Palazzo Lucarini Galleria Cinica#15. SITUazioni. Terreni d’incontro per un’indagine fotografica. Intervista ai curatori e agli artisti

Tre giovani artiste VS un solo medium, quello fotografico impiegato per confrontarsi con la realtà che quotidianamente ci circonda: spazi, azioni, contesti e circostanze ordinarie ma anche incontri personali sono protagonisti di immagini che documentano situazioni condivisibili con lo spettatore.

Silvia Mangosio (classe 1988, Torino), Anna Morosini (Foligno, 1987) e Laura Simone (Modena, 1986) – reduci dal Master di Alta Formazione sull’Immagine Contemporanea presso la Fondazione Fotografia di Modena – uniscono i loro scatti per dar vita a SITUazioni. Terreni d’incontro per un’indagine fotografica, la collettiva conclusiva della stagione espositiva dedicata alle pratiche site-specific ideata dal trio di curatori Carla Capodimonti, Michele Gentili e Celeste Ricci per Galleria Cinica, sezione riservata ai giovani artisti di Palazzo Lucarini Contemporary di Trevi, avviata nel gennaio 2015.

Un’esposizione incentrata sul rapporto tra la fotografia  e lo spazio reale col fine ultimo di avanzare proposte per una più ampia riflessione sulle pratiche artistiche site-specific. Infatti, i tre progetti proposti, e appositamente realizzati, sono il risultato dello stretto scambio tra fotografe e curatori.

Accedendo negli spazi riservati al progetto Galleria Cinica, ubicati a conclusione del percorso del museo d’arte contemporanea di Trevi, rimango affascinata davanti ad Approssimazione al presente (5 stampe, 100x120cm, su tela) di Silvia Mangosio ovvero cinque enormi stampe su tela pienamente illuminate dalla luce solare che fa capolino dalla finestra. Fotogrammi ingranditi fino al punto di mostrare volutamente le imperfezioni della pellicola per illudere l’osservatore tramite scene apparentemente domestiche. Scopo ultimo dell’artista è, infatti, dar vita ad un losco gioco dove il medium fotografico è al contempo oggetto e soggetto della rappresentazione stessa. Selezionando alcuni scatti dell’archivio di famiglia, Silvia se ne appropria decontestualizzandoli e manipolandoli fino ad immergerli in contesti altri per dar luogo a immagini novelle che documentano una realtà nuova ma mai esistita. Attraverso tale pratica l’autrice mette in discussione il concept del site-specific mostrando una memoria personale fittizia e reinterpretata ma apparentemente effettiva. In questo modo, l’illusione si fa fotografia come affermava Susan Sontag nel suo testo Sulla fotografia. Realtà e immagine nella nostra società, Einaudi, Torino, 2004: «La fotografia ha la sua dubbia fama di essere realistica, e quindi la più superficiale, delle arti mimetiche. In realtà è l’unica arte che sia riuscita ad attuare la grandiosa secolare minaccia di una conquista surrealista della sensibilità moderna, dopo che molti dei candidati più quotati si erano ritirati dalla gara.» (cit., p.45).

Alle mie spalle, invece, piccole e numerose istantanee mi invitano ad avvicinarmi ad esse per scoprirne e osservarne i particolari che le contraddistinguono. Mi riferisco a Loop (42 stampe, 15x20cm, inkjet su carta fotografica opaca, montaggio su plexiglass) di Anna Morosini: ben 42 fotografie montate su plexiglass e scrupolosamente sistemate per dar luogo a un’unica ordinata composizione. Un ‘ciclo continuo’, Loop appunto, ritraente le traiettorie dinamiche di un cavallo chiuso nel suo recinto. Partendo dalle poetiche del corpo e dell’identità, a lei care, Anna ragiona sul senso dell’abitudine, del limite e sul rapporto tra natura e cultura. Attraverso numerosi e simili scatti, l’artista crea un cortocircuito nella mente dello spettatore imponendogli la visione ossessiva dell’animale costretto all’interno di uno spazio delimitato – un area limite appunto, – che potrebbe facilmente oltrepassare con un salto oltre lo steccato ma che, per convenzione o auto-imposizione, non osa fare. Come afferma il curatore Michele Gentili nel suo testo critico, «[..]il recinto è contenimento ed auto contenimento: è lo spazio che agisce sul soggetto attraverso l’abitudine, la quotidianità e l’addestramento» col fine di far riconoscere il pubblico nelle comportamenti del soggetto ritratto.

Nella piccola stanza successiva, invece, vengo assalita da un’oscurità avvolgente faticando un po’ per mettere a fuoco ciò che essa contiene. Un adeguato stratagemma appositamente impiegato da Laura Simone per focalizzare la vista sulla lightbox Cinquanta (light box, 52x80cm, installazione ambientale) e contemporaneamente attribuire una valenza alla durata dell’opera poiché, essendo illuminata attraverso una luce molto bassa, la foto risulterà completamente visibile solo dopo qualche secondo. Un’installazione ambientale composta da una serie di immagini scattate in mare a cinquanta metri di profondità tramite un supporto analogico di 35 millimetri raffiguranti i resti di un relitto. Una ricerca sui luoghi-limite concepiti come non-luoghi per riflettere su scatti che documentano l’oscurità che porta alla destabilizzazione, la sensazione di sproporzione di fronte all’immensità del mare, la discesa verso l’incertezza, la vista dei relitti e del passato in essi celato ed, infine, la visione del relitto concepito come simbolo arcano di un non-luogo ovvero di un sito che si svela lentamente davanti gli occhi dell’osservatore.

Per approfondire, abbiamo intervistato i curatori della mostra Carla Capodimonti, Michele Gentili e Celeste Ricci e le artiste Silvia Mangosio, Anna Morosini e Laura Simone.

Domande ai curatori:

  • Quali sono i motivi che vi hanno spinto a scegliere tre artiste provenienti da una stessa esperienza ovvero reduci dal Master di Alta Formazione sull’Immagine Contemporanea presso la Fondazione Fotografia di Modena?

La mostra parte dal medium fotografico, condiviso dalle tre artiste, e il fatto che abbiano in comune parte della loro formazione ci ha permesso di creare un discorso coerente, ma con una diversa articolazione espressiva. Le ricerche di Silvia Mangosio, Anna Morosini e Laura Simone, infatti, sono differenti tra di loro e attraverso diversi approcci presentano tre modi distinti di indagare il tema del site specific. Altro aspetto fondamentale della mostra è il dialogo tra artista e curatore. Quest’ultimo, in tale scambio, è entrato a far parte del processo di ideazione e realizzazione dell’opera stessa. SITUazioni mantiene in modo evidente quel carattere di work in progress che ha caratterizzato i lavori fin dall’inizio, essendo le ricerche stesse delle artiste un punto di partenza più che di fine.

  • Numerose affinità e differenze si riscontrano nelle opere proposte dalle tre artiste: tutte rigorosamente monocrome anche se dietro ciascuna di esse esistono difformità che caratterizzano la sensibilità ed il fare artistico di ogni fotografa. Se Anna Morosini convoglia la sua ricerca verso una realtà fenomenica riconoscibile in cui lo spettatore riconosce se stesso ed i propri comportamenti; Laura Simone canalizza la sua esplorazione verso un mondo fatto di particolari, di oggetti, cose e persone a prima vista irriconoscibili in quanto la sfocatura dell’immagine convoglia l’occhio e la mente dell’osservatore verso luoghi altri; infine, la produzione di Silvia Mangosio si concentra sui falsi legami, su siti e situazioni fittizie ma apparentemente concepite come veritiere grazie allo espediente di convogliare l’osservazione verso la fattezza dello scatto. Legami e discordanze volute o dovute? Forse mera conseguenza della precedente esperienza?

Abbiamo scelto le tre artiste proprio per le loro differenti ricerche al fine di proporre sguardi alternativi sullo stesso campo d’indagine e credo che ognuna di loro abbia proseguito con naturalezza il proprio percorso, senza rotture. Troviamo invece più sorprendenti le affinità estetiche tra i loro lavori che danno all’esposizione un’immagine omogenea, a cui noi curatori auspicavamo e che abbiamo poi raggiunto con estrema facilità, senza troppi sforzi. Non sappiamo se questo possa dipendere o meno dalla loro esperienza formativa.

  • Torino, Foligno e Modena ovvero le tre città di provenienza di, rispettivamente, Silvia, Anna e Laura. Luoghi differenti e apparentemente lontani qui presentati attraverso i loro progetti incentrati su molteplici SITU e AZIONI. Ecco, cosa volete voi come curatori e cosa vogliono loro come artiste affermare con il titolo SITUazioni. Terreni d’incontro per un’indagine fotografica?

Il titolo della mostra è il frutto di una lunga negoziazione di termini tra noi curatori. Ognuno di noi voleva che il titolo racchiudesse un concetto particolare, che esprimesse quanto avanzato nel dialogo intrapreso con la propria artista. Oltre al concetto di “situ” che è il cuore del progetto, volevamo che il titolo contenesse la parola “incontro”, a sottolineare il rapporto privilegiato tra lo strumento fotografico e il suo soggetto. Su un incontro-scambio, inoltre, si basa tutta la fase progettuale e di formalizzazione dei singoli lavori, quello tra artista e curatore.

  • Ed il pubblico? Come ha reagito di fronte a tale mostra?

 Il pubblico ha reagito molto bene e i commenti ottenuti sono stati davvero positivi. Col senno di poi, siamo ancor più felici che sia stata la fotografia la protagonista dell’ultima mostra della stagione, un medium sicuramente più accessibile al grande pubblico rispetto a quelli utilizzati nei progetti precedenti di Galleria Cinica ma che, nonostante ciò, non ha esentato le artiste a mettere in luce le questioni ambigue e problematiche tipiche del mezzo. La forte attenzione dell’audience ci ha inoltre confermato l’effettivo interesse del progetto che auspicabilmente vedrà future tappe nella penisola.

  • L’attuale collettiva presentata conclude la stagione espositiva dedicata alle pratiche site-specific ideata dal vostro trio di curatori. Quali sono i vostri progetti futuri?

Iniziamo col dire che tutti, artisti e curatori, siamo concordi nel voler portare SITUazioni in altri contesti. Crediamo molto in questo progetto e ci piacerebbe che la mostra possa trovare nuova vita una volta terminata a Palazzo Lucarini. Personalmente, poi, ognuno di noi vorrà portare avanti i propri progetti.

Carla Capodimonti: attualmente faccio parte di Lux, un innovativo progetto di ricerca tra musica contemporanea e arti visuali, che promuove artisti il cui linguaggio si plasma proprio sulla commistione e il legame tra questi due ambiti creativi. Abbiamo da poco presentato l’americano William Basinski presso il Teatro dell’Accademia di Belle Arti di L’Aquila (un luogo sicuramente peculiare che sta pian piano facendo parlare nuovamente di se grazie a varie iniziative), proponendo un talk ed una AV performance. Sono in cantiere prossimi eventi, sui passati trovate tutte le info qui: www.luxmuseum.com

Michele Gentili: In questo momento sto lavorando a diversi progetti che spero possano concretizzarsi presto. Oltre a seguire diversi giovani artisti con i quali stiamo pensando ad interventi particolari, vorrei dare un seguito a “On_the_spot” (www.facebook.com/progetto.onthespot), progetto espositivo site-specific in territorio marchigiano avviato lo scorso anno, e dedicarmi anche alla ricerca teorica. Sarà un anno intenso, ho davvero grosse aspettative!

Celeste Ricci: Da un anno e mezzo sono co-direttrice, con Chiara Cartuccia, di EX NUNC (www.ex-nunc.org), un progetto curatoriale-editoriale dedicato alla performance e il performativo. Il progetto occupa una dimensione online principalmente, anche se stiamo lavorando su degli eventi in collaborazione con partner internazionali. I prossimi quattro mesi ci vedranno occupate con il progetto Movement/History, composto da tre interventi curatoriali che esplorano il tema del movimento come principale agente della Storia. Cureremo, inoltre, una sezione di performance legate al concetto di Historical Body, per la terza edizione della Venice International Performance Art Week. Tutte le relative info verranno pubblicate nella sezione off-site del sito!

 

Domande alle artiste:

  • Silvia il tuo interesse verso l’album fotografico di famiglia ti ha portato ad ideare un progetto dove l’alterazione e la decontestualizzazione degli scatti proposti porta alla creazione di una memoria personale fittizia ma che apparentemente risulta effettiva. Tale processo, tuttavia, comporta la falsificazione di dati e di certezze spiazzando così l’osservatore che scruta le tue elaborazioni. Qual è il fine ultimo della tua ricerca?         

In “Approssimazione al presente”, lavoro presentato per l’occasione, il senso di straniamento causato dalle immagini è un effetto importante, ma non direi che sia la necessità di spiazzare l’osservatore a muovermi: piuttosto è quella di disorientare me stessa, mettermi in una posizione scomoda per poter esplorare la quotidianità da nuovi punti di vista.

Penso sarebbe alquanto arbitrario da parte mia affermare di sapere ora quale sia il fine “ultimo” del mio lavoro, né ho intenzione di pilotare la mia ricerca in una direzione precisa: il fine, il senso, si delinea giorno per giorno, per l’appunto cercando e scavando nei temi che più mi toccano in profondità.

Quello che mi interessa è proprio vedere dove mi porterà il flusso di ricerca e di intuizioni al quale mi affido nell’osservare il nesso tra l’immagine – la tecnica, la superficie – e l’effetto che produce sulla realtà, soprattutto in relazione ai concetti di verità/falsificazione e memoria (vera o presunta).

  • Anna a Galleria Cinica hai presentato un progetto che ha come protagonista un animale il cui comportamento è assimilabile a quello umano, convogliando così il pubblico a calarsi nei panni del cavallo fino a farlo riflettere e, infine, a riconoscersi nei gesti compiuti dall’equino. Una ricerca che s’incentra sul tema del linguaggio del corpo ovvero su un argomento divenuto perno costante di molteplici indagini ed esperienze artistiche compiute dalla fine degli anni 60 ma tenendoti a debita distanza da esse in quanto quest’ultime s’incentravano su pratiche brutali e autolesionistiche. Nonostante siano passati alcuni decenni ti senti debitrice nei confronti della generazione passata che ha dato vita alla Body Art e a pratiche affini?

“Loop” è la continuazione naturale di una serie di lavori incentrati sul significato del corpo nelle sue varie accezioni ed è nato dopo una lunga fase di ricerca attraverso la storia di questo tema nell’arte contemporanea. Non ho mai avuto la pretesa di parlare di qualcosa di nuovo, forse in questo caso, a differenza dei miei lavori precedenti, sono riuscita a veicolare la mia idea rispetto a questa tematica in un modo più strettamente personale e, paradossalmente, più genericamente assimilabile e comprensibile. La mia difficoltà sin ora era sempre stata quella di distaccarmi da me stessa per poter trattare un tema tanto “epidermico”, cosa particolarmente complicata per il mio legame ideale e formale con la Body Art. Il lavoro di Hannah Wilke, ad esempio, fu fondamentale per la mia formazione e segnò un punto di svolta nella consapevolezza di ciò che stessi facendo in campo artistico. “Loop” è evidentemente debitore della pratica performativa, ma come lo sono tutti i lavori artistici che vedono il corpo al centro della discussione. Tuttavia, per quanto anche in altri casi mi sia interrogata sulla possibilità di lasciare da parte la pratica fotografica per cimentarmi in diverse modalità di intervento, sento di non essere ancora “in pace” con il mezzo fotografico e le sue implicazioni personali. Non escludo comunque che queste possano far parte di uno step futuro della mia ricerca.

  • Laura le tue lightbox dal titolo Cinquanta, appositamente ideate per la mostra, mettono lo spettatore di fronte a dilemmi e interrogativi ancestrali poiché l’immersione – immaginaria per il pubblico – alla scoperta del relitto, attraverso le fotografie, è una sorta di viaggio a ritroso negli abissi dell’oceano: è come un ritrovarsi a galleggiare nel liquido amniotico per poi, tornando alla realtà, rinascere. Il tutto mette l’utente di fronte al concetto di non-luogo, neologismo introdotto dall’etno-antropologo francese Marc Augé nel 1992 nel suo libro Non-lieux. Introduction à une anthropologie de la surmodernité (tradotto in italiano nel 1996 con il titolo Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità). Un termine divenuto fondamentale nel mondo contemporaneo per via dello sviluppo tecnologico e dell’accelerazione della vita quotidiana, conducendo a sentire alcuni siti come non-luoghi. Ma quali sono i motivi che ti hanno spinto a riportare la mente dell’osservatore verso i primordiali ricordi e i remoti siti suscitati dalle lightbox?

Mi ricordo ancora la prima volta in cui vidi un relitto e fu per me un’esperienza indimenticabile.

L’immersione nell’acqua rende le luci e i rumori totalmente diversi; laggiù la realtà risulta manipolata e diventa completamente straniante. L’incontro poi con il relitto conduce in uno spazio temporale lontano. In quel preciso momento si giunge alla contrapposizione di due mondi: da un lato quello sott’acqua e dall’altro quello sulla terra.

La mia ricerca si concentra proprio sul fascino che scaturiscono certi luoghi, o non-luoghi, sui temi che essi sollevano e le sensazioni che provocano.

In realtà, i miei lavori vertono quasi tutti sulla condizione di silenzio, sull’introspezione, la meditazione e soprattutto sul distaccamento dalla realtà.

Non so bene quale sia la motivazione che spinge la mia indagine personale a voler condurre lo spettatore verso questa direzione: forse m’interessa semplicemente cercare di allontanarlo da ciò che è reale e avvicinarlo ad un mondo onirico, più individuale, non tangibile.

Altre info sulle artiste:

Silvia Mangosio (Torino, 1988) si è diplomata in fotografia all’Istituto Europeo di Design di Torino ed ha frequentato il Master di Alta Formazione sull’Immagine Contemporanea di Fondazione Fotografia di Modena. Durante gli studi, ha partecipato a residenze artistiche, una tenutasi presso il Gran San Bernardo con il Mountain Photo Festival di Aosta e un’altra alla Stills Gallery di Edimburgo. Nel 2013 il suo progetto Memoriamatic vince il secondo premio Fondazione Cassa di Risparmio di Modena. Lo stesso anno è tra i finalisti del Premio Francesco Fabbri per le Arti Contemporanee. Attualmente vive e lavora a Torino.

Anna Morosini (Foligno, 1987) si laurea in Lettere Moderne presso l’Università degli Studi di Perugia e successivamente consegue il diploma al Master di Alta Formazione sull’Immagine Contemporanea presso Fondazione Fotografia di Modena. La sua ricerca fotografica si concentra principalmente sui temi del ritratto e del linguaggio del corpo, indagato quest’ultimo nei suoi significati antropologici e nei processi di ricerca della propria interiorità. Vive e lavora nella sua città natale.

Laura Simone (Modena, 1986) si avvicina al mondo della fotografia grazie alla grande passione del padre. Dopo essersi diplomata al liceo scientifico, studia Ingegneria edile al Politecnico di Milano. Nel febbraio 2011 si iscrive al Master di fotografia allo IED di Milano e nell’ottobre dello stesso anno inizia a frequentare il Master di Alta Formazione sull’Immagine Contemporanea presso Fondazione Fotografia a Modena. Terminati gli studi nel luglio 2013 entra a far parte del collettivo “Via Giardini” e inizia a lavorare come assistente da Toni Thorimbert. Attualmente vive e lavora a Modena.

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Buglioni Maila è storico dell’arte e curatore di mostre. Fin da piccola ha manifestato un innato interesse verso ogni forma d’arte: dalle arti visive alla danza, dal teatro all’architettura. Dopo il diploma presso l’Istituto d’Arte Sacra Roma II, ha proseguito gli studi all’Università ‘La Sapienza’ di Roma, dove ha conseguito la laurea specialistica in Storia dell’arte contemporanea. Ha collaborato con l’associazione turistica Genti&Paesi in qualità di guida turistica nella città di Roma. Collabora attivamente con altre riviste specializzate del settore artistico. Nel 2013 ha collaborato alla realizzazione di Memorie Urbane - Street Art Festival a Gaeta e Terracina.

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