Salone del Libro di Torino 2014. Come la chiesa comunica la fede

Magris - Ravasi
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Magris – Ravasi

Fra gli eventi più interessante che hanno distinto il XXVII Salone Internazionale del Libro di Torino, va segnalato di sicuro il dialogo fra il Cardinale Gianfranco Ravasi e lo scrittore Claudio Magris, svoltosi venerdì pomeriggio.

Il Presidente del Pontificio Consiglio di Cultura e l’autorevole scrittore triestino, introdotti da Mario Calabrese, si sono interrogati sul linguaggio con il quale la Chiesa esercita il suo magistero.
Tema di estrema attualità, se si considera quanto sia complesso comunicare argomenti inerenti la fede nella nostra società.

L’incontro, fra i più attesi e in linea con il motivo conduttore del Salone: il Bene, si è aperto con una riflessione del laico Claudio Magris o più esattamente, con due colpi di fioretto.
Il primo ha centrato il tema dell’interferenza della Chiesa nella politica, il secondo ha stigmatizzato i problemi riguardanti la divulgazione del messaggio religioso nell’ambito della cultura di massa.

L’autore di Danubio dopo le stoccate iniziali si è rilassato e ha argomentato le sue dichiarazioni. Ha detto che la Chiesa non ha saputo sfruttare, nell’ambito della comunicazione, la razionalità del pensiero cristiano.  Del Bene, poi, sarebbe difficile parlare, più semplice è discutere del Male. Rappresentare il Bene, a suo dire, è pericoloso, è alto il rischio di proporne un’immagine zuccherosa.

La Chiesa è incapace di trasmettere messaggi in modo chiaro a un livello intermedio, non avendo sviluppato l’attitudine a una corretta e efficace divulgazione. Tuttavia, per accogliere o rifiutare i suoi messaggi, è necessario comprendere cosa questi intendano esprimere. Di qui il riprodursi di equivoci e d’inesattezze interpretative.

Magris offre a riguardo due esempi paradigmatici: l’assenza di purezza prima del battesimo e il tema della confessione. Argomenti a dir poco essenziali. Sul primo non si trattiene molto, dice piuttosto che, se comunicato in modo improprio, può generare nei fedeli delle vere e proprie forme di superstizione.
La confessione, invece, è analizzata con attenzione, non fosse altro per le sue inevitabili implicazioni con il peccato e la colpa.  A riguardo Magris segnala che il complesso di colpa è solo un aspetto dell’ampia questione. Il punto centrale, che andrebbe ben comunicato, riguarda invece l’impegno al cambiamento legato all’atto della confessione, il compito cioè “di sradicare nel nostro interno quella parte ritenuta negativa”.

Il cardinale Gianfranco Ravasi, citando autori di culto, ha sostenuto che la Chiesa e le sue strutture di comunicazione, devono indurre le persone a interrogarsi, per meglio dire, a inquietarsi. Qui appare convincente. La religione, ripete, non deve consolare ma inquietare, deve suscitare interrogativi, muovere gli animi. Una corretta divulgazione dovrà assolvere fedelmente questo compito. La figura di Cristo, aggiunge, è stata sciaguratamente demolita da predicatori mediocri.

Per ovviare bisogna adesso promuovere una comunicazione che tenga conto della corporeità, del contatto diretto, “ di una parola che sia corporale e generativa”. Le vicende di Gesù, narrate da Marco, come il riferimento al Regno di Dio o alla moltiplicazione dei pani e dei pesci, sono portate da esempio. E’ soprattutto il ricorso al Simbolo, con il suo portato semantico, dunque, a essere decisivo per un’efficace comunicazione. Un esempio per tutti: l’esperienza di Papa Francesco. Il suo comportamento gestuale, il suo linguaggio, le sue posture sarebbero esattamente ciò che Ravasi intende per comunicazione simbolica.

Fin qui la sintesi delle riflessioni di due alte figure che con umana incertezza si sono avvicinate all’ineffabile tema del Bene.

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Scrittore e psicologo, ha pubblicato per Guida, “La trilogia dei capperi “ (2005) e Passodincanto (2008). Dirige la collana “Solare” dell’ A.S.M.V. è ideatore e direttore del Festival dell’Erranza.​

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