Mishandeled Archive. L’archivio sparpagliato di Tara Fatehi Irani artista performer iraniana – Con intervista

immagine per Tara Fatehi Irani Mishandled Archive, performance
Tara Fatehi Irani , Mishandled Archive, performance photograph, Nuffield Theatre (Lancaster), 2020, © Darren Andrews

Mishandeled Archive (l’archivio sparpagliato) è il nome del progetto interdisciplinare dell’artista-performer iraniana Tara Fatehi Irani.

L’artista, ogni giorno per un anno, costruisce una site-specific microperformance che sfida la nostra lettura della storia e degli archivi e ci fa viaggiare tra realtà e fiction. Ogni giorno sceglie un frammento di un’immagine da un archivio delle immagini di diverse famiglie e lo sposta negli spazi pubblici dove era di passaggio. Ogni volta misura la temperatura di quel luogo e sul posto performa un ballo. Dopodichè, dietro ogni immagine Tara descrive la coreografia eseguita, temperatura, data, numero della foto, un titolo e hashtag del nome del progetto e lascia lì l’immagine con un messaggio per chi la troverà.

L’archivio che Tara Fatehi Irani crea, viene sparpagliato giorno dopo giorno per attivare altri corpi e altre storie. L’artista, in un rito quotidiano condivide la metodologia della resistenza attraverso la ripetizione di continue piccole azioni. Tramite fotografie, storie orali, coreografia, informazioni dettagliate del luogo e condivisione sui social media, l’artista crea una testimonianza corale, traccia una mappa del nomadismo. In breve, con una serie di azioni performative e narrative, rende visibile nuove forme inedite e così intreccia il passato con altri futuri possibili ed immaginabili.

Nell’autunno 2020 il progetto prende un’altra nuova forma in un interessante volume intitolato Mishandeled Archive e viene pubblicata da “Live Art Development Agency” a Londra. La pubblicazione include contributi di: Nicola Conibere, Maddy Costa, Diana Damian Martin, Eirini Kartsaki, Joe Kelleher, Shahram Khosravi, Giulia Palladini, Mary Paterson, Marco Pustianaz, Anahid Ravanpoor, Holly Revell e Jemima Yong.

Il libro si apre con la classica frase iniziale delle favole iraniane che al posto del classico “c’era una volta” introduce con “c’era e non c’era una volta”. L’autrice ci racconta come la sua storia iniziò dalla misteriosa chiamata di due sorelle che conosceva da qualche anno. Tara le chiama con le sole iniziali dei loro nomi: ShaDi (preso da Shahrzād e da sua sorella Dīnāzād delle mille e una notte).

Queste due sorelle le raccontano come per mille notti hanno raccolto e raccontato le storie qua e là, come si ricordavano le storie di ogni singola persona che hanno incontrato in queste notti; storie che neanche loro ormai ricordano più. Le sorelle raccontano storie fantasiose, delle montagne sciolte come crema, la pioggia di Baclava ( un dessert popolare in Turchia, Iran e in gran parte delle cucine dell’Asia Minore, dell’Est Europa e dei Balcani), dei fiumi dentro gli appartamenti e di bambini che diventano gigli, e così via.

Le sorelle ShaDi, in modo caotico, raccontano anche tante memorie dimenticate, segreti, guerre e rivoluzioni, migrazioni, e saltano da una storia all’altra senza terminarle. Appunto sparpagliano le storie. Poi la chiamata viene interrotta a metà, e l’avventura della nostra artista inizia.

La presentazione online del libro, insieme alle diverse presentazioni performative, è stata realizzata l’11 novembre 2020. Il libro è stato pubblicato con i fondi dell’Arts Council England e The National Lottery. Potete ordinare il libro con la firma e dedica sul sito dell’artista qui: https://www.tarafatehi.com/mishandled-archive-book

Abbiamo avuto l’occasione di fare due chiacchiere con l’artista prima della festa del lancio del libro.

L’intervista: Tara Fatehi Irani e Helia Hamedani

 

H.H. Oltre al libro, hai creato diverse performance con l’esito della tua pratica di un anno, ci racconti come procedevano queste azioni? 

T.F.I. Le fotografie e la descrizione delle coreografie che sono stati prodotti durante la pratica di un anno, sono culminati in varie performance-installazione. Volevo condividere tutto ciò che ho fatto in un unico posto ed ero molto interessata a condividere l’esperienza corporea di queste danze quotidiane con gli altri in un’unica stanza. Questo è possibile solo dal vivo e sotto una forma performativa.

Per le perfomance invito artisti locali a performare con me e con il loro aiuto coinvolgo il pubblico a ballare, parlare e creare lo spettacolo con me. Spero che le persone che entrano all’interno dell’installazione viaggino in tutti i luoghi in cui sono state scattate le fotografie e immaginino di camminare nei luoghi in cui effettivamente non hanno camminato.

Le performance sono state realizzate in collaborazione con il musicista e sound artist Pouya Ehsaei. La musica di Pouya è davvero cruciale per creare un’atmosfera coinvolgente in cui tutti possano galleggiare tra le foto, le danze e i corpi in movimento.

Ho presentato il progetto come una performance-installazione e come una mostra in Iran e in Inghilterra. Le prossime performance sono rimandate a causa dell’emergenza covid-19 che nessuna sa ancora fino a quando ci fermerà. Ma quando questa emergenza sanitaria sarà finita, io sarò entusiasta di portarla in posti nuovi.

Dietro le immagini che lasciavi, a volte nascondevi, negli spazi pubblici scrivi:
“ Caro/a … per favore salva questo pezzo e contattami per la storia intera. L’hai trovato, è tuo/a. Condividi con #MishandeledArchive. Fortunato/a … ricereverai un regalo, contattami! ….”;  ti hanno contattata? Se sì, cosa gli hai raccontato? Cosa hai scoperto?

Sul retro di ogni fotografia c’è un messaggio scritto a mano per chi la trova in cui chiedo di scrivermi o di seguire il progetto online. Mi interessa come la storia di queste fotografie continua, dove e da chi vengono scoperte e dove finiscono. Con le persone che mi hanno scritto, spesso, abbiamo avuto uno scambio di battute, per esempio mi dicevano come avevano visto la foto. Un assistente di volo l’ha trovata in aereo, una su un treno, una ragazza nella classe di ballo di sua sorella, un’altra mentre attraversava il marciapiede della stazione di Kings Cross a Londra e così via.

In cambio, io gli ho raccontato del frammento della fotografia che avevano trovato. Non condivido le storie di ogni singola foto nel progetto; cose come chi è la persona nella foto, se io le conosco o no, dove si trova, o chi l’ha scattata e cosa è successo alle persone ritratte nelle foto. Perché il progetto è più focalizzato sulla trasformazione delle storie che conosco in nuove fotografie, movimenti, temperature e hashtag. Tuttavia, ho condiviso le informazioni aggiuntive con le persone che mi hanno contattato. A loro, ho raccontato le storie delle foto in modo da avere la possibilità di fornirgli un nuovo punto di accesso alle fotografie che avevano trovato. Un piccolo extra per coloro che hanno fatto un passo in più per mettersi in contatto. Le loro piccole storie d’incontro con le mie foto e le loro fotografie di dove tengono ora queste foto – materiale inviatomi successivamente – ha sicuramente aggiunto una nuova dimensione al mio lavoro. La storia continua finché la dispersione continua.

Hanno contributo al tuo libro autori, pensatori ed artisti prestigiosi tra cui anche due professori italiani. Potresti raccontare per i nostri lettori in italia la relazione di contributori con il tuo progetto?

Tutti i collaboratori sono stati invitati a pensare con Mishandeled Archive piuttosto che scrivere sul progetto. Gli ho chiesto di usare questo Archivio come una lente attraverso la quale scrivere sugli argomenti che li interessano. Questo invito in effetti ha aperto Mishandeled Archive a molteplici letture che mi hanno aiutato a vedere il mio progetto sotto una nuova luce. Non volevo che il libro fosse il mio punto di vista individuale, e preziosi contributi di altri collaboratori hanno realizzato la visione polifonica che desideravo per questo progetto.

Inoltre, Giulia Palladini e Marco Pustianaz sono entrambi ricercatori e scrittori con un focus specifico su performance, archivi e affetti e io sono stata ispirata dai loro testi. Li ho conosciuti nel 2017 – quando facevo il mio progetto quotidiano per un anno – al lancio del loro libro Lexione for an Affective Archive (Lessico per un Archivio Affettivo) presso Live Art Development Agency. Mi hanno invitato a performare e io ho realizzato uno delle mie azioni quotidiane al lancio del loro libro, e ho messo una fotografia su una pagina del loro libro lasciata vuota per cose che non sono nel libro. Se andate al giorno #173 nel mio libro vedete le mani di Giulia che tengono il libro soprannominato.

Il tuo archivio segue le tradizioni femminili di Story telling, in specifico quello di 1001 notte tradotto in tante lingue e che in diverse culture viene spesso ricordato con  Shahrzād come narratrice ma tu insisti anche sull’altra donna Dīnāzād (la sorella per quale la storia viene narrata), chi è la seconda donna e perché è importante?

Con l’introduzione delle due sorelle ShaDi, intendevo collegare la mia pratica giornaliera alla tradizione di 1001 notte, al raccontare una storia ogni sera, al continuo raccontare che nel mondo di oggi chiaramente è diverso dalla metodologia di Shahrzad.

Il modello di due donne che insieme combattono contro il male è molto antico nella mitologia persiana. Queste due donne a volte sono due sorelle (come Shahrzad e Dinazad), a volte sorelle e madri, la bambina e la levatrice, la dea della terra e la dea dell’acqua e, andando ancora più indietro nell’antichità, sono due rami di un albero.

Tuttavia, il personaggio di Dina Azad (la sorrella della famosa narratrice Shahrzad), spesso rimane in disparte, ai margini. Molte persone che hanno familiarità con Shahrzad non conoscono l’esistenza della sorella. Dina Azad è silenziosa, e ascolta le storie che Shahrzad racconta. Ma se non ci fosse stata la sorella a chiedere una storia ogni notte, il fondamento del piano di Shahrzad di domare il re con le storie sarebbe andato in pezzi. Di conseguenza, se non ci fosse un supporto ai margini, le storie di Shahrzad perderebbero la loro qualità di salvezza.

Per me, scegliere il modello di due sorelle è da una parte l’introduzione della mia forma di narrazione (storie sparse su Instagram attraverso frammenti delle foto, danze e hashtag) come una forma contemporanea, e dall’altra il prolungamento della narrazione urbana di oggi. Sottolineo allo stesso tempo la necessità di stare insieme per produrre storia. Insisto sul fatto che la storia non è unica per sempre e non è una sola narrazione. La mia storia tramite frammenti delle foto e delle parole, non è la mia bensì pezzi strappati da luoghi diversi. Esattamente come le storie di Shahrzad erano una raccolta di tutte le storie che aveva letto o sentito. Allo stesso modo l’introduzione del Mishandeled Archive in forma di storie di due sorelle che viaggiano, accentua l’importanza delle narrazioni ai margini e la centralità del viaggio. Le storie di Shahrzad sono le storie delle persone meno visibili: donne, queer, demoni e streghe. Ciò che mi interessava era indagare quale narrazione contemporanea, sia al livello formale che del contenuto, potrebbe raccontare le narrazioni delle persone invisibili.

Il Trailer del progetto

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Helia Hamedani è storica dell’arte e curatrice indipendente, vive e lavora tra Italia e Iran. È laureata in Disegno Industriale in Iran e in Italia con laurea triennale e specialistica in storia dell'arte contemporanea all’Università della Sapienza di Roma. Oggi è impegnata nella ricerca per il dottorato allo stesso ateneo sulla storia dell'arte iraniana degli ultimi 60 anni. Helia Hamedani scrive per riviste d’arte in Italia ed in Iran. Come curatrice indipendente è da sempre particolarmente attenta all’interculturalità che manifesta curando la mostra Artisti Nomadi in Città d’Arte, nel 2013 presso il Factory al museo Macro di Testaccio, nella rassegna sul concetto di “casa” presso la galleria Nube di OOrt di Roma con tre appuntamenti annuali dal 2014 al 2017, nonché al MAAM Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz nel 2014 e al Daarbast Platform di Teheran nel 2017. Ha partecipato al primo progetto di mediazione in chiave interculturale del museo MAXXI dedicato alla mostra Unedited History nel 2014 e nel 2018 al laboratorio formativo e di progettazione partecipata sul tema del dialogo interculturale, progetto Artclicks, organizzato dal museo MAXXI e da ECCOM. È stata la curatrice della prima residenza di BridgeArt, e dal 2017 è nella commisione di giuria della residenza. Nel 2018 in collaborazione con Bridge Art ha co-curato il progetto “Bordercrossing” presente agli eventi collaterali della Biennale Manifesta12 a Palermo. Oggi partecipa alla co-curatela del progetto “Guardo in alto. Atelier di pratiche interculturali”, che nasce come progetto interculturale, e ora si è sviluppato diventando un progetto di inclusione e formazione nelle scuole italiane.

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