Animali e altri esseri o l’essere animale e l’altro da sé. Il Bestiario frattale di Jean-Claude Meynard (II)

imagine per Jean-Claude Meynard
J.-C. Meynard, Pégasus, 2014

Proseguiamo l’approfondimento sul Bestiario Frattale di Jean-Claude Meynard, affrontato in una prima parte qui; ebbene, con Tortue Yi JingOurang Outan Homme de la Forêt, Memoire d’Ėléphant e Pégasus, Meynard incrocia e dialettizza il contenuto sapienziale dell’I Ching cinese (pubblicato in latino in Occidente nel 1687), che compendia il tema del mutamento attraverso la pratica divinatoria ed osservazioni matematico-filosofiche, con la cultura figurativa del Rinascimento e Barocco ( in cui già si profila la modernità).

Per quest’ultima, l’animale è ancora compreso all’interno dei parametri simbolici cristiani, pur cominciando a defilarsi rispetto allo sfondo valoriale che sottostava loro come significato esplicito. Dürer, raffigurando il rinoceronte, introduce istanze d’osservazione che anticipano l’interesse parascientifico verso il dettaglio e la morfologia dell’esemplare bianco, in una sorta di ricognizione precisa della sua struttura, che è già sintomo di una volontà di sguardo tesa a sintetizzarne in forma cognitiva l’estraneità zoologica di specie e il carattere esotico di genere.

Nello stesso tempo quest’attitudine depotenzia la specificità animale delle sue componenti qualitative (per Cartesio,  le bestie non hanno espressività pensante) e ne sottolinea soltanto il lato dinamico-macchinico.

L’immagine del guscio di Tortue Yi Jing è formato da quadrati ottenuti saldando le estremità di più figure umanoidi (simili a quelle presenti in Nid d’Abeilles), che paiono librarsi sulla superficie come una formazione di paracadutisti in caduta libera.

Il reticolo delle scaglie del carapace pare richiamare i 64 esagrammi che formano I Ching (composti da linee continue e interrotte secondo i principi opposti Yang e Yin, che costituiscono le polarità di cui si compone il mondo).

La mantica cinese delle origini utilizzava il guscio della tartaruga, dopo averlo gettato nel fuoco, e ne traeva previsioni leggendo la continuità o meno delle fratture prodotte dalla rottura dell’osso surriscaldato.

La metamorfosi del tessuto organico inscriveva al suo interno la giustezza dell’interpretazione. Affiancato a questo plesso significante, l’artista sicuramente situa anche agganci allusivi a Leibniz e alla numerazione binaria che il filosofo tedesco fu in grado di  ipotizzare dallo studio dell’I Ching. La notazione binaria è alla base della logica booleana, i cui sviluppi successivi nell’ambito delle telecomunicazioni e della commutazione delle informazioni hanno portato alla nascita del computer.

Con Ourang Outan Homme de la Forêt, Meynard meticcia la figura della scimmia, in quanto segno zodiacale e carattere dell’oroscopo cinese,  con l’immagine dell’uomo vitruviano di Leonardo da Vinci (nato il 15 aprile 1452, quindi sotto il segno della scimmia per i cinesi).

Il corpo dell’orango viene modellato dall’artista con quadrati e rettangoli in cui è iscritta frattalmente la sagoma quasi fetale di un essere antropomorfo nell’atto di salire (la scala evolutiva, forse).

Il primate meynardiano, compreso idealmente in un quadrato, è a braccia e gambe allargate nella posizione che l’uomo di Leonardo assume all’interno del cerchio. Tuttavia, mentre quest’ultimo è pure inscritto in un quadrato disassato  rispetto al cerchio, esso poggia gli arti inferiori sulla base di uno spazio rettangolare.

Dato che per Leonardo le proporzioni del quadrato  e del cerchio rimandano al legame statico e contingente dell’uomo con la natura e a quello dinamico ‘divino’ della conoscenza da parte sua, simboleggiando così l’evoluzione umana come l’animazione spirituale della materia attraverso l’arte e la scienza, Meynard sembra suggerire per l’animale un percorso di crescita completamente mondano nel quale la fatica dell’inventiva ‘genetica’ non debba assumere i parametri di un confronto con l’altro da sé secondo una prospettiva trascendente.

L’orango meynardiano  pare indicarci un viatico di trasformazione all’interno della nostra propria finitudine.

Sempre su questa tonalità simbolica è concepita anche Memoire d’Elèphant. L’elemento qualitativo del ricordo, uno degli attributi caratteristici e non meccanici dell’elefante, caratterizza anche l’artista  (che è dotato di una memoria visiva quasi prodigiosa). In chiave metonimica, l’opera si costruisce sulla proliferazione frattale astratta della testa e del volto di  Meynard, lasciando intendere che le fattezze proteiformi dell’animale (testa, proboscide e zanne) traggono sostanza ed essenza dai suoi tratti fisiognomici.

Con questo lavoro, l’artista metaforizza la dialettica complessa che contraddistingue il discorso etologico sulle capacità cognitive dei viventi. Infatti, se i dati mnemonici consentono di attuare pratiche previsionali e indirizzare il comportamento futuro in correlazione a quanto esperito in precedenza, sembra legittimo ascrivere anche alle bestie una qualche intenzionalità coscienziale, come fa, tra gli altri, John R.Searle [1].

Pure Pégasus può essere ricondotto a questo campo d’interrogazioni sulla psicologia animale (al di là dell’ovvio riferimento alla mitologia e al calendario cinese, che ne esaltano le virtù dinamiche), dal momento che al pari di Tortue Yi Jing e Nid d’Abeilles il corpo è ‘figurato’ assemblando a ventaglio componenti della stessa silhouette antropomorfa.

L’effetto piumato che l’immagine pone in risalto sembra rinviare contestualmente all’Ippogrifo (assieme al mondo letterario immaginifico di  Ludovico Ariosto) e al suo legame con  Orlando, poiché come destriero di Astolfo vola sulla Luna contribuendo a recuperare  la ragione  e la memoria dell’eroe. In questa prospettiva, il quadrupede alato funge da metafora causale della trasformazione del furioso Orlando in essere razionale.

Sotto l’egida della ragione, l’Illuminismo comincia ad impostare la problematica dello statuto giuridico degli animali, proprio mentre il loro riconoscimento scientifico (in cui s’apparentano con l’umano) viene codificato attraverso le classificazioni e le tassonomie evolutive da Linneo a Darwin.

Di contro, la complicata caratura etica di un diritto animale si scontra con la contraddizione del loro sacrificio in quanto esercito di sussistenza alimentare per l’uomo [2].

L’essere commestibile dei mammiferi e non (nell’allevamento) viene a sua volta dialettizzato in parallelo alla fantasmatica della pericolosità e ferocia delle specie selvatiche, capaci a loro volta di mangiare il signore del creato. Intorno a questa sovranità, lungo i cui bordi si profilano la legge e l’interdetto, la giustizia e lo stato (come ha ben individuato Derrida nei seminari su La Bestia e il Sovrano)[3], ma soprattutto la pertinenza dell’animale a condividere (in senso ontologico) un mondo rispetto all’esserci dell’uomo, si gioca anche l’esperienza autentica della finitudine che sembrerebbe per alcuni (tra questi, Heidegger) non appartenere al registro di consapevolezza logica della bestia.

L’opera del Bestiario che meglio esprime questa ridda di spunti interrogativi e riflessivi è sicuramente La Féline, per la cui realizzazione Meynard ha rispolverato uno vecchio stilema espressivo (utilizzato all’inizio degli anni ’90 per visualizzare  la prima volta frattalmente  l’umano all’interno della complessità del reale): quello dello scriba.

Tuttavia, nella serie Scribi e Faraoni, il corpo dello scrivente reale era metafora (come ha ben individuato Susan Condè) della “frattalità dello spirito” nelle sue componenti topografiche e formali, mentre in La Féline contribuisce con la sua frammentazione a costruire il muso e gli occhi dell’allotropo femminile zoo-antropico in quanto sineddoche del potere, della legge e della scrittura. La felinità (il genere femminile) della creatura che Meynard inventa, rendendo nuovamente significanti dopo vent’anni i tratti somatici dello scriba, trae così alimento dalle caratteristiche del simbolico.

L’artista ci fa intravedere la cifra del suo progetto in quanto tentativo di presentare il vivente nell’articolarsi fluente e indifferenziato della propria trasformazione.

Lungo questo percorso, i poli distintivi e identitari dell’umano  e del bestiale tendono a sfumare. Meynard  sembra concordare con Derrida (in polemica con Lacan circa l’alterità dell’Altro) rispetto alla sicurezza di assegnare la primazia all’ordine simbolico in quanto il solo deputato a caratterizzare la specificità dell’uomo (il cui inconscio sarebbe strutturato dall’Altro del linguaggio, per Lacan), mentre l’animale ne sarebbe escluso poiché trattenuto nella propria ipseità all’interno dell’immaginario.

 

 

 

Note

1.  Cfr.John R.Searle, Vedere le cose come sono. Una teoria della percezione, tr.it. Milano, Raffaello Cortina, 2016

2.  Condizione sottolineata con vigore da Peter Singer in Liberazione animale (tr.it. Milano, Net, 2003).

3.  Jacques Derrida, La bestia e il sovrano, voll.I-II, tr.it. Milano, Jaca Book, 2009, 2010.

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Pagliasso, Giancarlo (Torino, 1949). Estetologo, scenografo, artista e scrittore. Fondatore, nel 1976, del G.R.M. e direttore dello Studio 16/e (Torino, 1977-90). Teorico e artista dell’Arte Debole (1985-96). Direttore dal 1997, dell’agenzia d’arte Figure. Caporedattore della rivista www.Iride.to. (2002-2004). Ha pubblicato: Déjà Chimera Saggi/Writings, 1987-90 (Tangeri, 2001); La retorica dell’arte contemporanea (Udine,Campanotto, 2011); Il deficit estetico nell’arte contemporanea (Cercenasco, Marcovalerio, 2015); Fotografia 2 (Udine, Campanotto, 2015); Il nuovo mondo estetico (con Enrico M. Di Palma) (Cercenasco, Marcovalerio, 2020). Ha curato: Sheol (Torino, Marco Valerio, 2003); Collins&Milazzo Hyperframes (Udine, Campanotto, 2005); Julian Beck. Diari 1948-1957. (Udine, Campanotto, 2008); Julian Beck. In the Name of Painting (Pordenone, 2009). Curatore di mostre in Italia e all’estero, è uno dei redattori di Zeta (Udine), con cui collabora dal 2005.

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