.

Zona 1 – Le più importanti gallerie austriache propongono e portano alla ribalta i loro artisti giovani più promettenti. Dialog New Energies sponsorizzazione dell’azienda statale austriaca per il gas e gli oli minerali verso la scoperta del panorama artistico ogni anno di un paese emergente diverso, dalla Romania, quest’anno, attraverso la presentazione di più di 30 artisti proposti da 5 importanti gallerie. I Talks degli esperti e dei curatori, dei collezionisti con il pubblico per spiegare cosa sia oggi il mercato dell’arte e di cosa si occupi, come funzioni e dove sia diretto, perché lo sia. Vienna Focus con i suoi occhi puntati sull’Azerbaijan e la capitale Baku, i cambiamenti urbani e sociali che hanno investito il paese, visti ed elaborati attraverso gli occhi di 3 artisti scelti e curati dalla organizzazione no-profit Yarat; il quartiere di Sovetsky, il più povero, preso come metafora della città, del paese tutto. Reflections dove delle molte gallerie presenti ne vengono scelte alcune e, attraverso un ben preciso progetto dei curatori, selezionati soltanto i lavori di alcuni singoli artisti.

La maschera, dicevamo, il filo conduttore e la chiave interpretativa, come una cartina tornasole che venga applicata per vedere come reagiscano le opere, gli autori, galleristi e collezionisti, quindi rimuoverla, forse, nel momento in cui la conoscenza o la consapevolezza sia pronta a prenderne il posto. La Vienna Fair, da tre anni sotto la guida di Christina Steinbrecher-Pfandt prima con Vita Zaman ed ora sola, procede lungo la strada che si è preposta toccando le tappe principali: unire l’est dell’arte all’ovest, avvicinare i compratori agli artisti e tutti gli altri all’arte. Sembra che lo stia facendo molto bene e sembrerebbe che piaccia a molti. Tutto ciò raccolto sotto un colore dominante, scelto come copertina della manifestazione.

Nelle parole della curatrice, Christina Steinbrecher-Pfandt

“Eravamo, ero alla ricerca di un colore che si facesse notare, il blu da un lato è un colore certamente normale, quotidiano, forse anche noioso ma in qualche modo è un Zeitgeist, ed in realtà ho deciso per il blu prima che diventasse il colore di questa edizione ma soprattutto prima di vedere che aspetto avrebbe avuto dopo essere stampato, poi abbiamo pensato ad Yves Klein, il suo blu è vibrante e costituisce un riferimento che tutti conoscono. È contemporaneo ed ha molti punti di contatto con l’arte. Quindi son soddisfatta che sia un colore che veicola arte ancora prima che abbia deciso di usarlo per questo scopo”

E se il colore possa essere vissuto come un velo, una maschera da applicare sull’opera d’arte allora il suo artefice più puro è ben rappresentato proprio da Yves Klein, un velo sovrapposto di interpretazione, una linea di confine tra il celare e lo svelare, come una coltre di nubi che, molto basse seguano i movimenti ondulatori del paesaggio che percorrono diventandone parte. La maschera nella sua eterna dicotomia tra l’essere semplicemente qualcosa da indossare, prenderne le sembianze oppure farsi uno con quell’oggetto nel corpo e nello spirito evocandone passato, presente e futuro nelle opere esposte, linee di unione tra il mondo ristretto dell’arte e quello ad essa esterno.

“A proposito di realtà ed illusione, nell’occuparsi di un evento così grande è una linea di confine molto sottile, sono tantissime le istituzioni, le gallerie, gli artisti coinvolti, noi ci auguriamo che tutti siano contemporaneamente attivi e sintonizzati ma nella realtà le inaugurazioni dei vari musei a Vienna che potrebbero presentarsi in contemporanea con noi non lo fanno sempre, per vari motivi, questa è in parte un’illusione, come un paesaggio visto da lontano: la perfezione dei confini, dei colori, delle forme che con l’avvicinarsi dell’osservatore rivelano imperfezioni e non omogeneità. In pratica se diamo uno sguardo al calendario dell’arte un anno prima della Vienna Fair sembra che tutto si concentri in quei giorni ma poi con l’avvicinarsi delle date ci si accorge che alcuni eventi accadono la settimana prima o dopo.”

Nell’arte la maschera rappresenta sia un’identità sovrapposta, fittizia, così come, in prestito dallo sciamanesimo, assumere le sembianze di qualcosa, divenire quel qualcosa per poter svolgere una funzione, in questo caso per nulla artefatta. Sotto questa luce la Fiera è un estremo viaggio attraverso questa dualità, nelle vie rappresentate attraverso il passaggio da una galleria all’altra, da un autore all’altro, paesaggi casuali creati solo in un contesto così fuori dalla norma in cui la straordinarietà di un’opera diventa come un semplice tassello di un gigantesco mosaico. È come muoversi in una città, dell’arte però, con i suoi punti di ristoro e le sue breaking news, i suoi eventi drammatici e quelli divertenti, personalità semplici o complesse che s’incontrano.

“Per me è molto, molto importante la navigazione all’interno della Fiera e la disposizione delle informazioni, questo è molto più importante che avere qualcosa di nuovo da mostrare rispetto all’edizione precedente. Lo scorso anno, solo per fare un esempio, avevamo introdotto questi incontri dove i collezionisti parlavano del loro lavoro, di cosa li interessasse e di cosa cercassero… è stato un evento di grandissima importanza per gli addetti ai lavori, per poi scoprire che alcuni galleristi non ne erano venuti a conoscenza. Ecco un perfetto esempio di come possa nascondersi molto lavoro dietro una iniziativa ma se non si fa in modo di comunicarla ai diretti interessati è come non fosse esistita.”

Lungo i “viali” della Fiera può capitare di imbattersi in piccoli gruppi di persone, sono le cosiddette Good guide. Bad guide ovvero studenti dell’Accademia di Belle Arti che guidano i visitatori attraverso gli stands per far conoscere, introdurre le opere e gli artisti.

“Il mercato dell’arte, in generale, nel mondo si sta espandendo, non significa che più persone di ieri ne siano partecipi ma aumentano le situazioni create per vendere così come cresce l’interesse nell’arte contemporanea, aumentano le piattaforme, ne nascono ogni giorno di nuove e di più, i canali per commerciare. Aumenta il numero dei pezzi che vengono venduti e comprati. L’industria dell’arte si sta ingrandendo. Questo significa che chi comprava già prima, ora compra di più, quindi, di conseguenza, i ricchi sono più ricchi. L’acquisto intuitivo, spontaneo, aumenta più del commercio fatto dalle Gallerie, il mondo della compravendita di arte si sta ingrandendo ma nella sfaccettatura della diversità dei suoi canali e non attraverso quelli tradizionali.”

In fondo a questo percorso mi son trovato spesso di fronte all’esigenza di lasciare su la mia maschera, in alcuni casi l’ho momentaneamente abbassata, mi è sembrato spesso di guardare, intravedere tra le pieghe delle maschere dell’arte.

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Dario Lombardi nasce a Roma, si diploma all’Istituto Superiore di Fotografia. Vive e lavora a Vienna come freelance. Ha affrontato diversi generi nella sua professione, dalla fotografia di scena, teatro e danza, passando per la moda ed arrivando al ritratto. Si confronta negli ultimi lavori con la tematica dell’essere umano ed il suo rapporto con il contesto in cui vive. Nel 2008 espone “Hinsichtlich”, reportage sulla donna che veste il velo come scelta religiosa e come confine tra la sfera privata e pubblica. Nel 2009 pubblica insieme con Gianluca Amadei una serie di interviste e ritratti sulla scena professionale ed artistica dei designers in Polonia, dal titolo “Discovering Women in Polish Design”. Attualmente si occupa della mostra-installazione “Timensions” per il Singapore Art Museum 2012, una ricerca sul rapporto tra l’uomo e lo spazio/tempo.

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