L’Italia nel rinascimento europeo di Macron

È l’operazione Difesa della Natura che distingue Beuys da tutti gli altri artisti, senza di essa Beuys sarebbe stato “solo” un grande scultore. Pochi però l’hanno capito, e forse è per questo che pochi sono coloro che comprendono che queste mie “interviste” sono Arte. Tra i pochi voglio ringraziare pubblicamente Lucrezia De Domizio Durini. 

I due grandi Imperi Anglofoni della Mente del pianeta sono contro noi Europei e l’Europa:

  1. Boris Johnson farà la Brexit entro il 31 gennaio «senza se e senza ma»;
  2. Donald Trump ha scritto che «Adesso Gran Bretagna e Stati Uniti sono liberi di mettere a punto un grande nuovo accordo commerciale dopo la Brexit. Questo accordo ha il potenziale per essere il più redditizio di qualsiasi accordo mai siglato con l’Ue».

Alla luce di questi fatti incontrovertibili le affermazioni di Emmanuel Macron durante la lunga intervista di qualche tempo fa al “L’Economist” risultano addirittura fin troppo caute. Ha detto:

«Ciò che stiamo attualmente vivendo è la morte cerebrale della NATO. L’Europa si trova sull’orlo di un precipizio e deve iniziare a pensare a sé stessa strategicamente come una potenza geopolitica, altrimenti non avremo più il controllo del nostro destino» 

Considerando la gravità storica di questi avvenimenti e di quanto asserito da Macron, questo mio dialogo con Sandro Gozi, già Sottosegretario alle Politiche europee in due Governi italiani e, in Francia, già Consulente agli Affari Europei del Governo Philippe II, svoltosi il 7 ottobre 2019 perciò mentre era ancora Consulente agli Affari Europei di Macron, acquista un ruolo importante perché tratta di come questa nuova Europa abbia bisogno di stabilità culturale e storica prima che politica e di come l’Italia possa e debba esserne una delle tre gambe fondamentali, “è impossibile parlare di Rinascimento Europeo senza l’Italia” dice giustamente Gozi.

immagine per Macron

Giorgio Kadmo Pagano: Il 4 marzo di quest’anno Macron scrive ai cittadini europei una lettera in 22 lingue dal titolo ambizioso “Per un Rinascimento europeo” ma, la parola Rinascimento, indica un preciso momento storico italiano! Allora, in considerazione di noi italiani che quel Rinascimento abbiamo prodotto, ti chiedo subito se aderisci all’Appello, a prima firma Guido Ceronetti, per l’Italiano lingua di lavoro dell’Unione europea e, nel contempo, invito tutti e ciascun lettore a sottoscriverlo. 

Sandro Gozi: Certo che aderisco! Perché è una battaglia giusta, una battaglia per la diversità culturale, è una battaglia di un’Europa potenza culturale che, per essere potenza, come Europa non può essere omogenea, deve essere basata sulla diversità e la diversità linguistica è la base della diversità culturale. Quindi, certo che aderisco. Credo, sappiamo benissimo che l’inglese è un veicolo linguistico ormai mondiale, però anche da questo punto di vista, l’imminenza della Brexit deve fare pensare a un riequilibrio linguistico interno [Cfr. “Con la Brexit l’inglese non sarà più lingua comunitaria” di Danuta Hübner, Presidente del Comitato per gli Affari Costituzionali del Parlamento europeo].

Certamente la Francia è molto interessata a questo, la Commissione europea odierna è molto più francofona della precedente e, da questo punto di vista, certamente ciò è una buona notizia per Parigi, ma io sono convinto che la battaglia è anche una battaglia di pari opportunità. Parliamo della questione delle piccole e medie imprese italiane che devono partecipare pagando dei costi di traduzione ai bandi in inglese, ma c’è anche il tema oggi della costruzione di un’Europa democratica, Europa democratica che passa attraverso la partecipazione diretta dei cittadini. 

Questa conferenza europea che Macron ha proposto, che noi abbiamo proposto in campagna elettorale con la lista Renaissance – En marche in marzo [Macron nella lettera agli eurocittadini aveva scritto: “Allora entro la fine dell’anno, con i rappresentanti delle istituzioni europee e degli Stati, instauriamo una Conferenza per l’Europa al fine di proporre tutti i cambiamenti necessari al nostro progetto politico, senza tabù, neanche quello della revisione dei trattati. Questa conferenza dovrà associare gruppi di cittadini, dare audizione a universitari, parti sociali, rappresentanti religiosi e spirituali”], che oggi è diventata un impegno della Presidente Von Der Leyen, del Presidente Sassoli, che secondo il Parlamento dovrà partire il prossimo anno, questa Conferenza europea che deve preparare una grande Riforma delle politiche e delle istituzioni europee, dovrà basarsi su nuovi metodi di partecipazione diretta e democratica dei cittadini.

È evidente che gli italiani devono partecipare a questa Conferenza europea in italiano. È evidente che le consultazioni, i documenti, i dibattiti, dovranno essere assicurati nel pieno rispetto della libertà linguistica e della lingua italiana. Quindi io vedo già che la Conferenza europea  – che, secondo me, dovrebbe anche prevedere addirittura di costituire un’Assemblea dei Cittadini, tirando a sorte 250/300 nomi di cittadini europei di tutti i Paesi -, dovrà essere anche la Conferenza non della omogeneità linguistica globale ma della diversità linguistica e culturale: anche da questo punto di vista fare una battaglia per partecipare in italiano alla Riforma europea mi sembra che vada nella direzione giusta.

Poi permettimi di raccontarti un’esperienza personale per dire quanto, nel contesto europeo, vivere il transnazionale, incarnare il transnazionale, possa aiutare anche la nostra lingua italiana.
Facendo riferimento alle polemiche che ci sono state per il ruolo che ho assunto a Parigi: io l’ho assunto pensando che già oggi passare da Roma a Parigi a lavorare per un governo è come passare dal comune di Torino al comune di Milano per lavorare per un comune: perché la Francia e l’Italia non sono due paesi stranieri, sono due partner europei e, quindi, mi è capitato di rappresentare il Governo in Svizzera e discutere con il Segretario di Stato degli Affari Europei svizzero di rapporti fra Unione europea e Svizzera: c’è un accordo che stiamo negoziando, l’ho fatto con l’Ambasciatore francese a Berna, l’ho fatto con il mio collega svizzero che è della Svizzera italiana, del Ticino, e quindi, pur essendo un incontro tra il Governo francese e il Governo svizzero, lo abbiamo fatto in italiano! Lo abbiamo fatto in italiano perché io parlavo italiano, perché l’Ambasciatore francese parlava italiano, perché il Segretario di Stato per gli Affari europei svizzero Balzaretti è ticinese. E questo è un piccolo aneddoto per dirti che nell’Europa, nello spazio comune europeo, quando pratichiamo la politica transnazionale, candidandoci in altri Paesi per il Parlamento europeo, candidandoci in altri Paesi per diventare sindaco o consigliere comunale, andando a lavorare nelle amministrazioni e nei governi di altri Paesi – tutte cose che noi europei possiamo fare dal 1993, da quando c’è il trattato sull’Unione europea di Maastricht -, esercitiamo dei nostri diritti.

Se poi li pratichiamo, dal punto di vista italiano facciamo un buon servizio anche alla lingua italiana, perché ci capita di poterla praticare e promuovere molto più spesso e anche nei momenti più inaspettati come mi è capitato in Svizzera.

G. K. P.: Rispetto a tutto questo scenario c’è poi la questione che comunque devi fare i conti con questo inglese, che parte diciamo dal vecchio accordo Churchill – Roosevelt del ’43 dove proprio ad Harvard Churchill dice, agli studenti universitari che stanno partendo per la seconda guerra mondiale, che “gli Imperi per come li hanno conosciuti sono destinati a finire: i Nuovi Imperi sono quelli della Mente, perché dominare la lingua di un popolo offre bottini maggiori che non conquistare un territorio e asservirne le genti”. Da lì, da quella nuova concezione coloniale, è iniziato questo cammino e appunto siamo ad oggi a quest’inglese planetario col quale comunque anche noi europei dobbiamo fare i conti.

In questo quadro sai bene che assieme a Pannella ponemmo da tempo anche la questione, nel quadro chiaramente federalista europeo per non dire federalista mondiale, della Lingua Federale. Non so se te l’ho raccontato in uno dei nostri incontri ma, di fatto, l’ultimo racconto, il “racconto-testamento” di Jules Verne –  guarda caso paradossalmente, o meglio non paradossalmente per chi ne capisce tutta la dinamica – riguarda proprio la Lingua Internazionale, ossia l’Esperanto, e riguarda il Parlamento francese!

Questo racconto , che noi abbiamo tradotto anche in italiano, – ma ovviamente c’è l’originale francese e anche in Esperanto [Trattasi di Viaggio di Studio, del quale ho curato nel 1998 l’edizione italiana ed Esperanto con francese a fronte] – narra di una Commissione parlamentare francese che viene spedita in alcuni Paesi del centrafrica per studiarne usi, costumi, collegamenti e via dicendo e, loro, non si aspettano affatto che tutte queste tribù con lingue diverse parlino tra di loro e parlino, guarda caso, in Esperanto [C’è da dire che i francesi che avevano aderito a questa nuova sfida valoriale erano moltissimi, tanto da fa decidere al suo creatore, L.L. Zamenhof, di tenere proprio in Francia nel 1905 il primo Congresso mondiale]. Stiamo parlando di un autore famosissimo per quanto riguarda l’invenzione tecnologica: molte delle sue invenzioni sono diventate poi effettivamente coperte della tecnologia decenni più tardi!

Oggi, sostanzialmente, sul fronte della lingua federale siamo ancora ben lontani dal porne la questione. È ovvio, per certi versi un po’ come per l’atomica francese come dicevi tu, che forse è un po’ troppo avanti ma, intanto, cerchiamo di assicurare il giusto posto che occupa la democrazia in Europa e quindi i popoli più rappresentativi!

Certamente però questo è un tema caldo e allora, su questo fronte, da una parte ti spedirò questo racconto – che ti pregherei di dare a Macron stesso, e vediamo un po’ che reazioni suscita – dall’altra, devo anche dirti, che c’è tutto il gruppo degli esperantisti francesi che comunque è molto forte [In Francia, dal 2003, è nato anche un partito politico paneuropeo, l’EDE, che è riuscito anche a candidarsi in tutte le competizioni europee] e, quindi, su questo fronte, forse in un ambito dell’interlocuzione per un’Europa Nuova – come direbbe Pannella – piuttosto che di una nuova Europa, beh la questione di una lingua federale potrebbe trovare ulteriore spunto no?

Sandro Gozi: Sì, è un progetto molto ambizioso come puoi immaginare, però certamente sarò molto contento di ricevere il tuo documento, magari anche di incontrare i tuoi interlocutori qui in Francia, così anche con loro potrò approfondire questo tema.

G. K. P.: Anche perché questo, senz’altro te l’ho fatto presente – a tal proposito, ti abbiamo dato alcuni testi a cominciare dal mio del ’96 su I costi della (non) comunicazione linguistica europea (sotto la Direzione del Nobel per l’Economia Reinhard Selten) -, effettivamente ha un ruolo anche economico estremamente importante.

Sandro Gozi: Sì, assolutamente.

G. K. P.: Andiamo ad Italia Viva: recentemente abbiamo letto anche di questa tua autocandidatura – ma anche relativamente ad un ruolo che potrai svolgere appieno con competenza oltre che come ideali visto che anche tu sei un vecchio federalista europeo -, ad operare per la costituzione di un raggruppamento in sede europea fra la componente macroniana e proprio Italia Viva. Ecco: su questa idea ti chiederei un po’ più di particolari oltre che di prospettive.

Sandro Gozi: Io credo che Italia Viva debba avere l’ambizione di essere Europa Viva. Italia Viva deve avere l’ambizione di essere protagonista anche a livello europeo, per la costruzione di una nuova politica europea e di un’Europa sovrana e democratica che, dopotutto, è un’Europa Federale, perché questo noi federalisti vogliamo, abbiamo sempre voluto e continuiamo a volere.

Credo che abbiamo oggi molti più argomenti a nostro favore per volere un’Europa sovrana e democratica. Questo è l’obiettivo che secondo me Italia Viva deve perseguire in Europa, costruire un’Europa sovrana e democratica, un’Europa quindi che riprende il controllo sulle grandi questioni che ci sono alle frontiere, le grandi questioni transnazionali, l’immigrazione, il cambiamento climatico, il governo del digitale e della finanza, beh, l’alleato naturale è certamente Emmanuel Macron, e l’alleato naturale è certamente un altro movimento, molto nuovo in Francia e in Europa, come En Marche, perché credo che per costruire la nuova Europa ci sia bisogno anche di nuovi movimenti politici transnazionali, di nuovi gruppi europei, e quindi io sono convinto, questa è la mia idea, la mia proposta a Italia Viva, è di svolgere questo ruolo assieme a En Marche, ma assieme anche ad altre forze, penso ad Alleanza Plus, rumena, condotta da Dacian Cioloș, che è anche il Capogruppo di Renew Europe a Bruxelles. Penso ad altre iniziative di altri Paesi che hanno le stesse caratteristiche: superare le divisioni tradizionali destra e sinistra, occupare uno spazio centrale con proposte innovative, e cercare di costruire appunto nuovi movimenti politici transnazionali. 

Su questo siamo tutti, almeno io e tanti ascoltatori di Radio Radicale, degli allievi di Marco Pannella: quella politica transnazionale di cui Pannella parlava da sempre: io l’ho imparata da lui dall’inizio degli anni novanta!  Oggi secondo me è possibile ma, ancora di più, necessario, incarnala e praticarla. Questo deve essere l’obiettivo di Italia Viva.

G. K. P.: Sin dall’inizio – ricordo il discorso alla Sorbona – l’idea di Macron era quella proprio dei Consigli europei dell’area Euro. Credo che sia un nodo ineludibile, perché di fatto noi ci troviamo in questi Consigli europei con una quindicina di Paesi che, sostanzialmente, sono contrari, avversari dell’Euro e, quindi, è come avere delle spie interne o, comunque, delle figure che certo contrastano a prescindere sia l’Euro – perché ovviamente parteggiano per le loro monete nazionali – sia la possibilità di costruire qualcosa che sia più forte e, soprattutto, arrivare anche ad un Bilancio dell’Area Euro. Su questo fronte secondo te la Francia andrà avanti?

Sandro Gozi: Noi vogliamo andare avanti, Macron l’ha fatto con determinazione, con coerenza dal 2017, da quel discorso alla Sorbona che tu hai ricordato, c’è stato un passettino avanti con la dichiarazione di Meseberg tra Francia e Germania, però è ancora troppo poco. Bisogna insistere, spingere la Germania a uscire dallo status quo, spingere i nostri amici tedeschi ad affrontare con molto più coraggio la questione della riforma della zona Euro che è una riforma di strumenti. Abbiamo bisogno di un vero bilancio per la crescita della zona Euro, di un vero bilancio per gli investimenti, per accompagnare anche gli sforzi per le riforme che ogni Paese dell’area Euro si è impegnato a svolgere. 

Occorre rafforzare l’Euro perché abbiamo un ruolo internazionale da svolgere, l’Euro è già una moneta internazionale, ma dobbiamo sfruttare molto di più il potenziale politico che una moneta come l’Euro, forte come l’Euro, ci dà. E poi bisogna migliorare un governo dell’Euro che oggi è ancora frammentato, ancora incerto, non è all’altezza dei nostri bisogni, delle nostre ambizioni: lavoro difficile perché ci sono molte prudenze a Berlino e dietro Berlino o davanti a Berlino, si nascondono, vengono mandati avanti Paesi che frenano. Ma io credo che questa sia una delle battaglie politiche da fare ed è una battaglia appunto anche per quella Europa sovrana e federale.

Al di là delle etichette è evidente che il federalismo deve passare attraverso un fortissimo rafforzamento della zona Euro, che vuol dire anche politiche fiscali comuni, vuol dire lottare contro la concorrenza fiscale, vuol dire introdurre delle misure che garantiscono una vera uguaglianza sociale e, quindi, c’è anche il tema dei diritti sociali della zona Euro oltre che della giustizia fiscale. Sono tutti temi che devono essere assolutamente affrontati in questa legislatura e su cui certamente Macron continuerà a spingere. 

Occorre creare una massa critica di Paesi e popoli che spingono in questa direzione. È una battaglia difficile ma è una battaglia assolutamente necessaria.

G. K. P.Su questo fronte potrebbe però venire un aiuto dall’Italia: ci sono questi due passaggi importanti mi pare. Ho visto tra l’altro una tua dichiarazione tutto sommato positiva sugli Esteri rispetto a Di Maio e dall’altra potrebbe essere molto d’aiuto anche il nuovo passaggio di Gentiloni alla Commissione.

Sandro Gozi: Guarda è impossibile parlare di Rinascimento Europeo senza l’Italia. È impossibile costruire un’Europa federale senza l’Italia. Quindi il fatto che adesso ci sia finalmente in Italia una maggioranza europeista, pro europea che vuole mantenere l’Italia nel suo ruolo tradizionale che è quello di una forza sempre impegnata per il rafforzamento dell’Europa, l’integrazione politica europea, per me è una buona notizia.

Quindi se il ministro Di Maio si è tolto il gilet giallo e adesso vuole essere uno dei ministri degli Affari Esteri che contribuiscono a costruire anche il ruolo di un Europa potenza nel mondo – perché noi dobbiamo porci proprio il tema della potenza europea: potenza verde, potenza climatica, potenza della sicurezza, potenza culturale, dobbiamo porre il tema in questo modo e uniti possiamo essere potenza -, beh io lo dico da italiano e da europeo che se Di Maio adesso svolge questo ruolo, il primo ad essere contento per motivi che non ti sfuggiranno – anche perché così potrò conservare il mio passaporto [Cfr. Di Maio nel luglio del 2019 sul togliere la cittadinanza italiana a Gozi dal momento che era divenuto Consulente per gli Affari europei di Macron]- , sono io.

G. K. P.: Io questa del passaporto l’ho sempre intesa come una battuta…

Sandro Gozi: Battute a parte, permettimela comunque. Noi abbiamo sempre discusso di influenza italiana in Europa, ebbene, oggi per quanto riguarda le posizioni economiche e monetarie, è italiano il Commissario europeo – Paolo Gentiloni non è lì per rappresentare l’interesse dell’Italia, anzi se si mostrerà troppo sensibile all’interesse nazionale perderà influenza, però certamente porta una cultura italiana, porta una sensibilità italiana, porta un’esperienza italiana e un’esperienza anche di centrosinistra per quanto riguarda la gestione della zona euro e in generale delle questioni economiche e monetarie – , abbiamo un’italiana Presidente della Commissione economica del Parlamento europeo che è Irene Tinagli – eletta nel PD, del gruppo Socialisti Democratici, presiede la Commissione economica che ha un potere legislativo sulle misure da prendere nelle questioni economiche monetarie- , abbiamo un Ministro dell’Economia che conosce a memoria tutto sul Patto di stabilità perché ne è uno degli autori [si parla dell’attività europea di Roberto Gualtieri] e, quindi, oggi io direi che l’Italia deve fare l’Italia!

Basta con i piagnistei, basta col dire “gli altri hanno sempre posizioni migliori”, oggi non c’è mai stata una congiunzione politica, non astrale, così favorevole come quella che abbiamo con Gentiloni, Gualtieri, Tinagli. Quindi direi basta piagnistei, basta stupidi complessi d’inferiorità, e mettiamoci al lavoro perché possiamo contribuire moltissimo a portare avanti quell’idea d’Europa che è la nostra.

G. K. P.: A proposito proprio di questo aspetto degli Esteri, ti ricordi ne parlammo anche in uno dei nostri incontri, del paradosso che l’Italia, stranamente avendo persino tre regioni che fanno da confine con la Francia [Liguria, Piemonte e la bilingue franco-italiana Val d’Aosta], di fatto non è nella Francofonia [La Organisation Internationale de la Francophonie (OIF) è l’organizzazione che rappresenta le nazioni e le regioni dove il francese è lingua madre o lingua abituale e/o dove una proporzione significativa della popolazione è francofona e/o dove c’è una notevole confidenza con la cultura francese. È composta da 54 stati membri e governi, 7 membri associati e 27 osservatori] mentre invece c’è la Romania, ciò è un po’ paradossale no?

Sandro Gozi: 

G. K. P.: Ecco in questo caso non credi sia un’opportunità? A parte il fatto che, comunque, è un’opportunità economica – perché partecipare ai progetti della Francofonia in ogni caso lo è -, certamente lo è ancor di più visto che ci sono tre regioni italiane che confinano con la Francia: è paradossale questo, no? Forse questo potrebbe essere uno dei primi atti, da una parte economico e dall’altra anche positivo rispetto all’integrazione – nel senso che sempre più si rafforzano dei legami, che ci sono e che affondano nella storia secolare di questi due paesi, Italia e Francia -.
Questa potrebbe essere una buona cosa, no?

Sandro Gozi: Mi sembra un’ottima idea! Mi sembra una bellissima prospettiva. 

Credo che potrebbe essere proprio uno tra i tanti cantieri che dobbiamo avviare o riaprire nella relazione Francia e Italia, mi sembra che la visita di Emmanuel Macron a Roma abbia aperto una nuova fase a cui dovranno seguire delle visite tra ministri. Io stesso sto lavorando a un’importante visita del governo francese a Roma nei prossimi mesi, c’è un vertice italo-francese che dovrebbe venir convocato il prossimo anno a fine gennaio, inizio febbraio; credo che in questa ottica dobbiamo cercare di rafforzare al massimo i rapporti franco italiani partendo proprio dalla lingua e dalla cultura e in un’ottica deliberatamente europea.

E forse il trattato del Quirinale, quel progetto, quel trattato che doveva creare delle relazioni speciali tra Parigi e Roma che lanciammo assieme a Macron e Gentiloni al vertice di Roma del 2017 a cui ho lavorato con la mia omologa francese Nathalie Loiseau, ecco quel trattato adesso va subito riavviato, ripreso, i lavori devono essere ripresi, c’è molto materiale già pronto, e credo che sarebbe bellissimo firmare un nuovo trattato del Quirinale tra Francia e Italia all’inizio del prossimo anno. In quel contesto politica della lingua, politica della cultura, politica della ricerca, dell’università, euro-franco-italiana per dirla così, secondo me, possono essere grandissime priorità. È una cosa possibile, reale, concreta, c’è anche la volontà politica, usiamo al massimo i mesi che abbiamo davanti a noi.

G. K. P.: Soprattutto, anche per rendere più malleabile la posizione tedesca in merito ai Consigli europei dell’area Euro, questo mi pare fondamentale.

Sandro Gozi: Io sono convinto che l’Europa che vogliamo, l’Europa della crescita, l’Europa di un governo dell’Euro, democratico-sociale, deve basarsi su un treppiede e questo treppiede deve essere quello costituito da Francia, Germania, Italia. Dico treppiede perché non dobbiamo escludere nessuno, però la nuova Europa ha bisogno di stabilità, stabilità direi culturale e storica prima che politica.

Io credo che solo la cultura italiana, francese e tedesca, possano dare quello sbocco alla stabilità sulla quale costruire l’Europa che vogliamo e che ancora manca, in maniera sempre aperta e senza escludere nessuno. Io quindi credo che bisogna uscire dall’ottica, dalla retorica degli Stati fondatori. Abbiamo bisogno di tre grandi culture: una mediterranea ma che tocca la mitteleuropea e guarda anche ad Oriente, una più occidentale ma a vocazione universale come la Francia, una al centro dell’Europa con una grande vocazione anche di essere influente nel continente verso Oriente che è la Germania, abbiamo bisogno di questa base culturale, insieme, per uscire dall’immobilismo in cui l’egemonia passiva tedesca ci ha mantenuto per un decennio in cui abbiamo unicamente gestito delle crisi.

G. K. P.: L’altro elemento importante in questo quadro è la questione dell’esercito europeo, c’è stata tutta una polemica sul fatto che comunque aveva come fondamento proprio Francia e Germania. Beh in questo caso forse questa nuova versione del governo Conte potrebbe essere importante invece per attuare un cambiamento appunto con la caratteristica del treppiede che dicevi tu, no?

Sandro Gozi: Sì, abbiamo avuto già un primo segnale importante perché, per esempio, il Presidente Conte e il ministro Guerini hanno finalmente portato l’Italia al tavolo a cui l’Italia era inspiegabilmente assente, che è quello dell’iniziativa strategica europea. Una nuova iniziativa a cui partecipano più di 10 paesi e che vuole sviluppare una cultura strategica comune, e che è fondamentale per andare verso un esercito di europei.

Proprio, mi sembra il 20 o 21 settembre, l’Italia ha inviato una lettera a Parigi dicendo che parteciperà a questa iniziativa. Questo è un primo passo: sono convinto, come dicevi tu, che l’Italia possa svolgere nello sviluppo dell’Europa della difesa un ruolo molto importante. A maggior ragione nell’imminenza della Brexit perché, nell’imminenza della Brexit, è chiaro che italiani, francesi, tedeschi e spagnoli, secondo me, devono rafforzare ancora di più la loro cooperazione in materia di difesa, e possono farlo!

G. K. P.: Il dato forte della Francia è quello della deterrenza atomica. In questo caso tu ritieni che possa essere opportuno, se non una promessa almeno un impegno di Macron nel mettere a disposizione di un esercito e un sistema di difesa europeo l’atomica francese [Attenzione, l’ho annotato nel mio Diario: pochi sanno che, tra gli anni 1957-58, ci fu un serio tentativo di Francia, Germania Occidentale e Italia di costruire una bomba atomica in comune. Cfr. il libro di Paolo Cacace L’atomica europea, Fazi editore].

Sandro Gozi: È oggi prematuro porre la domanda perché in realtà stiamo movendo i primi passi nell’Europa della difesa, anche se sono passi importanti. Il Fondo Europeo per la Difesa che abbiamo creato, e che adesso dobbiamo ben utilizzare in questo nuovo ciclo politico, era qualcosa d’impensabile fino a qualche tempo fa. Le iniziative di gruppi di Paesi in materia di Difesa e progetti comuni erano impensabili fino a qualche tempo fa. Però in prospettiva secondo me dobbiamo puntare a qualcosa di molto simile a ciò che tu hai detto.

È chiaro che in teoria diciamo lo scambio fra Francia e Germania, da questo punto di vista, in cui la Germania apre finalmente a una riforma della zona Euro e la Francia mette a disposizione dell’Europa la sua esclusività, la sua specificità, quella della deterrenza nucleare e il fatto che in prospettiva sarà l’unico Stato europeo membro del Consiglio di Sicurezza, sappiamo benissimo che tutto ciò a livello macro è una prospettiva auspicabile per tutti. Non la metterei oggi sul tavolo perché è una prospettiva di lungo periodo. 

Però sono sicuro che se l’Europa ricomincia a muoversi, se vediamo veramente un impegno da parte di tutti i Paesi che devono far parte di questo gruppo di avanguardia, di questo gruppo dinamico, io credo che la Francia sarà assolutamente disposta a fare la sua parte in materia di difesa. Se invece rimaniamo nell’immobilismo, nell’egoismo, nella miopia, nel tatticismo, in questo atteggiamento di volere sempre rinviare la soluzione dei problemi a domani, non voler affrontare i problemi, cioè l’Europa dei vertici di crisi e dell’inefficacia di questi anni, l’Europa merkeliana permettimi di dire con molta franchezza, allora se rimaniamo in questa Europa sarà molto difficile vedere degli atti di generosità o di lungimiranza da parte degli altri.

G. K. P.: Sempre rispetto alla questione della deterrenza nucleare ti instillo un dubbio, perché in realtà c’è il rischio che cadiamo un po’, come dire, nella sindrome dell’uovo e della gallina. Tatticamente, rispetto a sfondare una porta verso il federalismo europeo: mettere invece sul piatto un’ipotesi di questo genere, non converrebbe alla Francia? 

Se la Francia davvero vuole esercitare un ruolo federalista europeo molto forte una tale ipotesi diventa un po’ il sogno che si realizza. Nel senso che al di là delle cose che noi sappiamo benissimo che vanno fatte, le hai ricordate anche tu, alcune le ho poste sul tavolo anche io rispetto all’italiano e alla Francofonia e via dicendo ma, tutto sommato, diventare indipendenti con una difesa europea non può per una parte contribuire a riattivare un sogno europeo che sembra abbastanza al tramonto? 

Soprattutto nel quadro d’immobilismo che noi sappiamo, dove o si mette di nuovo in cammino, non dico spedito ma certamente con passo veloce, il discorso europeo, o davvero qui c’è il rischio, specie per quanto riguarda l’Italia, che alle prossime elezioni tutto vada a detrimento rispetto a questa idea di sogno che parte con il manifesto di Ventotene. Questo è un po’ il dubbio che, rispetto alle tue parole, mi viene da supportare: nel senso che è possibile che, invece, tatticamente possa funzionare molto di più una cosa di questo genere che non aspettare che tutti gli altri si muovano piano piano come dicevi tu.

Sandro Gozi: Intanto facciamo dei passi concreti con quello che è già sul tavolo. Sfruttiamo bene il Fondo Europeo della Difesa, usiamo al massimo questa iniziativa per la strategia di sicurezza, costruiamo le basi per un’autonomia della sicurezza europea, credo che una volta fatti passi concreti in questa direzione avremo una base molto più solida per fare dei passi più importanti. Il problema dell’Europa odierna, non voglio sembrare di parte, è che oggi c’è un solo leader che scommette sull’Europa, e lo fa con visione e coraggio: Emmanuel Macron. Negli altri Paesi non vedo leader con la forza, con l’audacia, con la determinazione di Macron nello scommettere sull’Europa.

Abbiamo bisogno di un’Italia pronta a assumere dei rischi per fare un salto di qualità europea, abbiamo bisogno di una Germania che, lo ripeto, esca dall’immobilismo, abbiamo bisogno di superare delle tensioni negli organismi nazionali che in questi anni – l’abbiamo visto in materia di Euro come in materia di immigrazione – hanno gravemente diviso l’Europa. Abbiamo bisogno di questo. 

Io credo che una volta partita una dinamica positiva potremo raggiungere molto meglio, e molto prima di quanto pensiamo, anche degli obiettivi che oggi sembrano molto difficili e molto lontani, a partire proprio della sicurezza e dalla difesa.

G. K. P.Un altro elemento probabilmente più importante e più urgente rispetto all’attualità, visto la situazione dazi statunitensi e via dicendo, è la questione dell’Antitrust europeo [Trattasi della Direzione Generale della Concorrenza ], vale a dire: oggi come oggi noi ci troviamo in una situazione dove finora si è cercato di marcare stretto le posizioni dominanti in Europa ma non considerando affatto le posizioni extra europee. Non credi invece che vada studiato un meccanismo o comunque una soluzione per cui in effetti si capovolga la situazione? Nel senso che si cerchi di creare quanto più consorzi o comunque imprese di prospettiva mondiale piuttosto che ricadere sempre in un ambito infraeuropeo?

È un po’ paradossale ad esempio che l’Europa non abbia costituito, tanto per cominciare, una sua agenzia di rating, per cui mentre la Dagong cinese nasce nel ‘94 ancora il continente europeo deve vederne una, d’altra parte mentre la Cina ha la sua Facebook, la sua Google, YouTube e via dicendo, in Europa invece stiamo portando mezzo miliardo di utenti e consumatori nella rete delle grandi multinazionali americane! Ecco, non credi che questa sia un’altra questione veramente fondamentale? L’aggregazione di grandi imprese europee per costruire delle ulteriori grandezze di scala superiore adatte alla competizione ormai planetaria?

Sandro Gozi: Dobbiamo ripensare la nostra politica della concorrenza e la nostra politica industriale. La politica della concorrenza è stata concepita come dottrina, come impostazione di fondo, negli anni ‘80 del secolo scorso, cioè quando l’obiettivo principale era quella di abbattere le barriere che ci impedivano di avere un vero mercato comune europeo e, quindi, all’epoca c’era bisogno di una certa politica della concorrenza. 

Oggi dobbiamo capire che il nostro campo da gioco non è più un mercato europeo da costruire ma un mercato globale da governare e in cui difendere i nostri interessi. Essendo il campo da gioco molto più grande di prima, è evidente che noi dobbiamo favorire una politica industriale come Unione europea, facendo crescere delle grandi realtà europee: che siano nel 5G, che siano nel digitale, che siano nella politica spaziale europea, le quali hanno grandissime ricadute industriali e di sicurezza. Dobbiamo ripensare alla politica, alla dottrina della concorrenza proprio in quest’ottica. Così come dobbiamo ripensare la politica commerciale: la politica commerciale secondo me va proseguita da un’Europa meno ingenua. Credo che gli accordi commerciali siano nell’interesse dell’Europa, noi siamo il principale mercato mondiale e quindi abbiamo certamente interesse a fare accordi commerciali con il resto del mondo, però dobbiamo esigere molta più reciprocità. Faccio un esempio molto concreto: noi apriamo gli appalti pubblici ai nostri partner extraeuropei, loro devono aprire gli appalti pubblici nei loro Paesi alle imprese europee; abbiamo degli obbiettivi, delle priorità sociali, ambientali.

Bene, allora il rispetto delle regole sociali, delle regole ambientali, dell’accordo di Parigi sul clima [Gli USA hanno notificato all’ONU il loro ritiro dagli accordi di Parigi agli inizi di novembre], devono essere dei criteri, delle condizioni, per concludere accordi commerciali. Quindi quelle due politiche federali europee che sono la Politica della Concorrenza e la Politica del Commercio in cui l’Europa federale c’è, esiste – c’è una Commissione che negozia per tutto il continente, ci sono delle decisioni a maggioranza, c’è un potere decisionale del parlamento -. Queste due Politiche federali oggi dobbiamo ripensarle come strategia per metterle al servizio dei nostri nuovi obiettivi e, credo, che questo sia qualcosa su cui possiamo lavorare, la stessa Margrethe Vestager si è detta aperta su questo. È un lavoro culturale-politico che è necessario, su cui mi sembra i tempi siano maturi.

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La prima mostra di Giorgio Kadmo Pagano, ventitreenne, è agli Incontri Internazionali d’Arte nel 1977, ha una preparazione culturale costruita in anni di frequentazioni con il meglio dell’arte italiana, da De Dominicis a Pisani a Kounellis ad Ontani, e politica con il “Gandhi europeo”, Marco Pannella, col quale ho condiviso migliaia di ore di riunioni, nonché prassi di lotta nonviolenta, e che lo ha portato nel 2014 a fare 50 giorni di sciopero della fame in auto davanti al MIUR contro il genocidio culturale italiano. Autore nel 1985 del saggio “Arte e critica dalla crisi del concettualismo alla fondazione della cultura europea”, dove già indicava la necessità di un’avanguardia europea che si facesse “esercito”, oggi col suo nuovo pamphlet ci guida sul “Come divenire la super potenza culturale che siamo”.

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