Il (fuori)salone delle feste

Il Salone del Design, la Design Week, il Salone del Mobile: da 30 anni lo chiamano in tutti i modi possibili ma nell’immaginario di chi ci è stato resta il leggendario Fuorisalone, l’evento cooltural più bello, emozionante e aggregante dell’anno, sia in Italia, sia nel mondo.

Ogni strada, ogni negozio, attività artigianale, boutique, bar e angolo della città si riempie di eventi ed esposizioni che ormai non sono più solo di oggetti e progetti di design ma evolvono di anno in anno sulla scia di ibridazioni sempre più deformattate dalle categorie obsolete e asfittiche del Novecento.

Soprattutto, faccio notare una cosa, anche se suona un po’ autoreferenziale, dato che lo dico ormai da 20 anni e da 20 anni progetto e lavoro agli stessi concept:

l’arte è ovunque perché le imprese, legate al design o meno, stanno imparando che l’arte lo dice meglio, che le valenze invisibili ma fondamentali di ogni prodotto e di ogni processo possono essere portate in emersione e rese tangibili e comprensibili solo da quegli artisti in grado di dare forma a dei contenuti impalpabili ma vitali.

Per cui si passa dalla comunicazione tradizionale, ormai considerata packaging dalla percezione comune, all’informazione sensoriale e intellettuale che l’arte trasmette alla ghiandola pineale, trasformando quindi la mera osservazione di un oggetto, di un progetto o di un contest, in esperienza emotiva che trasferisce l’utilità di quell’oggetto direttamente alla coscienza.

Ecco perché questo Fuorisalone 2021, oltre a rappresentare la rinascita di Milano e della voglia di vivere e scoprire, è la conferma che l’arte visiva è la forma di in_formazione più profonda e duratura che ci sia.

Torniamo al Salone, anzi al Fuorisalone: non vi aspettate che io entri nel merito del design, non sono un esperto, ma dal punto di vista del metodo ho visto cose fatte a regola d’arte che mi hanno davvero stimolato da ogni punto di vista, e proverò a condividere con voi questa esperienza con poche parole e moltissime immagini, foto scattate da me, come faccio sempre per questa rubrica, in modo da provare a farvi vivere almeno una parte di quelle esperienze, invitandovi a visitare Milano in occasione del MiArt (Fiera dell’Arte Contemporanea dal 16 al 19 settembre) e del MIA (Fiera della Fotografia dal 6 al 10 ottobre).

Incontrarsi di fronte alle forme intelligenti produce intelligenza e divArtimento non effimero.

Procediamo per tappe.

La prima: Stone Island in Via Savona. Meravigliosa installazione (Prototype Research Series) in cui sono stati coinvolti artisti e musicisti importanti, voluta e curata dal CEO, Carlo Rivetti, uomo illuminato e di grande competenza creativa, che tra l’altro mi ha gentilmente accompagnato a visitare l’installazione e a comprendere come abbiano messo in mostra un errore, l’esperimento di ossidazione che avrebbe dovuto dare ai nuovi capi un certo colore. In realtà, per via del rame, ha imprevedibilmente fatto in modo che alcuni materiali di nuova generazione si siano mangiati il tessuto.

Carlo Rivetti ha mostrato ed esposto il coraggio di dichiarare al mondo che senza qualche iniziale imprecisione e senza sperimentazione creativa non c’è nessuna invenzione possibile, nessuna evoluzione senza osservazione, nessun passo avanti nei territori ignoti della scoperta.

Ci siamo accorti sin da subito che l’unione immaginifica tra arte e design produce intelligenza: chissà se le imprese tradizionali (lo) capiranno prima della fine del XXI secolo.

Seconda tappa: la storica Piscina Cozzi della grande Milano modernista, già bellissima di suo, impreziosita dall’ironia intelligente di Toiletpaper, il collettivo artistico di Maurizio Cattelan. Imperdibile immersione, pur senza bagnarsi, nel concetto di acqua come elemento di cui siamo fatti. In ogni senso.

Terza tappa: Welcome to a beach in the Baroque. Installazione ossimorica in una delle rigenerazioni più prestigiose della vecchia Milano, Palazzo Litta, dove l’artista (in effetti: lo studio portoghese Aires Mateus) installa una cabina da spiaggia di dimensioni improbabili che genera, appunto, un cortocircuito identitario, tipico milanese: si può tornare a giocare con temi serissimi quali la convivenza, le architetture solide che reggono la vita in comune per secoli insieme all’idea di vacanza, colore, vita da spiaggia.

Stupenda e rivelatrice della matrice architettonica della vecchia Milano, le case di ringhiera, un luogo dove il concetto non biologico e forzoso di famiglia unica scompare, dove si può giocare protetti da 40 madri e 40 padri, oltre a una moltitudine di zii e parenti da condivisione di cortile e pianerottolo.

Quarta tappa: Hermes alla Pelota, luogo storico di Brera. Metafisica e segmenti cromatici di luci e ombre che creano nuovi corridoi mentali, partendo dall’antico Egitto e dalla Mesopotamia per arrivare alla pittura degli anni ’50, il Suprematismo, l’Astrazione geometrica. Una vera meraviglia. L’immaginazione si veste di visioni libere e gioiose ma intanto scopre la sezione aurea e le geometrie armoniche dell’universo. Un’esperienza bellissima.

Quinta e sesta tappa: l’incredibile Orto Botanico dell’Accademia di Brera stavolta si presta a un gioco che secondo me non funziona; quelle palle trasparenti che vedete contengono la quantità di CO2 che piante, uomini e cose riescono a trasformare nel loro ciclo vitale.
Ho trovato questa installazione (progettata da Carlo Ratti Associati per Eni) molto didascalica come soluzione, anche se suggestiva per merito dell’Orto.

Come suggestiva ma senza un vero graffio culturale ho trovato l’installazione di Dior che ha chiesto a dei designer di reinterpretare la sua iconica sedia da anciene regime, con il risultato che i designer hanno semplicemente ridisegnato le sedie. Giudicate voi dalle foto. Bellissimo invece il giardino interno di Palazzo Citterio, al cui interno erano ospitate appunto le sedie di Dior.

Settima tappa: l’Università Statale. Anche qui le installazioni erano molto suggestive ma poco incisive, molto didattiche (forse per scelta) e molto incombenti, a voler convincere il mondo della loro qualità. Salvo il gabbiano luminoso (Freedom) di Studio MAD che invece risultava un inno alla capacità di riprendere il volo pur restando seduti; in un luogo di cultura però, dove si vola senza le ali.

Ottava e ultima tappa, la più riuscita e intelligente di tutte: il Collettivo di Art Design ALCOVA (piattaforma per il design sviluppata da Space Caviar e Studio Vedèt) con le installazioni dei progetti internazionali all’ex Ospedale militare di Inganni, storico quartiere di Milano ancora da rigenerare.

Si tratta di un luogo magnifico, tra Lorenteggio e San Siro, dai grandi viali e luce ovunque che un tempo era periferia distante dai cuori della Milano efficientista, nonostante da lì arrivassero gli operai che producevano i beni di consumo, e oggi, nonostante le mille trasformazioni dell’area, ancora deve essere valorizzato come merita.

Alcova non ha bisogno di parole, bastano le immagini, salvo una sollecitazione per i più giovani: osservate come quello che i grandi lasciano andare al macero, i giovani siano in grado di trasformare in ricchezza fisica, metafisica, morale ed economica.

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Nato Matera, laureato in Scienze politiche nel 1989, dal 1990 al 2000 è Direttore delle Risorse Umane in tre diverse multinazionali (Montedison, SNIA e Ace Int.l). Oggi è un Contemporary Art Consultant e Cultural Projects Curator e si occupa di arte da parete e arte da processi: arte da collezione a beneficio di privati, appassionati e collezionisti, arte come pratica e approccio progettuale art thinking oriented per imprese di ogni genere, istituzioni e rigenerazione culturale, urbana e territoriale.

Come Art Consultant in_forma e supporta le scelte di collezionisti, acquirenti e appassionati di arte contemporanea nella selezione di opere d’arte di ricerca e di alta qualità, nell’analisi del miglior rapporto qualità prezzo e nella progettazione di intere collezioni, in Italia e nel mondo.

Come Cascino Progetti si occupa di strategie, ideazione e realizzazione di contenuti, interventi temporanei, installazioni permanenti, inserimento di arte e artisti a monte dei processi di ogni tipo di azienda e attività, di rigenerazione culturale e urbana di città, borghi, territori e paesaggio (insieme al mio Advisory Board e ai miei Partner che si occupano di heritage management digitale, architettura, design, economia della cultura e diritto societario).

È stato ideatore, promotore e co-autore del Manifesto Art Thinking siglato al MAXXI a Giugno 2019 insieme a scienziati, artisti, imprenditori, architetti, ingegneri e professionisti di ogni genere. Tra le altre cose ha ideato e curato la prima e la seconda edizione del Premio Terna per l’arte contemporanea con Gianluca Marziani (2008-2009). È stato membro della Commissione dei quattro esperti della Regione Puglia per il Piano strategico per la cultura (2016-2017: riallocazione di 480 MLN di Euro), ideatore e curatore del progetto Matera Alberga per Matera Capitale Europea della Cultura 2019, curatore di diversi progetti culturali per ENEL, Deutsche Bank, Helsinn, SAS Business Intelligence, UBI Banca, Bosch Security System, Fiera Milano, Macro Roma, MAXXI, Comune di Roma, Comune di Matera e altri.

Ha insegnato Organizzazione del Mercato dell’Arte e Progettazione culturale per i Master del Sole24Ore e della RUFA (Roma University of Art), e visiting professor di alcune università italiane e americane. Infine si occupa anche di education & edutainment; progetta e realizza workshop e webinBar sull’arte e la sua relazione con la psiche, sui benefici per l’intelligenza degli individui e la crescita e lo sviluppo di sistemi, territori e imprese. Scrive per Art a Part of Cult(ure), magazine on line inserito nel Codex dell’ADI (Associazione Design Industriale) per le valenze culturali del format, dove cura una sua rubrica su arte, evoluzioni ibride e mostre nel mondo, chiamata I racconti del Cascino.

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