Franceschini in RAI parla di Netflix… Ma quale riorganizzazione della cultura?

Dario Franceschini, Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo

Non c’è niente da fare, anche questo Governo, nel duemilaventi Dopo Cristo, settantacinque anni dopo la fine della II Guerra Mondiale, è pieno di americani a Roma. I nostri politici sono in gran parte rimasti ancora al 1954, intuiscono che i maccheroni con un buon ragù e un bel bicchiere di vino rosso sono ben meglio di un hamburger e un bicchiere di Coca Cola, ma il servilismo mentale nel quale sono immersi gliene impedisce la convinzione, la determinazione e l’operatività fattuale.

Dario Franceschini, Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo

A prescindere, devono fare riferimento sempre a qualcosa che fanno apparire sempre migliore tutto ciò che è realizzato dai colonialisti statunitensi e mai ciò che abbiamo o siamo riusciti a fare noi italiani. In realtà stanno palesemente denunciando il loro fallimento politico, cioè tutto quello che non solo non sono riusciti a fare ma nemmeno ad ipotizzare. Persino la produzione italiana non viene pubblicizzata in italiano bensì nell’inglese “Made in Italy”.

Alla fine degli anni ’80 e inizi anni ’90 (guarda caso quelli della Transavanguardia/Nuovi Nuovi), l’Italia era la quarta potenza mondiale dopo Stati Uniti, Giappone, Germania e prima di Francia e Gran Bretagna. Oggi, o meglio ieri, cioè prima della vicenda Coronavirus, è al settimo versus ottavo posto. Dovremmo approfittare di questo tempo non-tempo per guadagnare posizioni e benessere per il Dopo Covid-19 ma, dato che ministri e direttori generali e funzionari statali, parastatali e di partecipate varie, continuano a prendere i loro lauti stipendi, non per riorganizzare Stato e Imprese intelligentemente e appropriatamente per essere più forti dopo ma, semplicemente, per fare poco o niente. Quindi o ci rassegniamo al peggio o dobbiamo ipotizzare noi una riscossa.

Senza tale riscossa ci aspettano un debito pubblico al 155% e nuove rapinose nazionalizzazioni, che ci faranno scivolare ben oltre l’ottavo posto come potenza mondiale: nazionalizzazioni che produrranno altre nomine di politici falliti anzitutto e proprio come politici, ringraziati per il loro fallimento e dedizione al colonizzatore d’oltreoceano con una poltrona remunerativamente adeguata.

Una volta personaggi simili si mandavano a fare i parlamentari europei, poi li si è messi a presiedere una qualche Fondazione del parastato, magari a capo di qualche museo di arti contemporanee (con effetti colonialistici devastanti per l’arte e gli artisti italiani, i loro collezionisti, il loro mercato) e domani, appunto, con una diversificazione e un’abbondanza notevole di poltrone da distribuire, nelle imprese nazionalizzate.

Non stiamo dedicando questo tempo alla riorganizzazione della già pessima macchina Statale, facendo anche sperimentazioni per renderla veloce e innovativa, al servizio dei cittadini, nonché adeguata a riprenderci quel quarto posto di potenza mondiale che rammentavo sopra. Non si fanno lavorare in quest’ultima prospettiva i massimi dirigenti, chiedendo loro di meritarsi le loro laute remunerazioni ma, quello che abbiamo ascoltato dal Ministro Dario Franceschini intervistato da Massimo Gramellini su RAI 3 ha quasi dell’incredibile, non solo perché Gramellini non capisce che qui non è solo un problema di “fase due” ma di prospettiva futura tout court (e vabbè), ma perché il ministro del MIBACT ci dice che:

Primo, grazie alla campagna Visita i Musei online,si è capita fino in fondo la potenzialità enorme che ha la rete, il web per la diffusione di contenuti culturali”.

Stando in rete dalla fine degli anni ’80 e cioè ben prima che esistesse il web, ascoltare dopo trent’anni un ministro italiano che, giusto perché c’è una pandemia in atto si è visto costretto a fare una campagna pubblicitaria per la visita online dei musei italiani e, grazie a ciò, ha scoperto “la potenzialità enorme che ha la rete, il web per la diffusione di contenuti culturali”, lascia esterrefatti. E non solo perché YouTube è dal 2005 che fa ciò, anzi, lo fa fare agli altri, ai suoi stessi utenti: sono gli altri che lavorano gratis per YouTube.

Ma forse per poter ascoltare un ministro italiano che abbia compreso anche questo meccanismo dovremo aspettare altri trent’anni.

Secondo, nel rispondere alla domanda sul quando riusciremo ad andare nuovamente al cinema o ad un concerto, Franceschini rivela che, proprio grazie alla scoperta della “potenzialità enorme che ha la rete” stanno “ragionando sulla creazione di una piattaforma italiana che consenta di offrire a tutto il mondo la cultura italiana non come adesso in modo volontario, gratuito, ma a pagamento. Una Netflix della cultura italiana”.

Ed è piuttosto curiosa questa citazione dell’americana Netflix, dal momento che il ministro è ospite di un programma della RAI. Radiotelevisione italiana che, solo sul satellite, ha ben 24 canali in alta definizione là dove Netflix, per ampliare un po’ il suo bacino d’utenza, ha dovuto far ricorso alla presenza satellitare di Sky.

Allora: lo Stato ci prende sulla bolletta dell’elettricità il danaro per pagare la TV di Stato chiamata RAI – nella quale un Direttore anche collaterale come, ad esempio, colui che si occupa delle Infrastrutture immobiliari prende 240 mila Euro l’anno (2018) -, e lo fa per farci vedere in prima serata per lo più programmi d’intrattenimento appositamente studiati per anticipare la demenza senile ai nostri 20enni (così non si accorgono che hanno sulle loro spalle un Debito pubblico del 135% e gliene stanno appioppando a breve il 155%); o sceneggiati dove risultiamo essere un popolo di camorristi o mafiosi o ndranghetisti. Per il restante 75% trasmette film o sceneggiati statunitensi che, in prima serata, servono a farci piegare il capo e rassegnarci al fatto che mentre loro – gli americani – sono Grandi ed hanno i Supereroi, noi siamo solo “immondizia”, nonostante si abbia il 65% dei Beni Culturali del mondo!

Quindi: trovo un tantinello inappropriato che gli italiani debbano pagare un’apposita piattaforma dello Stato per vedere, finalmente, un po’ di sana cultura e spettacolo loro, prodotta dai loro artisti e nella loro lingua. Già perché Franceschini non parla di offerta “al resto del mondo” bensì “al mondo”, inclusi gli italiani quindi.

E se il riferimento è all’americana Netflix, questo preoccupa ancora di più, perché fa pensare al fatto che la cultura italiana verrà proposta al mondo intero solo in inglese con l’inevitabile “soluzione finale” della morte della cultura italiana in italiano e della sua sussistenza meramente anglocoloniale; là dove l’inglese BBC informa il resto del mondo in 45 lingue la RAI lo farebbe unicamente in inglese, nella lingua di quei 67 milioni di britannici che non sono più europei ma solo inglesi, e ai quali Trump consigliava non solo di andarsene senza pagare ma anche di farci causa!

Purtroppo questo non è là da venire, bensì è tra gli odierni obblighi di quel “Contratto di Servizio 2018-2022” che regola gli impegni dell’emittente concessionaria del servizio pubblico televisivo e che, al punto 12.3, recita: “La Rai è tenuta a sviluppare uno specifico canale in lingua inglese di carattere informativo, di promozione dei valori e della cultura italiana”.

Come ho già scritto in COVID-19. Non Destino ma l’Arte della Destinazione, ritengo che non dobbiamo perdere questo tempo prezioso per aspirare, ben che vada, alla mediocre normalità di una potenza scivolata già all’ottavo posto della classifica mondiale e che si risveglierà nel Dopo Coronavirus, magari al decimo o al dodicesimo posto se non peggio e sempre più in miseria, bensì che dobbiamo vivere ed operare per qualcosa di più ricco, e più bello, e più grande “che pria”.

Dobbiamo essere consapevoli, tutti, che un miliardo di Euro investiti nell’industria, petrolifera o dell’acciaio per esempio, è capace di creare 300 posti di lavoro ma che, la stessa cifra investita nel combinato disposto cultura-turismo, ne crea 12 mila e 500: avanti dunque con l’Arte e la Cultura della Decolonizzazione!

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La prima mostra di Giorgio Kadmo Pagano, ventitreenne, è agli Incontri Internazionali d’Arte nel 1977, ha una preparazione culturale costruita in anni di frequentazioni con il meglio dell’arte italiana, da De Dominicis a Pisani a Kounellis ad Ontani, e politica con il “Gandhi europeo”, Marco Pannella, col quale ho condiviso migliaia di ore di riunioni, nonché prassi di lotta nonviolenta, e che lo ha portato nel 2014 a fare 50 giorni di sciopero della fame in auto davanti al MIUR contro il genocidio culturale italiano. Autore nel 1985 del saggio “Arte e critica dalla crisi del concettualismo alla fondazione della cultura europea”, dove già indicava la necessità di un’avanguardia europea che si facesse “esercito”, oggi col suo nuovo pamphlet ci guida sul “Come divenire la super potenza culturale che siamo”.

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