Amori che non sanno stare al mondo. Francesca Comencini e lo sguardo sull’amore

Manifesto

Ci sono amori che durano tutta una vita, amori destinati a restare platonici, amori che vengono consumati e che si rivelano niente più che animalesca passione, e ci sono amori che non sanno stare al mondo, o che non sanno stare a galla, perché una forza misteriosa, oscura, ossessiva e logorante li trascina verso il fondo. Gli amori finiscono con la stessa inspiegabile rapidità e la stessa irrazionale assurdità con cui cominciano. È un concetto elementare, ma è proprio la sua minimale semplicità ad essere difficile da accettare. Ed è proprio per questo che Claudia (Lucia Mascino), professoressa universitaria di cinquant’anni, invia maniacalmente messaggi, si altera facilmente e litiga con il tabaccaio che – come un pusher disinteressato – le vende le ricariche, opprime la migliore amica (Carlotta Natoli), – professoressa anche lei – fa uso di psicofarmaci, beve, è protagonista di imbarazzanti scene pubbliche in cui si mostra nevrotica, alterata, persino sociopatica; Claudia fa tutto questo perché non si rassegna ad aver perso Flavio (Thomas Trabacchi), l’amore della sua vita, dopo sette anni di burrascosa convivenza alternata ad effimeri attimi di felicità estrema.

L’amore secondo Francesca Comencini, che approda al Festival di Locarno 2017 con Amori che non sanno stare al mondo, è una battaglia, una dura ed instancabile lotta portata aventi dalle donne – tutte, Claudia ne è solo la massima rappresentanza – per permettere che i sentimenti, quelli forti e coinvolgenti, non perdano il valore che necessitano nella vita, anche in quella che le vede maturare, invecchiare, affrontare una depressione o perdere completamente la testa. Claudia con la sua insana tossicità e le sue psicopatiche manie di controllo, la sua inscalfibile ed inossidabile tendenza a voler primeggiare è solo una delle tante sfaccettature del mondo femminile fatto anche di amanti insoddisfatte, di seconde scelte che sanno accontentarsi, di giovani arriviste consapevoli del loro fascino e pronte a sfoderare ogni arma di seduzione per conquistare l’uomo desiderato. Macchinosa, istintiva, impulsiva, catastrofista e depressa, la donna messa in scena da una istrionica ed esplosiva Lucia Mascino, è un crogiolo di fragilità e di insicurezza ben celato dietro ad un rossetto rosso maniacalmente ripassato sulle labbra a testimonianza del fatto che tutto sta andando bene, proprio come il finto ed immotivato interessamento per la vita privata dei vicini di casa. Il personaggio di Claudia – a cui tuttavia l’attenta interpretazione della Mascino riesce a non togliere verità – vuole essere un archetipo di ciò che viene visto direttamente dagli occhi di una donna che ha perso tutto ciò in cui ha creduto, e riposto tutte le sue speranze. La brutalità dei suoi gesti e delle sue azioni sono, dunque, una conseguenza dettata del suo personale modo di elaborare la perdita e l’allontanamento “dall’amore della sua vita”.

E dal lato opposto del campo di battaglia, quali sono le posizioni dell’uomo? Flavio viene, invece, rappresentato come uno schivo, moderatamente paziente, che maldestramente e con sfaticata superficialità tenta di contenere le debordanti scene isteriche, esternazioni di una donna verso cui non è mai evidente cosa provi. L’uomo è una minoranza nel film di Comencini, una minoranza che non è chiaro se vada preservata o abbattuta. Forse va solo compresa e accettata per quella che è senza correre a rifugiarsi nell’idilliaco sogno di un’epoca d’oro che non può esistere nella ordinaria quotidianità, ma che viene rievocata da suggestivi e onirici intermezzi in bianco e nero.

A tratti paradossale, in costante equilibrio tra la vena esilarante e quella tragica, complessa e ben strutturata, la pellicola di Francesca Comencini, alterna, creando un ricamo suggestivamente poetico e di forte impatto emotivo, flashback a narrazione presente, dialoghi frizzanti, spiritosi e intelligenti a teatrali e toccanti interventi extradiegetici della voce fuori campo della protagonista. L’allure tragicomica è supportata e rinforzata da una sceneggiatura magistralmente scritta, avvalorata da tempi comici invidiabili, sfruttati al meglio da un cast di altissimo livello – che deve molto al teatro, da cui proviene – e da una caratterizzazione mimica e gestuale di forte impatto. La macchina da presa, pur mantenendo una certa fissità, indaga nel pubblico e nel privato, abbandonando ogni forma di immotivata pudicizia. Essa si sofferma, inoltre, sui corpi femminili e su alcuni dettagli di essi cercando di mostrare come essi possano essere veicoli materiali – mutabili dal tempo che passa – di emozioni e sensazioni.

Amori che non sanno stare al mondo è un’indagine sull’amore, un trattato antropologico e filosofico sull’amore contemporaneo, contraddistinto da una ricerca stilistica matura ed estetizzante. Il buio e il “non detto”, e lo “scomodo” messo in scena senza alcun moralismo o ostentazione, vengono illuminati da una sapiente messa in scena della naturalezza del gesto, della parola ridondante, dell’atto fisico e della prestazione sessuale. Non ci sono veli, non ci sono ammicchi o strizzatine d’occhio tutto è esternato con estrema serenità in modo tale da poter offrire un coerente e veritiero affresco di una contemporaneità borghese presa mai ridicolizzata.

Abissi e vette, cadute e risalite, fini ed inizi, passato e presente si assemblano, si concatenano, trovano il loro posto ideale tra le fragilità, le sofferenze e le esuberanti prese di posizione della donna attorno a cui la storia è costruita. Le esperienze di Claudia, i suoi fallimenti, le sue rivincite, le sue scoperte sono il vestito che la rendono, nel bene e nel male, reduce; instabilmente e precariamente ancora viva.

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Benedetta Pallavidino nasce ad Alessandria nel 1992. Nel 2014 consegue la laurea triennale in lettere moderne con tesi in Storia e critica del cinema, nel marzo 2017 quella magistrale con tesi in Critica cinematografica. Nel 2015 vince il premio Adelio Ferrero per giovani critici nella sezione recensioni. Nel 2017 vince il Premio Franco La Polla e viene selezionata tra i finalisti del Premio Marco Valerio. Scrive di cinema e si occupa dell'organizzazione di eventi culturali ad Alessandria, dove vive.

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