La profezia dei guerrieri dell’arcobaleno #2

El maiz pinto, un granellino innocente che può uccidere in breve tempo chi lo riceva in dono.

Si insinua nelle viscere e poi nei polmoni, fino a provocare la morte tra atroci dolori”, raccontava il grande capo Nuvola Rossa nelle sue memorie.

Ma può avere anche un significato benaugurale, dipende dalla volontà di chi lo dona”, mi aveva rassicurata lo sciamano indios che avevo incontrato 12 anni fa ad un reading di poesia, a favore dei popoli indigeni.

Mentre stringevo in mano alcuni chicchi di quel grano vermiglio, simbolo dell’amicizia che ci veniva offerta, per un attimo avevo sospettato davvero che potesse contenere tutto l’odio e il disprezzo che l’uomo bianco aveva meritato da parte di questa pacifica gente.

Negli anni che seguirono, quel seme mise davvero radici in me, ma lo fece accendendo una consapevolezza profonda, un rispetto e una comprensione speciale per questi popoli gloriosi e sfortunati.

Durante quei giorni di luglio del 2005, Lance Henson, poeta cheyenne, si era presentato a noi astanti, sotto le mura di Urbino, e lo aveva fatto parlando, tra l’altro, della triste vicenda di Leonard Peltier, il nativo detenuto dagli anni 70 nelle carceri americane.

Ricordo che, in seguito, ricevetti per qualche tempo un giornalino a lui dedicato, con petizioni, notizie sul suo stato di salute e splendidi disegni che questo nativo aveva realizzato durante quarant’anni di detenzione e carcere duro.
Senza entrare in merito ai fatti (oggigiorno chiunque può informarsi in proposito), rimane il simbolo di un popolo dimenticato e oltraggiato nei suoi diritti inalienabili.

Ma anche chi non sia recluso in carcere, come i nativi che abitano gli Stati di Oklaoma, New Mexico, Arizona e Alaska, trascorre la sua vita miseramente, nelle cosidette “riserve” e l’occasione di un lavoro in miniera o come colf, viene considerato già una fortuna.

Molti giovani e anziani vivono in povertà e divengono preda della dipendenza da superalcolici e da junk food, altri cedono alla disperazione e tentano il suicidio, oppure cadono ammalati.
Se l’Obama care aveva restituito a molti di loro una speranza, adesso la loro sorte tornerà ad essere incerta.

Nonostante la precarietà della propria esistenza, questa gente ha trovato il coraggio di reagire per contrastare la nuova minaccia, rappresentata da un oleodotto, un impianto la cui realizzazione sconvolgerebbe il sistema idrogeologico di diversi stati americani.
L’hanno fatto manifestando pacificamente. Resistere è divenuto l’imperativo principale.

Questa la situazione descrittaci da Lance Henson, poeta Nativo Americano, la cui voce si leva per difendere il suo popolo, anche riguardo le accuse di mala gestione dei casinò nelle riserve indiane:

Oltre alla difesa dei territori dalla costruzione dell’oleodotto, uno dei temi scottanti della contesa con il governo americano, riguarda il monopolio del gioco d’azzardo da parte dei nativi, in che modo giudichi le accuse che vi vengono rivolte?

Come ti dicevo, la condizione in cui la mia gente sopravvive è deplorevole, con mancanza di posti di lavoro dal 30, al settanta per cento. Alcune tribù hanno aperto dei casinò e l’ingresso del denaro da queste attività spesso aiuta molto. Sfortunatamente molte tribù fanno le spese della stessa corruzione presente in quest’ambiente e non possono essere considerati i soli responsabili.
Ora la situazione potrà anche peggiorare, perché l’amministrazione Trump ha intenzione di privatizzare le riserve dei nativi. Se questo accadesse, le tribù soffrirebbero in mano alle corporazioni di speculatori: anche questo dimostra il disprezzo al vetriolo di cui sono fatti oggetto i nativi americani da parte della politica governativa.
In generale c’è molta paura e apprensione tra le tribù; Trump sta aprendo i parchi nazionali alle speculazioni delle compagnie di gas e petrolio. Ha promosso l’attività estrattiva che devasterà enormi territori e distruggerà la vita della mia gente.

Per protestare contro tutto questo, è in programma una manifestazione del tuo popolo, una vera e propria marcia delle tribù nel cuore della capitale degli Stati Uniti, annunciata per il prossimo ottobre 2017; ritieni che possa rappresentare l’occasione giusta per ottenere attenzione?

Per rispondere alla tua domanda, ti dirò che le tribù andranno ammassandosi a Washington il prossimo ottobre, per protestare ed avere chiarimenti dal presidente. Una delle preoccupazione risale ai commenti di Zinke (Ryan Zinke, cinquantaduesimo segretario degli interni attualmente designato, NdR), che ha suggerito ai capi delle tribù, non più tardi di pochi mesi fa, di permettere alle compagnie degli oleodotti di comprare i territori delle riserve, in modo da far sì che le tribù possano beneficiare dei soldi pagati direttamente a loro, senza passare dall’Ufficio per gli affari Indiani (The Bureau of Indian Affairs’ Red Tape).

Ma questa è privatizzazione e condurrà al termine dei trattati tribali e all’abrogazione del riconoscimento federale.

Vine Deloria, il brillante teologo Lakota ed avvocato, affermò, prima della sua morte (una morte non investigata, avvenuta durante un semplicissimo intervento di calcoli, negli Stati Uniti), che entro la prossima generazione di nativi, due terzi di loro avrebbero capitolato all’assimilazione.
È chiaro che si tratta solo dell’inizio di una serie di provvedimenti federali che hanno lo scopo di privarci dei nostri diritti sulla terra e di ogni aggancio, da noi considerato sacro, alle nostre realtà di custodi della cultura indigena.

Hai scritto 23 libri di poesia e le tue opere sono state tradotte in ben 25 lingue e poi sei stato chiamato a rappresentare la nazione Cheyenne al gruppo di lavoro delle Nazioni Unite, ma i tuoi versi non rappresentano il canto del cigno di un popolo sconfitto: qual’è il ruolo della tua poetica nell’era della globalizzazione?

Come poeta mi batto per rappresentare ovunque la voce dei popoli nativi.
Attualmente dirigo un progetto (Words from the edge) che si occupa di invitare poeti delle minoranze indigene a parlare alle assemblee europee. Un invito rivolto sopratutto a quei letterati appartenenti ad etnie che siano state lese dalla politica colonialista o che siano attualmente in pericolo.

Nel corso del 2017, organizzeremo un tour di visibilità per questi poeti, che comprenderà Italia, Francia e Germania. Sfortunatamente non toccheremo gli Stati Uniti, dove il capitalismo, privo di catene, sta distruggendo e controllando ogni aspetto della società, dal business alla cultura.

Tra lo sconfinato patrimonio di leggende del tuo popolo, quella dei Guerrieri dell’Arcobaleno sembra straordinariamente coerente col panorama attuale: ritieni che i Nativi Americani potranno convincere il mondo della necessità di difendere il patrimonio naturale e conquistare questo ruolo di difensori della terra?

È vero: abbiamo un patrimonio incredibile di leggende.
Mi sembra opportuno ricordare quelle del guerriero visionario Crazy Horse, che, poco prima di venire ucciso dagli yankees, espresse una profezia di proporzioni epiche, che potrebbe davvero realizzarsi.
Lui indicò nella settima generazione del mondo tribale, quella che avrebbe assunto la difesa del mondo. Questa gente, secondo la sua previsione, si immolerà, lottando contro ogni prepotenza dispotica.

E, lo scorso agosto 2016, la protesta del mio popolo si è davvero estesa al mondo intero: una protesta per difendere una preziosa risorsa di acqua, che alimenta un intero ecosistema.
Ma io sono oramai un vecchio guerriero Cheyenne, sundancer e poeta, quindi posso offrire solo queste poche parole di incoraggiamento:

Siamo nati fuori dall’acqua nella pace,
la pace di un mondo perduto,
ma dobbiamo chiarire il nostro ruolo
alle generazioni future.
Dobbiamo insegnare ai nostri figli quelle cose
che daranno senso alla loro vita
il senso che gli farà desiderare di viverla”.

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Fulminata sulla via della recitazione a 9 anni, volevo fare la filmmaker a 14 e sognavo la trasposizione cinematografica dei miei romanzi a 17. Solo a 18 anni ho iniziato a flirtare col cinema d'autore ed a scrivere per La Gazzetta di Casalpalocco e per il Messaggero, sotto lo sguardo attento del mio​ indimenticato​ maestro, il giornalista ​Fabrizio Schneide​r​. Alla fine degli anni 90, durante gli studi di Filosofia prima e di Psicologia poi, ho dato vita ad un progetto di ricettività ecologica: un rifugio d'autore, dove gli artisti potessero concentrare la loro vena creativa, premiato dalla Comunità Europea. Attualmente sono autrice della rubrica "Polvere di stelle" sul magazine art a part of cult(ure) e collaboro con altre testate giornalistiche; la mia passione è sempre la sceneggiatura, con due progetti nel cassetto, che spero di poter realizzare a breve.

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