Terra e sangue. L’orizzonte primitivo: dialogo con Susana Serpas Soriano

immagine per Susana Serpas Soriano
Susana Serpas Soriano -Orizzonte di terra 2019

Nella mostra allo spazio espositivo Studio Tiepolo38 di Roma, Susana Serpas Soriano (El Salvador, 1976) ha proposto Terra e sangue. L’orizzonte primitivo, una mostra con installazione curata da Giovanna Dalla Chiesa che, in una conversazione con l’artista, ce la racconta ma soprattutto approfondisce la ricerca dell’artista.

Di seguito il contributo

In questa mostra ti confronti per la prima volta con un’installazione site specific. La bianca perfezione dello spazio è invasa dalla natura e sostituisce al volume diafano della luce un’esplosione di terra. L’effetto è quello di un cataclisma naturale spinto dalle finestre dentro i due ambienti a formare tre piramidi. Un contrasto potente con la rarefatta atmosfera del luogo.

Visto il locale a piano terra, l’idea è stata quella di introdurre con irruenza l’elemento primario della natura, come se la terra si fosse riappropriata dei propri spazi. L’estate scorsa sono stata in Islanda, un paesaggio da cui l’uomo è assente. Lì mi sono resa conto con sgomento che l’uomo non sarebbe stato in grado di documentare gli sconvolgimenti e le trasformazioni subite dalla terra nell’epoca primordiale. Io provengo dalla natura forte del Centro America (S. Salvador) e desideravo inoltrarmi in un paesaggio primitivo. La fotografia può essere persino un limite per documentare la forza delle sensazioni provate.

Nella stanza più grande c’è una lastra di vetro su cui hai stampato la sagoma di un tronco di piramide. I suoi margini sfumano verso il basso. Una forma che compare spesso nelle tue fotografie sospesa sulla trasparenza di lastre che interferiscono con la superficie fotografica sino a determinare un’area, un luogo.

La trasparenza del vetro insieme alla stampa digitale mi danno la possibilità di ottenere questo diaframma, in modo che l’ombra possa vivere libera nell’aria. Un’ombra spirituale, insomma, che non proviene né dalla materia, né dall’uomo. Il titolo dell’opera è, infatti, Spirito dell’Ombra.

Anche le linee laterali del vetro proiettano le loro ombre sulla parete formando una piramide trasparente che fa eco a quella di terra addossata nel vano della finestra. Materiale e Immateriale. O Materia e Energia, anche. Dietro la lastra c’è una ciotola che contiene del liquido rosso. Il Sangue a cui fai riferimento nel titolo della mostra?

In assenza dell’uomo, l’ombra geometrica ricade a terra in maniera sacrale. La ciotola serve a raccoglierne l’energia, che all’origine è fatta di vita e di sangue, questi si trasformeranno in seguito in presenza biologica e corpo. Sino a oggi è forse l’opera più spirituale che ho realizzato. In questa mostra ho cominciato a sperimentare un lavoro d’installazione e a uscire dai confini del puro mezzo fotografico. Sento di riconoscermi sempre più profondamente in questo.

Mi pare che cominci ad avvertire la tua centralità rispetto all’ambiente. Nella stessa stanza hai posto anche il dittico Oblio gravitazionale. Avevi già esposto quest’opera, ma in forma più monumentale, nell’antologica realizzata da Frittelli a Firenze nel 2013. Cosa hanno a che fare con il tema della mostra le due figure nude di un uomo e di una donna distese per terra?

Il tema allude a un contenimento dell’energia. Mentre giacciono distesi a terra, l’uomo e la donna sono parte della stessa linea dell’orizzonte terrestre. Un potenziale di energia in stato di riposo, ma pronto a ergersi e a vivere. Ho chiesto ai miei modelli, infatti, di stringere i pugni per far affluire il sangue nelle loro mani, come cercassero di opporre resistenza alla quiete di morte della loro posizione di riposo. Non so se per vivere, o per non morire. Ho voluto collocare il dittico qui, proprio al lato della piramide di terra, per sottolineare il messaggio.

Mentre preparavi la mostra, mi hai fatto leggere dei brani del Popol Vuh, il testo del popolo Quiché Maya che abitava originariamente la tua terra, nonché le regioni confinanti di Guatemala e Honduras. Nel libro che racconta il mito della Creazione, diversamente che nella maggior parte dei libri sulla creazione del mondo, sono all’opera un Principio Maschile e un Principio Femminile, insieme.

Sì, il libro mi ha ispirato decisamente per il senso vitale, attivo e dinamico di tutti i soggetti che sono coinvolti nella Creazione della Terra. Sono tutti insieme protagonisti: il Cielo del Cuore, il Vento, le Pioggie, le Nuvole. Una grande Famiglia che, come tutte le famiglie possono anche entrare in competizione le une con le altre per creare la Terra, sino ad arrivare all’Uomo. Ultima e più difficile creazione, perché fuori controllo. In altre parole gli Dei hanno bisogno che ci sia quell’opera d’arte che si chiama Uomo.

L’Uomo è l’unico animale sulla terra dotato della facoltà della Parola. La parola è Spirito. E’ Linguaggio. Secondo il Vangelo di Giovanni, In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Ed è attraverso la parola/spirito che l’uomo testimonia e racconta, certificandola, l’esistenza del mondo.

Anche l’elemento Sangue è fondamentale. Soltanto attraverso il sangue l’uomo sopravvive nella sua lotta per la vita.

Una delle teche contiene l’immagine di due mani che tengono fra le dita un piccolo cuore di animale. Poi c’è quella di due mani che stringono il cuore di un animale più grande. In queste foto, c’è come il segno di un centro simbolico, spirituale, che ci indica il percorso e ci accompagna tra qui e là, sottolineando il pulsare della nostra esistenza durante il viaggio, come avviene nei percorsi religiosi.

Nell’opera dell’uomo e della donna nudi, Oblio gravitazionale, i corpi sono in stato di riposo, hanno deposto il peso che li attirava in una caduta verso la terra. La foto voleva registrare la loro caduta. Una caduta di Giganti, di due Progenitori. Le mani sono importanti, sia lì che in questi due cuori. Si stringono, o si aprono in un’offerta, all’inizio e alla fine del percorso, in un atto di contenimento, o di dono. Questo ha a che fare con la difficoltà di gestire una misura esatta nel dare e nel ricevere che restano sempre sbilanciati. Noi portiamo nella vita il nostro cuore come una pompa che pulsa, che ci fa gioire o piangere. O che addirittura può farci scappare dallo stesso cuore.

Ti ho osservato mentre aggiustavi l’orientamento delle luci della mostra; da ogni volume hai estratto la geometria di un’ombra. Ho capito, così, quanto è importante, per il tuo lavoro, il gioco delle ombre. In effetti nelle tue foto, c’è sempre uno slittamento, che dal rettangolo o dal quadrato, scivola via formando due bordi, o addirittura, un’inclinazione verso l’interno o verso l’esterno di un piano trasparente, portatore di un’altra traiettoria prospettica.

Come spiegavo prima a proposito di Spirito dell’Ombra, essa ha un carattere spirituale che aggiunge un’ulteriore prospettiva a quello che noi vediamo. Si tratta sempre di una nostra percezione, di un nostro punto di vista, mai della realtà, però. L’uomo ha bisogno di indagare. L’ombra, in questo caso, mi aiuta a indagare ulteriormente.

Quest’ombra è un modo riflessivo di dar corpo alla visione, una configurazione che consente la concentrazione. Non sarebbe possibile ritrovare nel paesaggio le stesse emozioni che uno ha provato vedendolo, senza il filtro di questo elemento che assume anche carattere temporale, qualcosa che batte sul luogo, facendolo presente a noi nell’attimo stesso della visione.

Come un tuono. Una delle mie mostre si chiamava L’Ombra del Tuono.

Dallo studio di De Chirico e della funzione delle sue ombre ho tratto la convinzione che non possiamo essere consapevoli di quell’attimo percettivo che è il nostro sguardo, se non incrociandolo con quello di un altro, come avviene in De Chirico o, ancor prima, nel dipinto Il viandante sul mare di nebbia di Caspar David Friedrich. Lì ci troviamo dietro la sua schiena e percepiamo la visione solo attraverso i suoi occhi che la stanno guardando, senza vedere, quindi, quello sguardo che si fa nostro, solo grazie al suo. E’ in questo modo che si è fatta strada l’idea del “soggetto”, una conquista del pensiero moderno. E’ il soggetto, infatti, che percepisce le cose. La realtà non esiste se lui non può prenderne atto. Così è cambiato il nostro punto di vista sulla realtà e sull’arte. Completamente.

Esattamente. Ed è questo “soggetto” che deve avere la consapevolezza di quello che vuole guardare e di “come” guardarlo.

info@studiotiepolo38.eu

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Giovanna dalla Chiesa è storico e critico d'arte. Si è laureata in Storia dell'Arte con una tesi innovativa su Calder all'Università di Roma con G.C. Argan e ha lavorato, in seguito, con Palma Bucarelli presso la Galleria Nazionale d'Arte Moderna. Vincitrice di una prestigiosa Borsa dell'American Council of Learned Societies nel 1976 è stata affiliata per un anno presso il M.O.M.A di New York, dove ha arricchito le proprie conoscenze. In seguito, i suoi studi su de Chirico di cui è autorevole esperta, l'hanno condotta in svariati centri europei: Parigi, Monaco di Baviera, Atene e Berlino. Ha curato importanti mostre monografiche in sedi pubbliche: Ca' Pesaro, Palazzo delle Esposizioni, Palazzo Pitti, Ala Napoleonica del Museo Correr, Accademia di Francia. È stata docente di Storia dell'Arte dell'Accademia di Belle Arti di Roma. Ha collaborato con quotidiani e riviste come pubblicista indipendente e curato mostre interdisciplinari e convegni come: Allo Sport l'Omaggio dell'Arte (Giffoni Valle Piana 2001), L'arte in Gioco (MACRO 2003), L'Età Nomade (Campo Boario 2005), Che cosa c'entra la morte? (Aula Magna Liceo Artistico 2006, 3 Giornate di studio su Gino De Dominicis)

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