Matteo Basilé. Hybrida. Arte, fotografia, tecnologia, uniti in un Nascimento Digitale

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Arte, fotografia, tecnologia, uniti nell’ottica di un’unica visione: Hybrida, di Matteo Basilé. La mostra, a cura di Gianluca Marziani, dal 25 maggio al 6 settembre presso il Visionarea Art Space di Roma, oltre ad essere l’occasione per esporre l’ultimo nucleo di opere realizzate da Basilé nel 2022, presenta anche un innovativo progetto di opere NFT, prodotte dalla neo nata ARTITUDE.AI.

Matteo Basilé, da sempre, coniuga nella sua ricerca tradizione ed innovazione, affermandosi, sin dagli anni Novanta, come uno degli innovatori più quotati nell’ambito della fotografia artistica e, in particolare, in quello dell’ibridazione tra arte e tecnologia.

Basilé riesce ad utilizzare le tecnologie più futuristiche con disinvoltura, senza mai perdere l’umanità e il legame con l’antico.

Come ben dimostra questa mostra, in cui l’artista “creatore di mondi”, per usare la definizione del curatore, si mette alla prova anche con l’ultima frontiera dell’NFT e della Blockchain, la tecnologia nella ricerca di Basilé è uno strumento vivo, inclusivo; non a caso, per descrivere questo corpus di opere è stata formulata la dizione “Nascimento Digitale”.

Come se l’artista, anziché utilizzare il nuovo per liberarsi dell’antico, facesse un processo inverso mettendosi alla prova con i linguaggi contemporanei per creare nuove visioni ma sempre in raccordo con la tradizione.

In Hybrida, Basilé compie un passo ulteriore in questa direzione presentando, accanto alle opere digitali, un nucleo di lavori, di diverso formato, che sono dei veri propri quadri scultura.

L’artista stesso li definisce come dei reliquari, facendo riferimento a quegli altari portatili, in voga tra le famiglie nobili, fino al Seicento, utilizzati per conservare le spoglie e le memorie dei santi. Ebbene, le opere scultoree di Matteo Basilé, pur non avendo alcun legame con la religione, invitano alla meditazione, al raccoglimento, proprio come se fossero dei reliquari pagani della contemporaneità.

Al loro interno contengono un quadrato che in alcune opere è buio, come se custodisse un segreto; in altre riprende l’immagine principale, nel medesimo istante ma da un altro punto di vista, da un “parallelo diverso”, conferendo così maggior respiro e movimento all’opera che si espande, irradiandosi in due dimensioni diverse.

Da un punto di vista tecnico, la ricerca di Basilé si basa sul dialogo tra digitale ed analogico, tra reale e virtuale, in quella che il curatore definisce, a ragione fotodigigrafia e che, fu definita a tutti gli effetti come “pittura digitale”; per usare le parole del Prof. Avv. Emmanuele F. M. Emanuele, Presidente della Fondazione Terzo Pilastro-Internazionale:

In quasi tutte le sue creazioni è esplicito il rimando ai grandi maestri del passato, da Caravaggio all’arte fiamminga fino alle suggestioni del Barocco: un bagaglio culturale che l’artista rielabora sapientemente fondendo storia classica ed epoca attuale, in una galleria di personaggi che rievocano costantemente qualcosa di noto senza avere tuttavia un’identità definita – “uno, nessuno e centomila” – e danno vita a un mondo onirico e surreale dove non esistono più riferimenti spazio-temporali. Un’arte fluida e ibrida come l’epoca che viviamo”.

Le opere di Matteo Basilé si collocano in un tempo sospeso, indefinito ed indefinibile, in cui l’immagine femminile è rappresentata in tutto il suo splendore; egli è un esteta, capace non solo di scovare la bellezza ma di universalizzarla proprio attraverso l’uso di un linguaggio ibrido, che trova la sua forza e ragion d’essere tanto nella tecnologia, quanto nella storia e nella Moda.

Perché ciò che rende iconiche le immagini di Basilé è proprio la sua magistrale capacità di contaminazione dei linguaggi per la creazione di una cifra stilistica personale, elegante, sintetica, pulita.

Le sue opere rimandano all’antico, per la centralità rembrandtiana dei soggetti, i fondali piatti di matrice fiamminga, ma rispondono pienamente al tempo presente, non solo per la tecnica di esecuzione ma anche per il modo in cui sono rappresentati i modelli che, inevitabilmente, strizza l’occhio all’estetica dell’high fashion.

Anche “I tre monitor che contengono altrettanti ritratti compiono lo stesso rituale ma con la qualità semantica dell’alta definizione, dentro una grammatica digitale che esalta l’infinitesimale percezione del dettaglio microscopico.”

L’ibridismo in Basilé non è tanto in quel che egli rappresenta, quanto nel modo in cui lo fa che, ribadiamo, fonde, in un virtuoso incontro, innovazione e tradizione.

Le opere sono indubbiamente belle, di una bellezza che definirei oggettiva, ultraterrena, metafisica; che eleva il soggetto al di sopra della contingenza: risultato amplificato, oltre che dalle evidenti qualità estetiche dell’immagine e dagli sfondi neutri che creano un’atmosfera di sospensione spaziotemporale, dalla capacità di di fare irradiare, attraverso l’obiettivo, questa bellezza.

Come se l’artista, tramite la creazione dell’opera, compisse un’azione catartica sul soggetto. Azione resa ancora più eclatante dal fatto che Basilé, per i suoi progetti, va alla ricerca di soggetti caratterizzati da anomalie epidermiche, una mano con sei dita, transizione di gender dai risultati anomali […]. Anomalie che però nelle opere scompaiono o, quanto meno, vanno in secondo piano, per far emergere una bellezza unica, di ordine superiore – appunto, universale – come se l’artista rappresentasse una qualità interna degli esseri umani e, come tale, comune a tutti.

Per questo, direi che Hybrida è una mostra sull’uguaglianza, che dimostra attraverso la pratica artistica, come la diversità sia solo una sovrastruttura mentale perché, in realtà, non esiste.

Il lavoro di Matteo Basilé può essere considerato una testimonianza di come l’arte e la cultura possano essere potenti strumenti di pacificazione, per il loro essere linguaggi che superano e abbattono limiti, confini e preconcetti, tanto mentali quanto fisici.

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Napoletana di nascita, romana di adozione. Appassionata di arte, cultura e benessere. Dopo un percorso universitario in Lettere e filosofia, con indirizzo in Storia dell’Arte, prima Contemporanea, poi Moderna, a Roma Tre e un Master alla Luiss, ho iniziato ad esplorare il mondo dell’arte e della comunicazione, sviluppando una visione critica personale. Oggi scrivo per diverse testate, perché non posso fare a meno di riflettere, rielaborare ed interpretare internamente ciò che vedo.

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