Festival dell’Erranza. Lisa Ginzburg: viaggiare a occhi spalancati, sempre capaci di fare casa a se stessi

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Molteplice e sfaccettato il Festival dell’Erranza, giunto all’undicesima edizione, rappresenta un momento di riflessione, di dibattito, ma anche una proposta innovativa sul modo di affrontare il futuro di un mondo in continuo e rapido movimento.
Quest’anno, il tema è il viaggio della donna e dell’uomo, il viaggio visto come scoperta, conoscenza e possibilità di profondo cambiamento.
Il cammino come avventura e confronto; come possibilità di partire e di narrare, soprattutto attraverso la scrittura.
Donne e uomini liberi di andare per il mondo su cammini di grande evoluzione.
E, poiché la scrittura si fa lasciapassare del viaggio, dell’andare, dello scoprire, del crescere, chiediamo a Lisa Ginzburg, una delle scrittrici più generose e attente al viaggio, che sarà presente al Festival di parlarci di questo intreccio ineludibile fra scrivere e viaggiare.

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Cosa è per lei l’erranza e come la vive oggi, nel mondo che sembra non avere tempo per l’ascolto e la memoria?

Mi piace l’etimologia che associa l’errare all’errore. Penso che sia necessario molto esplorare, anche sbagliando, prima di acquisire un’esperienza, una saggezza del vivere nel senso di una propria misura, una propria andatura.

Dimensioni di ricerca molto lontane dalla fretta e dalla superficialità che imperano nel mondo attuale, certo. E d’altra parte, sono convinta che una dimensione di erranza vada rivendicata per ristabilire la profondità necessaria a una reale costruzione di sé stessi.

Viviamo in una società che enfatizza il “sistemarsi” , il “tutto a posto”, l’arroccarsi su di sé e su una gamma di stabilità apparenti: senza mettere in conto come invece l’identità si modelli e si costruisca a partire dal caos, dal sano disordine di una ricerca autentica, personale, che procede per “erranze”, nel significato sia di errabondaggi che di errori.

Una frase di un suo libroNoi impegnati a saper essere dimora a noi stessi, perché è in quel saperci offrire rifugio la fonte prima di qualsiasi creatività” sembra quasi una dichiarazione d’intenti degli erranti. Con il suo intervento intende suscitare immaginari creativi? E, secondo lei, l’errare, permette il dimorare?

Penso la creatività in termini di ossigeno: più c’è spazio, aria, sana distanza tra noi e le cose (distanza che non vuol dire separatezza, solo un sano obiettivare e mettere in prospettiva quel che ci interessa), più allora diviene possibile inventare, indagare, trovare una propria voce per le cose che abbiamo da dire (se ne abbiamo, il che non è scontato).

Gli “immaginari creativi” di cui lei dice, penso sorgano, si configurino, nel momento in cui si sprigiona aria. Quanto al possibile dimorare nonostante l’erranza, lo contemplo e ne sono convinta.

Molti anni fa ho letto un bellissimo piccolo libro di una meditante di yoga, Antonia Tronti, il cui titolo era: E rimanendo lasciati trasformare. Stando fermi, in profondo ascolto, ci raggiunge l’errabondaggio della trasformazione. Saper rimanere dentro sé è dimora: una volta concentrati su quel preciso punto interno di consapevolezza, lo stesso errare acquisisce molto più senso.

Lei è una viaggiatrice, una scrittrice che spesso ha reso l’incontro con l’altrove un tema non solo di narrazione, ma di ricerca sulla scrittura.

L’altrove è una chiave decisiva, senza la quale il mondo esala un’aria asfittica. D’altra parte, l’altrove si definisce a partire da un baricentro proprio. Per esserci un altrove, deve darsi un dove. E lo scrivere è un grande “dove” (tornare a casa, diceva Anna Maria Ortese) senza dubbio: un “ubi consistam” immateriale eppure fortissimo.

Il viaggio favorisce la scrittura? La incrementa, la fa scoprire, la rende dialogante?

Il viaggio nutre lo spirito, ma bisogna essere pronti per affrontarlo. Non sempre è tempo di viaggiare, né sempre lo spirito è nelle giuste condizioni per mettersi in cammino. Quando lo è, certo scrivere ne trova grande nutrimento, vero cibo.

Panorami che allenano lo sguardo ad ampliare lo spettro di visione, confronti con nuove culture e persone, mettersi alla prova affrontando condizioni che non possiedono il conforto dell’abitudine.

Tutto può aiutare a trarre ispirazione, e certo dall’ossigeno degli spazi le parole traggono forza. Dev’esserci però un altro tempo successivo, di rielaborazione e di riscrittura, e quello chiede stanzialità, non può avvenire in viaggio.

Il titolo di questa edizione del Festival dell’Erranza si rivolge alle donne e agli uomini cercando di unirne il sentire lungo l’esperienza del viaggiare attraverso lo spazio, ma anche lo spirito.
Crede che ci sia una differenza di vissuto del viaggio fra uomini e donne? Le viaggiatrici ci hanno riportato e ci riportano conoscenza, gli uomini sembra si concentrino più sulla scoperta. Lei trova che la libertà di andare sia di entrambi?

La libertà di andare è più dalla parte degli uomini, come quasi tutte le libertà, purtroppo. Ciò detto, certamente gli stimoli e le ispirazioni del viaggiare si compongono uguali per uomini e donne, senza distinzioni di genere.

Trovo molto bella l’iniziativa di questa edizione del Festival di rivolgersi, già nel titolo, agli uomini e alle donne insieme. Al di là dell’incultura e di una mentalità molto arretrata sul fronte della questione di genere, l’Italia nel suo dibattito culturale conta a mio avviso, negli ultimi anni, di un eccesso di separatismo.

Trovo urgente e salutare che i generi si parlino, dialoghino, si confrontino. Su ogni tema, compreso quello dell’esplorazione del mondo, che è una forma di esplorazione di sé.

Quanto all’attitudine di donne e uomini, può darsi sia diversa, ma penso che le reazioni al viaggiare, nel profondo, non conoscano sesso.

Cosa augura al suo viaggio e a quello dei suoi lettori?

Avere sempre occhi spalancati ad accogliere bellezza e novità, ma sempre proteggendosi e trovando rifugio nella capacità di fare casa a sé stessi.

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Giornalista culturale e autrice di testi ed adattamenti, si dedica da sempre alla ricerca di scritture, viaggi, tradizioni e memorie. Per dieci anni direttore responsabile del mensile "Carcere e Comunità" e co-fondatrice di "SOS Razzismo Italia", nel 1990 fonda l’Associazione Teatrale "The Way to the Indies Argillateatri". Collabora con diverse testate e si occupa di progetti non profit, educativi, teatrali, editoriali, letterari, giornalistici e web.

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