Kitsch e trash. Non sono sinonimi

Attack of the 50 Foot Woman, 1958 diretto da Nathan H. Juran col nome di Nathan Hertz. È un B movie di fantascienza, oggi considerato un classico.
Attack of the 50 Foot Woman, 1958 diretto da Nathan H. Juran col nome di Nathan Hertz. È un B movie di fantascienza, oggi considerato un classico.

Kitsch e trash. Non è un caso che le due parole vengano usate come sinonimi, dato che in maniera colloquiale il tedesco kitschen vuol dire “raccogliere spazzatura” anche nel senso di “comprare cianfrusaglie” o “collezionare cose usate”; ma la loro storia è ben diversa, e tale dovrebbe essere anche il loro uso.

Il kitsch accompagna la storia dell’arte da sempre, perché non è altro che quel modo dilettantistico e improvvisato di fare arte cercando di produrne i meri effetti estetici e ornamentali, ma senza la minima volontà di conoscenza del mondo o una forza espressiva autonoma. Quando la produzione artistica, nella sua evoluzione, è chiamata a fare i conti con le tecnologie di riproduzione e diffusione, il kitsch esplode come fenomeno di massa e arrivano i suoi primi teorici – Leo Popper ed Hermann Broch soprattutto, e in certa misura anche Karl Kraus. In questa prima fase il kitsch è considerato un’esasperazione della sensibilità personale tanto da reificare il suo individualismo, tanto da farne un feticcio. E’ poi Umberto Eco, più recentemente, ad attribuire una opposta tendenza radicalizzante al kitsch, definendolo come ricerca di un mero effetto, delle sole reazioni del pubblico, prive della minima volontà sovvertitrice tipica dell’arte, e in questo opposto all’avanguardia.

In entrambi i casi, il kitsch è  il caso in cui l’arte abbandona qualunque speranza di essere ancora valida esteticamente per la società di massa, abbandonando al simulare sregolato dei soggetti sedicenti “geniali” la domanda di senso fatta all’arte.

Nato in ambito cinematografico più o meno a metà degli anni ’60, il termine trash indica inizialmente la precisa categoria di film i quali, per evidenti difetti formali dovuti a incompetenza, disinteresse o pura ricerca del profitto facile, uniscono «povertà di mezzi, volgarità di forme e contenuti, provocazioni più o meno consapevoli e risultati di scarso valore artistico» (Garofalo). Inutile sottolineare come questa descrizione si possa facilmente traslare alla stragrande maggioranza delle attuali produzioni televisive, editoriali, letterarie.

La differenza tra kitsch e trash sta quindi nel loro rapporto con l’arte. Nel primo caso la filiazione è diretta, anche se tradita in vari modi; nel secondo caso non è necessario alcun rapporto coni modelli artistici, non serve avere nessuna dialettica con valori alti, in nessun senso. Se nel primo caso l’attacco all’arte è diretto a non dare importanza al suo compito di conoscenza del mondo o di testimonianza, nel caso del trash l’obiettivo -non importa quanto consapevole- è l’etica legata alla produzione artistica, che risulta essere annientata e resa inutile con tutti i mezzi possibili, tra i quali spiccano quelli ritenuti, nella contemporaneità, i più volgari. Il risultato del trash è appunto quello di rendere esteticamente “immondizia” ciò che invece presupporrebbe un trattamento artistico tecnicamente ed eticamente ben definito; il ripescare materiali dallo scarto, dal triviale, dal quotidiano, dall’ignoranza, e il successivo “trattarli malamente” è una precisa condanna del comportamento artistico, e non dei contenuti, spesso avallata da un clamoroso successo di pubblico. I quali contenuti, invece, sono oggetto dell’azione banalizzante del kitsch.

Usare i due termini come sinonimi  è quindi scorretto non perché il genere trash non debba esistere né essere contemplato tra gli altri generi artistici, ma perché va riconosciuto il suo disinteresse verso l’arte come tale. Il trash esisterebbe paradossalmente a prescindere da qualsiasi forma artistica, in quanto è in conflitto e opposizione con un certo tipo di etica, e non di estetica. Al contrario, il kitsch non è pensabile senza lo sviluppo storico dell’arte quale noi lo conosciamo.

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Lorenzo Gasparrini Dottore di ricerca in Estetica, dopo anni di attività universitaria a Roma, Ascoli, Narni in filosofia, scienze della formazione, informatica, ora è editor per un editore scientifico internazionale. Attivista antisessista, blogger compulsivo, ciclista assiduo, interessato a tutti gli usi e costumi del linguaggio.

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