L’ambiguità del gioco secondo Agostino Iacurci

Agostino Iacurci - Paolo Landriscina Photographer

Forme sintetiche e toni vivi, caratteristiche figure umane dipinte su enormi o su piccolissime superfici alternate a colorati cavallucci giocattolo. E ancora enormi scale intervallate a piccoli disegni in serie, in un continuum visivo che va dalla bidimensionalità della pittura fino alle installazioni 3D. E’ solo una piccola porzione del mondo idilliaco di Agostino Iacurci, promettente street-artist italiano, proposto dalla romana Wunderkammern di Tor Pignattara con la mostra Small wheel, big wheel, parte del progetto Public & Confidential che vede coinvolti cinque influenti artisti internazionali dell’ambito della Street-Art (Dan Witz, Rero, Agostino Iacurci, Aakash Nihalani e Jef Aèrosol).

Agostino Iacurci, nato a Foggia nel 1986, ne ha percorsa di strada in questi anni. Dal 2008 l’artista ha colorato milioni di edifici e spazi urbani, nel bel paese come all’estero: dagli interventi per Living Walls ad Atlanta al Bien Urban Festival a Besançon in Francia, da Outdoor Urban Art Festival 2001 a Roma alla Saba School insieme agli studenti in Algeria, dal cortile dell’area di massima sicurezza del carcere di Rebibbia di Roma in collaborazione con i detenuti alla 55° Biennale di Venezia per il progetto B2B, dalla facciata vetrata del Fubon Art Center di Tapei a Le M.U.R. di Oberkampf fino all’intervento su La Tour 13 a Parigi. Inoltre, i suoi lavori sono stati presentati in esposizioni e festival in Europa, in Giappone, Korea, Russia e Stati Uniti.

Impossibile non riconoscere il suo stile contraddistinto da un linguaggio essenziale e pulito, dove le semplici tinte sono giustapposte tra loro attraverso campiture definite e delimitate dal segno netto della linea nera, confine tra il suo universo pittorico e quello reale. A ciò si aggiunge l’ironia cinica e intelligente di contenuti legati alla realtà ordinaria, raccontati da Iacurci restando perennemente in bilico tra innocenza e malizia, tra serenità e catastrofe, tra fantasia e verità, opposti che divengono la chiave di lettura dell’intera esistenza umana.

Un idioma capace di veicolare, grazie alla sua facile ma non scontata interpretazione, molteplici livelli di lettura. Ed è proprio a ciò che Agostino deve il suo successo. Riconoscibilità e comprensibilità: doti e peculiarità ripagate dal suo pubblico eterogeneo, da quella folla di gente che sabato 8 febbraio ha invaso la galleria, sita in un quartiere della periferia est della città, per osservare le sue nuove creazioni.

Il tema del gioco, come momento di sospensione della vita quotidiana e fondazione di nuove convenzioni, è il fulcro su cui ruota l’intera esposizione. Questo tipo di attività, riferita in primis ai bambini, nasconde nella sua apparente semplicità una duplice natura: il gioco è il luogo della liberazione dell’immaginazione, tuttavia si basa sull’adesione di una comunità a rigide regole cui tutti i membri devono sottostare. Oltretutto, a questo rigore si contrappone una fragilità dovuta sia dalla sua transitorietà sia dalla sua incertezza ovvero dalla possibilità che un imprevisto infranga l’incanto. Partendo da questa premessa il foggiano evidenzia, attraverso l’ampio corpus di opere presenti, la forte connessione esistente tra l’attività ludica e quella artistica. Azioni non del tutto lontane poiché condividono una serie di elementi – come limite, azzardo, dedizione, transitorietà, ossessione – sottilmente esplorati da Iacurci in disegni, dipinti, oggetti e interventi nello spazio urbano del V Municipio.

Lontano dai rumori e dalle urla provenienti dalla strada m’immergo in un ambiente ove non occorrono orecchie, bensì grandi occhi per osservare. Qui tutto ricorda un parco giochi, luogo simbolo della scoperta del gioco come pratica sociale e spazio pubblico, dove nascono i primi incontri e si creano i parametri culturali futuri. Grandi tele rappresentano personaggi in tandem che si dirigono in direzioni opposte o enormi ruote su cui un anziano signore si svaga insieme ai suoi cani. Mentre, sulla parete adiacente ventiquattro facce raffigurano anonime fisionomie in cui ogni spettatore può riconoscersi. Intorno a me regna un’atmosfera familiare, accogliente ma sospesa, come se stessi percorrendo la famosa “strada che non andava in nessun posto” del grande Gianni Rodari, autore romano scomparso nel 1980. Poco più avanti, oggetti-sculture in legno fanno riaffiorare nella mia mente giochi di un passato ormai lontano. Di fronte, invece, vari lavori illustrano diverse figure in posizione eretta o capovolti a testa in giù, colti in differenti azioni giocose. Echi che rammentano le favole raccontate nei libri di Rodari: quelle fiabe nate «dallo scontro occasionale di due parole, da errori di ortografia, da giochi di parole..» (Gianni Rodari, Favole al Telefono, p.IV, Enaudi, 1962). Immediatamente dopo, il mio sguardo è attratto da un ciclo di piccole rappresentazioni grafiche incentrate su una sagoma umana e sulla sua palla: è la storia di ognuno di noi, divenuti uomini solitari nascosti dietro un pc, narrata attraverso tinte monocrome e il rosso fuoco della sfera, metafora di un immediato bisogno di amore e amicizia.

L’impossibilità dell’attuarsi delle attività precedentemente descritte nel nostro quotidiano è, tuttavia, resa possibile nel piano interrato e nel cortile interno, dove i singoli giocattoli sono fuoriusciti dai quadri per acquisire forme tridimensionali, condividendo così lo spazio concreto dell’osservatore.

Una personale che mette in primo piano i progressi della ricerca dell’artista: non solo muralista, disegnatore e pittore ma anche scultore. Opere realizzate con molteplici materiali– dalla tela alla tavola, dal legno al foglio di carta, dal pennello alla matita – che suscitano come sempre la curiosità e l’immaginazione del fruitore inducendolo, al contempo, ad un’osservazione che va oltre le mere opere grazie ai loro titoli, simbolo di un possibile spiraglio verso una loro comprensione. Creazioni che diventano veicoli di metafore di vita, dove il gioco è sinonimo di condivisione sociale ma anche d’illusione e d’inganno.

Inoltre, Agostino, ad Ottobre 2013, ha anticipato il tema della mostra realizzando l’opera pubblica Zero Infinito – accennata nell’articolo su Dan Witz http://www.artapartofculture.net/2013/11/14/public-and-confidential-dan-witz-alla-wunderkammern/ – visibile sulla facciata cieca dell’edificio dell’I.I.S.S. Di Vittorio-Lattanzio, in via Aquilonia.

Info mostra

  • AGOSTINO IACURCI – Small wheel, big wheel
  • a cura di Giuseppe Pizzuto
  • dall’8 Febbraio al 22 Marzo 2014
  • WUNDERKAMMERN, Via Gabrio Serbelloni, 124 – 00176 – Roma
  • orari: mercoledì-sabato 17:00-20:00 o su appuntamento 3498112973 -ingresso gratuito
  • info: tel. +39 06.45435662 –www.wunderkammern.net
  • wunderkammern@wunderkammern.net

 

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Buglioni Maila è storico dell’arte e curatore di mostre. Fin da piccola ha manifestato un innato interesse verso ogni forma d’arte: dalle arti visive alla danza, dal teatro all’architettura. Dopo il diploma presso l’Istituto d’Arte Sacra Roma II, ha proseguito gli studi all’Università ‘La Sapienza’ di Roma, dove ha conseguito la laurea specialistica in Storia dell’arte contemporanea. Ha collaborato con l’associazione turistica Genti&Paesi in qualità di guida turistica nella città di Roma. Collabora attivamente con altre riviste specializzate del settore artistico. Nel 2013 ha collaborato alla realizzazione di Memorie Urbane - Street Art Festival a Gaeta e Terracina.

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