The Holdovers. Lezioni di vita. Dolcezza nascosta dei sentimenti dei 70s

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Gli Italiani debbono imparare l’inglese (sono anni che si dice…) ma i titoli dei film in inglese hanno anche un loro significato intrinseco, che si può perdere in traduzioni o doppi titoli, come per The Holdovers di Alexander Payne, bititolato banalmente Lezioni di vita.

The Holdovers genericamente significa “Quelli che restano” o meglio chi mantiene un posto, un ruolo quando tutti gli altri se ne vanno.

I rimanenti” del film del regista Payne, sceneggiato egregiamente da David Hemingson, rappresentano nel suo doppio significato i ragazzi del Barton College (innevato nel mese di dicembre) che per varie ragioni non possono ritornare in famiglia per le feste e sono costretti a rimanere nel College deserto e freddo, sia il professore con il ruolo di tutor (che mantiene il suo ruolo mentre gli altri sono andati via, e non è un premio ma una punizione) con il quale dovranno passare il Natale.

E chi è che rimane se non il più severo, rigido, pretenzioso Prof che vede solo lo studio (tiene la cattedra di Civilizzazioni antiche), l’impegno e le regole e considera gli studenti scansafatiche ignoranti, ribelli e stupidi allo stesso tempo.

È il Natale del 1970 e malgrado i bravi scenografi, costumisti e direttori della fotografia (il tocco delle luci dell’epoca è eccezionale) abbiano ricreato perfettamente l’atmosfera di quegli anni, da un punto di vista esistenziale sembra essere oggi.

Quasi ogni film attuale (a caso, Anatomia di una caduta; The Old Oak; Saltburn; Il punto di rugiada) sembra abbia bisogno di raccontare le conflittualità tra pensieri ed azioni contrapposte (di genere, età, censo, razze, ecc.) in questo caso di studenti-insegnanti.

La figura del Professor Paul Hunham (il già pluripremiato come attore protagonista Paul Giamatti) si trova tutt’oggi come allora, nel disastro scolastico, a voler dare lezioni di vita ad allievi e genitori, ma è odiato da studenti, famiglie e colleghi.

Osteggiato perfino dal Preside, suo vecchio allievo, perché ha bocciato il figlio di un senatore e pur avendo studiato alla Cambridge University insegna in un liceo, vive da solo e non sembra aver mai avuto fortuna con le donne.

La presentazione dei cinque studenti, che sono costretti a passare le feste natalizie nel College con un tale guardiano (Prof. Hunham) è quantomeno indicativa, in diversi casi ed in uno in particolare tale Angus Tully (il bravissimo esordiente Dominic Sessa) con problemi vari di regolare vita familiare, di frustrazioni e depressioni.

Non bisogna dimenticare che l’America, ed il mondo che ha girato sempre intorno al sistema di vita americano, erano già negli anni ’70, come ora riusciamo anche noi a vederci.

Il ribelle Angus (15 anni) non è solo contro il cattivo comportamento dei genitori e la loro indifferenza, ma ha problemi con tutti coloro che hanno un qualche potere, insegnanti, autorità, polizia.

In America le famiglie disfunzionali, di cui oggi parliamo molto anche noi, già allora mostravano le loro difficoltà (ricordiamo le sedute psichiatriche dei vari film dell’epoca) ad affrontare le coesistenze multiple, in maniera affettiva e favorevole allo sviluppo dei suoi membri.

L’ultima rimanente  è “la dea ex machina”, la cuoca afroamericana Mary Lamb (già pluripremiata come attrice non protagonista, Da Vine Joy Randolph) madre di un soldato, caduto da poco in Vietnam, che dovrà con provviste e mezzi ridotti far dimenticare la tristezza e la solitudine che incombono sul Collegio deserto e sui pensieri contrapposti degli altri due rimasti (gli altri ragazzi sono riusciti ad andare via). E questa famiglia rimediata e costruita a fatica ma vera, passerà il suo miglior Capodanno.

Una lunga introduzione per poter individuare poi quello che un regista impegnato come Payne (A proposito di Schmidt, Paradiso amaro, Nebraska, Sideways) ha voluto significare nel raccontare una storia di solitudini negli anni ’70 (il professore, il ragazzo e la cuoca) che si incontrano, si capiscono ed alla fine riescono a trovare, anche attraverso piccole avventure nel paese vicino, in un party della vigilia e nella città di Boston, quella solidarietà, comprensione reciproca, empatia, tenerezza, che è la vera faccia di un felice Natale.

Senza grandi feste e regali, con il piacere semplice delle cose (appena l’ombra dell’upper class di chi frequenta la scuola e della working class che invece serve in quella scuola d’elite) e con la dolcezza dei sentimenti veri si sciolgono tutte le amarezze e le difficoltà di vite vissute male, dentro e fuori sé stessi.

Con un finale positivo dopo le troppe tribolazioni avute, finalmente con scelte di vita trasparenti e libere che cancellano il pessimismo cosmico dei tre interpreti. “La vita è come un pollaio – aveva detto più volte il professore – schifosa e breve”. Mary aveva sempre il bicchiere in mano e le lacrime agli occhi per la perdita del figlio e Angus (con il padre in casa di cura e la madre in viaggio di nozze) si rifugiava solo nelle droghe e negli antidepressivi.

La risposta universale dell’amicizia comune porterà tutti a decisioni radicali, senza tener più conto delle scelte negative precedenti.

Il segreto di Alexander Payne è quello di aver dato profondità di idee e sentimenti ai suoi interpreti, che meritano i premi avuti e che riceveranno (gli Oscar), in un film agrodolce, che alterna momenti mesti e brillanti in grande equilibrio, dall’inizio travagliato ma ironico alla fine commovente e liberatoria. Cosa di cui ancora ne abbiamo estremo bisogno. Ed anche questo è cinema di impegno civile.

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Pino Moroni ha studiato e vissuto a Roma dove ha partecipato ai fermenti culturali del secolo scorso. Laureato in Giurisprudenza e giornalista pubblicista dal 1976, negli anni ’70/80 è stato collaboratore dei giornali: “Il Messaggero”, “Il Corriere dello Sport”, “Momento Sera”, “Tuscia”, “Corriere di Viterbo”. Ha vissuto e lavorato negli Stati Uniti. Dal 1990 è stato collaboratore di varie Agenzie Stampa, tra cui “Dire”, “Vespina Edizioni”,e “Mediapress2001”. E’ collaboratore dei siti Web: “Cinebazar”, “Forumcinema” e“Centro Sperimentale di Cinematografia”.

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