Perché l’artista italiano è sempre più insignificante? La sua autorità storica ridotta a zero? Conversazione con Massimo Cacciari

immagine per massimo cacciari

Perché l’artista italiano è sempre più insignificante? La sua autorità storica ridotta a zero?
Perché dipinge come un artista cinese, così come, a sua volta, come sostiene Massimo Cacciari,un artista cinese dipinge ormai esattamente come quello di New York”.

Schiavismo linguistico inglese e internazionalizzazione nella/della lingua e cultura italiane: Giorgio Kadmo Pagano ne parla con Massimo Cacciari.

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Partiamo da questa cosa che è stata un po’ misconosciuta in realtà, ma abbastanza scandalosa, almeno per quelli ai quali l’ho sottoposta, a cominciare da Dario Fo, che è stato anche studente del Politecnico di Milano: un’Università italiana, un ateneo italiano rinuncia ad insegnare in lingua italiana per insegnare in lingua inglese [nonostante un pronunciamento contrario della Corte Costituzionale e la sentenza, anch’essa contraria, del Consiglio di Stato, il PoliMI persevera nel delinquere e, proprio il 18 luglio u.s., i ricorrenti guidati dall’Avv.a Cabiddu hanno dovuto nuovamente appellarsi al Consiglio di Stato perché la sentenza venga applicata: a questo punto c’è la forte probabilità che il PoliMI venga “commissariato”].

Ci sono in ballo, ovviamente, varie questioni a partire dai Diritti, in questo caso linguistici, ad esempio affermati nell’art.2 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. La discriminazione in questo caso avviene nel paese con lingua madre italiana. È evidente che salta tutta l’editoria dell’alta formazione che produceva testi per il Politecnico nelle tre branche fondamentali: il disegno industriale, l’ingegneria e l’architettura.

Se pensiamo che Gibilterra, l’enclave britannica in Spagna, è fatta da 27.000 abitanti, s’assiste ad un fenomeno curioso vista la mole dei 40.000 studenti del PoliMI, la costituzione autocoloniale di un’enclave britannica dentro Milano. Insomma le problematiche sono diverse.

Massimo Cacciari: Sono questioni che sollevano problemi abbastanza di fondo. È difficile affrontarli seguendo contingenze e decisioni più o meno cervellotiche che prende questa o quella attività accademica. Il problema è un problema di fondo. Il mondo contemporaneo, tutte le differenze, tutta la molteplicità di tradizioni culturali, religiose, etiche, sono minacciate. Non c’è dubbio alcuno, a differenza che in tutte le epoche passate, il mondo sta diventando davvero tutto iscrivibile in breve carta, per parafrasare Leopardi, è tutto diventato immagine.

E questo vale un po’ per tutte le discipline. Pensi lei, le differenze che esistevano tra città e città, dal punto di vista proprio della forma urbana, fino all’Ottocento, fino al 1900. Adesso le architetture sono tutte perfettamente analoghe. Non si può distingure un’architettura di Shangai da un’architettura di Los Angeles e quindi tutto si sta omologando. La cosa può suscitare scandalo, ma prima di tutto occorre… La nostra filosofia deve essere dolorosa ma vera. E quindi, questo può anche farci male, ma bisogna comprenderlo.

Probabilmente è un destino, che appunto vediamo in tutte le discipline. Anche l’arte: un artista cinese dipinge ormai esattamente come quello di New York. Il mercato artistico è uno, l’architettura è una. Le stesse forme letterarie stanno diventando ormai assolutamente omologhe. O ci sono differenze tra artisti, ma non ci sono più differenze tra, diciamo, popoli, tradizioni, nazioni, etnie. Non c’è più una differenza di questo genere.

Semmai, ci sono differenze individuali “io vedo questa architettura che è di Piano”, rispetto a quella che invece è di Foster. Però, appunto, sono differenze individuali, non è l’architettura italiana o la città di Firenze, di Venezia, rispetto a quella di Siena eccetera, eccetera.

Quindi, di cosa ci stupiamo? Prima o poi anche per quanto riguarda la lingua avverrà lo stesso. Le lingue più deboli, quelle parlate da meno persone, che sono parlate poi da meno scienziati, finanzieri, economisti, imprenditori – perché sono ormai quelle le potenze del mondo contemporaneo – queste potenze ormai parlano una sola lingua e, quindi, di cosa ci stupiamo? Voglio dire, sì, è tremendo, certo, è tremendo.

È esattamente analogo al fenomeno della scomparsa delle biodiversità. Certo, la vita è anche lingua. E, quindi, le diversità delle lingue, la molteplicità delle lingue è parte essenziale della biodiversità complessiva, ma come appunto massacriamo la biodiversità nella natura, così la massacriamo nelle lingue. Questa è l’epoca.

Non si può fare assolutamente nulla per contrastare questo destino.

Una riflessione, diciamo, tra il filosofico e il politico, probabilmente. Ad esempio, noi assistiamo al popolo tibetano fatto più o meno da 6 milioni di persone, più o meno. Gli italiani sono 60 milioni.. il popolo tibetano, proprio ieri, c’è stata l’ennesima immolazione. Credo che siano arrivati fino a 100 dall’inizio del 2012, perché, praticamente, è assolutamente vietato apprendere la lingua e la cultura tibetana grazie alla dittatura cinese. Nella fattispecie, nella nostra epoca, quella che dovrebbe essere della democrazia, diversità culturale…

Queste sono chiacchiere, capisce… Queste sono totalmente chiacchiere perché questa non è assolutamente l’epoca della pluralità, l’epoca del pluralismo. La democrazia è un mero flatus vocis. C’è un pensiero unico che necessariamente porta, porterà, anche ad una lingua unica.

Possiamo desumere da questo che, paradossalmente, sotto una dittatura un popolo riesce a ritrovare se stesso e ad essere forte della propria identità, mentre invece in quella che è una pseudo-democrazia, non accade?

No, veda, no. Nelle dittature si può difendere anche la tipicità etnica ecc ecc, ma in una chiave totalmente isolazionista. La diversità ha un senso non quando è composta di tante carceri, di tanti fortini, in cui il diverso rimane asserragliato. La biodiversità cresce invece scambio tra i diversi, quando c’è “meticciamento”, e questo esisteva sempre nelle epoche precedenti.

Pensiamo ad esempio all’Impero Romano, che tanti pensano essere addirittura una sorta di una dittatura. Era il contrario, perché dentro all’Impero Romano c’era un meticciamento continuo di lingue e di culture. C’erano grandi città alessandrine dove ci stavano ebrei, cristiani, pagani di ogni genere, appartenenti ad ogni tipo di setta, eccetera, eccetera.  Lingue diverse che si mescolavano: greco, latino, armeno, siriaco, egizio, copto…

E allora come mai su 40.000 studenti del Politecnico nessuno dice “Ma qui vengono lesi i miei diritti! Io non posso più fare l’architetto in lingua italiana, mentre invece in Tibet…”

Gliel’ho detto. Siccome lo studente del Politecnico vuole essere anche lui l’architetto internazionale, l’artista internazionale, l’ingegnere internazionale, il medico internazionale, ha tutto l’interesse a sapere l’inglese oltre che a sapere l’italiano. È semplice.

I Tibetani invece hanno l’interesse opposto.

Ma sì, ma i tibetani… Lasciamo stare… Non c’è paragone di peso con la grande tradizione tibetana. È pura memoria, come le grandi tradizioni induiste. Si tratta di memorie che sopravvivono a volte per gli aspetti peggiori, come nel caso dell’induismo. Quindi non dobbiamo farci illusioni. È un processo tremendo.

Se lei vede come la biodiversità, che è il fondamento della vita: la biodiversità non è la diversità tra tanti ariani che stanno per conto proprio, o ebrei che stanno per conto proprio. Non è quella la biodiversità. Quella è la biodiversità voluta da oscene dittature, come è successo nel ‘900 europeo. La biodiversità non è quella. La biodiversità è quella in cui c’è scambio tra i diversi, una continua osmosi tra i distinti. Questo nella storia dell’homo sapiens è avvenuto. È avvenuto in ogni tempo; con resistenze, con contraddizioni certo, ma è avvenuto in ogni tempo.

Oggi sembra che queste resistenze hanno mantenuto bene o male la biodiversità, e anzi l’hanno arricchita. In tutto il periodo della tarda antichità fino alla fine del ‘900, questo processo di arricchimento, dal punto di vista linguistico, ecc ecc è continuato.

Gli stati nazionali hanno protetto e favorito lo sviluppo di lingue nazionali, anche se nel frattempo hanno eliminato tutti quelli che noi chiamiamo “dialetti”. Stia attento, eh! Abbiamo sempre la tentazione, noi umani, di scoprire l’acqua calda. Che cosa è successo quando si sono formati gli Stati Nazionali? È successo che gli Stati Nazionali, nel processo di centralizzazione politico-burocratica che fu per loro caratteristico, hanno minato – di fatto – quelli che oggi noi chiamiamo dialetti, ma che all’epoca erano vere e proprie lingue. Le hanno eliminate! In Francia prima della Rivoluzione si parlavano 12-13 idiomi, che ormai nessuno sa più.

Anche i dialetti che noi oggi parliamo, sono “ridicoli” nella loro povertà rispetto ai dialetti che si parlavano prima. Io ricordo qui a Venezia, il dialetto che parlava mia nonna era “veneziano”. Oggi nessuno parla “veneziano”. Sono delle storpiature risibili del veneziano. Molto meglio che tutti parlassero italiano, quantomeno correttamente. E tra un po’ sarà lo stesso tra l’italiano e l’inglese.

Uno studioso inglese, Robert Phillipson, a tal proposito dice che qui non si fa la tara. Nel senso che si tende ad accreditare la lingua inglese come se fosse un dato neutrale laddove invece si tratta della lingua madre di alcuni popoli.

Ma nessuna lingua è neutrale! Tutte le lingue sono portatrici di pensiero. Le lingue sono degli strumenti, come i coltelli o i cacciavite. Quindi quando tutti parleranno inglese e basta, tutti penseranno in quella lingua e con quella lingua, e non penseranno più in italiano, in francese o in tedesco. È chiaro. È così.

Diciamo che quella di Winston Churchill fu una predizione, quando ad Harvard disse “Il potere di dominare la lingua di un popolo offre guadagni maggiori e di gran lunga superiori che non occuparne province e territori e schiacciarlo con lo sfruttamento”.

Ma certo. È esattamente così. La linguistica è una parte importante dell’egemonia politica. È chiaro che è così!

Ecco, in questo caso, pensando però al futuro europeo – tempo fa Maroni, dopo Cameron, voleva fare anche lui  un referendum sull’Europa, laddove l’Euro però per noi ha una dimensione che va quasi al di là del biblico, nel senso che non è mai accaduto nella storia, neanche in quelle raccontate dalla Bibbia, che alcuni popoli che si sono fatti la guerra fino a qualche decennio prima non solo si siano unificati ma abbiano addirittura messo una moneta “sopra” di loro ritirando la propria – il processo di unificazione ulteriore non richiederebbe una riflessione sul fatto che l’Europa, che è popolata da oltre 500 milioni di abitanti, il doppio rispetto agli americani, sia una superpotenza governata da microcefali?

Ma le potenze non sono mai state tali in quanto solo economiche. L’Europa non ha oggi alcun tipo di leadership in campo di ricerca e sviluppo. Nessuna potenza è stata soltanto economica o soltanto una potenza “di consumo”, come è sostanzialmente l’Europa. Non esiste.

Anzi: le potenze possono essere tali anche laddove, veda la Cina, i consumi interni (e le condizioni di benessere interne) sono molto bassi. Non c’entra nulla. Il concetto di potenza è un concetto prettamente politico. Non è un concetto economico né semplicemente militare. È un concetto politico.
L’Europa è tutto fuorché una superpotenza.

Quindi è un problema di mentalità e non di forza, perché il numero di abitanti direbbe il contrario.

Di mentalità, certo. Ma per essere una superpotenza intanto bisogna cominciare, minimo comune denominatore di tutte le superpotenze dagli assiro-babilonesi in poi, da un ethos comune all’interno dei propri cittadini. Potevano anche essere massacrati, ma tutti i fiorentini si sentivano fiorentini, e lottavano e si massacravano perché tendevano tutti, a modo proprio, al bene comune. Questo vale per gli Stati Uniti attuali e per tutte le potenze vere. In Europa non c’è assolutamente la condizione per creare questo ethos comune.

Perché? Ma perché non ci sono nemmeno gli Stati europei: guardi la Spagna, con Catalogna e Paesi Baschi, guardi tutte le questioni in Belgio e nei Paesi Bassi tra fiamminghi e valloni, guardi l’Italia dove non solo non c’è una nazione, ma ci sono soltanto famiglie e corporazioni. Come si può costruire l’Europa con materie prime di questo genere?

Bisogna capire il mondo in cui viviamo, senza pensare che ci sono scorciatoie per superare le contraddizioni che presenta, comprendendo la drammaticità di certe questioni, perché ripeto: la sparizioni delle lingue nazionali, che deriva dalla sparizione di tante altre lingue nazionali di cui non abbiamo ormai più memoria, o quasi, è un processo che riduce la biodiversità e che incide anche nelle nostre capacità psicologiche, nella nostra vita quotidiana, nella nostra psiche in generale.

Che si cerchi di salvaguardare la lingua italiana, ma seriamente, non semplicemente predicandolo!

Ma come si può salvaguardare l’italiano quando non c’è nemmeno un giornale che scriva in un italiano decente?
C’è la televisione, c’è la radio…
Ecco: facciamo quello che possiamo fare per salvaguardare la diversità dell’italiano.
Perché non cominciamo a insegnarlo, e a parlarlo – anche nei luoghi deputati – al meglio possibile?
Facciamo questo!

Queste sono le cose che possiamo fare. Il destino si può subire da persone consapevoli e ragionevoli. Ecco, cerchiamo di subirlo in maniera intelligente e non come gli schiavi in catene.

Detto questo, soluzioni alternative rispetto a questo che vedo essere in tutti i campi, come dire, il nostro destino, non le so. Certamente non è inventarsi la possibilità di un’Europa superpotenza. Facessero in Europa quelle cose che si possono fare. Ad esempio unificare i regimi fiscali, ad esempio unificare i regimi commerciali.

Facessero quello, anziché pensare a panzane pazzesche come la Costituzione, che è il prodotto storico tipico di alcuni stati nazionali ma non di tutti, come insegna la Gran Bretagna. Facessero questo, facessero le cose che è possibile fare. Non c’è ancora un’unificazione dei regimi fiscali, dei regimi commerciali, non parliamo poi delle politiche sociali, che senso ha andare a perdere tempo parlando di superpotenza europea? Ecco, facciamo le cose che concretamente è possibile fare invece di fare chiacchiere elettoralistiche un giorno sì, e l’altro anche.

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La prima mostra di Giorgio Kadmo Pagano, ventitreenne, è agli Incontri Internazionali d’Arte nel 1977, ha una preparazione culturale costruita in anni di frequentazioni con il meglio dell’arte italiana, da De Dominicis a Pisani a Kounellis ad Ontani, e politica con il “Gandhi europeo”, Marco Pannella, col quale ho condiviso migliaia di ore di riunioni, nonché prassi di lotta nonviolenta, e che lo ha portato nel 2014 a fare 50 giorni di sciopero della fame in auto davanti al MIUR contro il genocidio culturale italiano. Autore nel 1985 del saggio “Arte e critica dalla crisi del concettualismo alla fondazione della cultura europea”, dove già indicava la necessità di un’avanguardia europea che si facesse “esercito”, oggi col suo nuovo pamphlet ci guida sul “Come divenire la super potenza culturale che siamo”.

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