Greta De Lazzaris. L’arte e lo stile di una fotografa di scena

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Cinema e fotografia di scena: un connubio imprescindibile soprattutto in questi anni in cui il backstage di un film viene riflesso e trasmesso da un capillare lavoro di comunicazione mediatica. È un omaggio ad un’arte paziente e artigianale ma anche un tributo per i 140 anni di Pinocchio quello che il ValdarnoCinema Film Festival ha voluto dedicare in occasione della sua trentanovesima edizione appena conclusa; in programma, infatti, nel nuovissimo palazzo della cultura Palomar di San Giovanni Valdarno una mostra con 25 scatti d’autore della fotografa Greta De Lazzaris realizzati sul set del film Pinocchio di Matteo Garrone.

Un progetto che nelle prossime settimane vedrà sviluppare iniziative ad esso legate anche con i ragazzi delle scuole. Abbiamo raggiunto Greta De Lazzaris per parlare di questo lavoro ma anche della specificità di una professione che merita di essere maggiormente valorizzata.

Qual è stato il criterio di questa scelta?

Ho dovuto scegliere tra 20000 scatti e non è stato facile, ma ho cercato di alternare le pose immortalate sulla scena con altre nel backstage. In questa selezione ho cercato cioè di evidenziare un itinerario collodiano diversificato che potesse far vivere ogni immagine come opera a sé, a prescindere dal contesto narrativo in cui era filmicamente inserita. E ho messo particolare cura anche nella scrittura di ogni didascalia, che potesse identificare personaggi, luoghi immaginari e geografie reali.

Il Cinema è un’arte, ma soprattutto una catena collettiva di costruzione industriale, mentre questa professione rappresenta puro artigianato. Come concili questi due aspetti sul set?

Il fotografo di scena deve prima di tutto rispondere alle esigenze della strategia di comunicazione che viene spesso definita prima ancora dell’inizia delle riprese, insieme al regista, con una creative agency, con l’emittente, l’ufficio stampa, la distribuzione. Ci sono quindi delle richieste precise da soddisfare (ad esempio posati degli attori sul set, foto del regista vicino o alla macchina da presa, primi piani, platee, e qualche volta anche foto delle location che possono servire alle Film Commission). Questo primo aspetto rappresenta la parte meno libera del lavoro.

Per l’altra parte, invece mi piace parlare prima con il regista. Alcuni hanno delle idee precise sulle foto di scena, altri invece, ti lasciamo totale libertà sulla scelta degli scatti ma bisogna considerare che le foto che coinvolgono gli attori sono sempre soggette all’approvazione degli agenti. Personalmente cerco di restituire, con una visione personale ma sempre aderente al racconto, una documentazione fotografica esaustiva della lavorazione del film, e infine sono anche sempre alla ricerca di immagini che, pur appartenendo al film, possono avere una vita autonoma, esprimere qualcosa altro. Il tuo lavoro è quasi quello di un reporter su un set cinematografico.

Durante la lavorazione di un film hai un atteggiamento più istintivo o più tecnico nello scatto?

Quando scatto sul set, fuori dalle esigenze che citavo qui sopra, ho uno sguardo molto istintivo, ma spesso influenzato dalla pittura, anche in modo inconsapevole. La tecnica ovviamente è sempre importante ma va di pari passo con l’istinto, perché per esprimersi liberamente, devi averla assimilata. Rimane però il fatto che le fotografie di scena, o di backstage, sono molto più belle quando il direttore della fotografia ha impostato le luci della scena, e questo influenza anche il tuo angolo di punto di vista.

Hai preferenze di una macchina fotografica piuttosto che un’altra a seconda della scena che devi scattare? Spiegaci il procedimento in base anche alle indicazioni del regista.

La macchina fotografica per me è sempre e solo uno strumento, finché non si tratta di tecniche più particolari come l’uso del banco ottico o del medio formato (che personalmente non ho mai visto usare su un set cinematografico).

Per me è importante quello che l’immagine racconta, più che lo strumento in sé. Una bella foto che riesce a raccontare qualcosa può essere scattata anche con lo smartphone.

A me importa il risultato. Ad esempio niente ti impedisce di scattare foto sul set in pellicola, ma non di certo le foto che devi consegnare ai responsabili della comunicazione. Anche perché oggi, le foto vanno consegnate se non giorno per giorno, almeno una volta alla settimana. Questi tempi veloci di lavorazione sono dovuti all’agilità del digitale. D’altra parte, sul set c’è la necessità di scattare in modalità silenziosa, quindi per evitare di ingombrami di un blimp per silenziare il rumore dell’otturatore, ho scelto di lavorare con un le machine fotografiche mirrorless.

Le fotografie di scena servono prevalentemente come testimonianza ma anche come mezzo di diffusione di un film attraverso l’ufficio stampa e i social media. Non pensi che questo in qualche modo appiattisca il tuo lavoro, soprattutto nel caso dei social dove chiunque può fare foto e migliorarle con l’uso di app ed effetti vari?

Non penso che la diffusione delle foto sui social abbia una qualche influenza negativa sulla qualità e il valore degli scatti che fai. Il problema è quando le foto ad esempio vengono ritagliate, o quando il lavoro di post-produzione che hai fatto non viene rispettato.

Capita di vedere delle tue foto pubblicate su dei siti online, con una risoluzione cosi scarsa da apparire completamente sgranate, sfocate, ri-inquadrate, con un dominante colore con non è quella che avevi impostato (capita anche con alcuni quotidiani o riviste cartacee), e questo è per il fotografo un vero dolore. L’altro problema (ma esisteva già prima della diffusione on-line) è che purtroppo troppo spesso le nostre foto vengono pubblicate senza i nostri crediti.

Per rispondere all’ultimo punto di questa domanda, direi che il fatto che fare foto sia oggi all’immediata portata di tutti, non fa di tutti dei bravi fotografi.

Come si potrebbe far conoscere meglio l’arte di questo mestiere secondo te?

Vorrei citare l’importantissimo lavoro che svolge Antonio Maraldi con il comune di Cesena. Ha fondato il premio nazionale dei fotografi di scena. Si chiama Cliciak – Scatti di Cinema e nel 2022 festeggerà la sua 25esima edizione e ogni anno viene pubblicato un bellissimo catalogo con alcune foto premiate e non, scelte tra tutte quelle mandate dai fotografi, su l’insieme della produzione cinematografica nazionale annuale. Lungometraggi, corti, serie tv, documentari.

Le foto premiate vengono esposte e la mostra circola in altre città. Antonio Maraldi sta cosi costruendo un prezioso archivio storico dei set cinematografici che può avere tanti sbocchi. Credo che per valorizzare il nostro lavoro bisogna andare oltre alla considerazione legata alla promozione del film, ma pensarle come una preziosa testimonianza della storia del nostro cinema. Costituiscono un patrimonio da custodire e diffondere.

Hai lavorato in quasi tutti i film di Matteo Garrone. Puoi raccontarci come vi siete conosciuti e qual è la caratteristica stilistica che maggiormente lo contraddistingue sul set?

Ho conosciuto Matteo Garrone quando ero aiuto operatore, già su Estate Romana. Mi sono formata lavorando nella squadra del direttore della fotografia Marco Onorato, che purtroppo ci ha lasciati nel 2012, poco dopo aver girato Reality.

Poco dopo ho smesso di fare l’aiuto operatore e cominciato a lavorare come direttrice della fotografia su film documentari e ho continuato a lavorare con Garrone ma questa volta nel ruolo di fotografa di scena. Era un lavoro che mi piaceva. Li vedevo aggirarsi sul set e un po’ invidiavo la loro autonomia.

Allo stesso tempo, parte della troupe e estranei. Matteo ha una grande libertà nel girare i suoi film, non ha niente di convenzionale, lavora spesso sulla base dell’improvvisazione, prende spunti sia dal reale che dalla fiaba ed è come se non ci fosse una frontiera tra l’uno e l’altro.  Può partire da una storia apparentemente banale e farne un racconto epico. Mi risulta impossibile e anche riduttivo cercare di definire la sua cifra stilistica, anche perché, se i primi film avevano molto a che fare con il realismo, riesce a passare dal film noir, al western, alla fiaba con uno sguardo che, anche se estremamente visionario, non perde mai di visto il reale.

Quanto sono connessi sul set il truccatore e il fotografo?

Non posso dire che il fotografo di scena abbia un particolare rapporto lavorativo con il truccatore.

Si fotografa la scena quindi quando scatto durante il ciak gli attori sono già stati ritoccati. Per quanto mi riguarda, devo collaborare con parrucchiere, truccatore e costumista quando devo scattare i posati sul set. Devo coinvolgere queste figure prima degli scatti dei posati ma in realtà accade in modo spontaneo perché sono tutti dei gran professionisti e non vorrebbero mai che l’attore appaia con il trucco, i cappelli o i vestiti fuori posti.

Qual è il tuo rapporto personale con la luce?

Sul set in linea di massima seguo le direttive del direttore della fotografia sulla luce. Nel caso di questo Pinocchio c’erano molti scuri… Era una specie di dark stile Tim Burton e poi molto era influenzato dalle varie location dove abbiamo girato, frutto di un importante lavoro di ricerca compiuto da Gennaro Aquino: Toscana, Salento, interni di studi cinematografici romani…

L’impianto visivo voluto da Garrone comunque era già di per sé molto forte.

Personalmente, invece, quando scatto, cerco una luce bella e molto intensa, ma amo anche creare cornici e quadri con essa.

Info

  • Greta De Lazzaris
  • Fino al 12 dicembre 2021
  • Palomar Casa della Cultura, San Giovanni Valdarno (Arezzo)
  • Contatti: tel. 055 9126303; palomar@comunesgv.it
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Laureata in Lettere e dottoressa di ricerca in Storia, teoria e tecnica del teatro e dello spettacolo, è stata per diversi anni cultrice della materia nella cattedra di Metodologia e critica dello spettacolo all’Università La Sapienza di Roma. Iscritta all’Ordine dei Giornalisti del Lazio come pubblicista, ha collaborato per molte riviste e web magazine e attualmente scrive di cultura per “Dazebao”, “Leggere: tutti” e “artapartofcul(ture)". Curatrice artistica di alcune manifestazioni e rassegne culturali, ha lavorato come promoter musicale per artisti, music club, festival ed etichette discografiche. Dal 2001 è titolare dell’agenzia a suo nome specializzata in promozione, ufficio stampa e pubbliche relazioni.

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