Due ragazze del secolo scorso. Annie Ernaux e Irmgard Keun

immagine per L'OrmaDue ragazze del secolo scorso è il titolo dell’incontro di Book Pride 2018 tenuto da Lorenzo Flabbi e Luca Scarlini, una densa ora trascorsa a raccontare quelle che, secondo i relatori, sono due tra le più significative autrici del Novecento: Annie Ernaux e Irmgard Keun. È un match tra Francia e Germania a colpi d realismo e storia, in cui l’obiettivo non è prevalere, bensì mostrare tutte le qualità e le sfaccettature di due autrici controcorrente.
Flabbi, in quanto direttore editoriale de L’Orma e traduttore ufficiale delle opere della Ernaux, conduce la sua mezz’ora entrando subito in profondità e analizzando i romanzi e le loro tematiche ricorrenti in relazione alle vicende biografiche dell’autrice.

Un approccio dettagliato, ma anche molto intimo che accompagna per mano lo spettatore alla scoperta di una donna che si è creata il  suo destino con le proprie mani, elevandosi ed allontanandosi da una infanzia ed adolescenza precaria vissuta in Normandia, all’interno di una famiglia che alla cultura non era abituata, nè tanto meno la masticava.

Diventa prima scrittrice di grande talento e poi, con il romanzo che Flabbi definisce il suo testo di svolta, Il posto, una vera e propria indagatrice della realtà “Passa dalla finzione al voler raccontare ciò che è veramente successo”, precisa il traduttore, soffermandosi poi sulla ricorrenza di una tematica che affolla i suoi scritti: la vergogna. Si tratta di un sentimento ampiamente provato dall’autrice e candidamente ammesso e sviscerato in romanzi quali Memorie di una ragazza.

La prima vergogna che Ernaux si trova a dover affrontare è quella relativa alle sue origini, sulle quali, una volta entrata all’università, lascia calare un velo e dalla quale si distacca per poter ben adattarsi ad una mentalità e ad una società borghese da cui viene avvolta e alla quale desidera appartenere. A questa subentra, con lo scorrere del tempo, una seconda vergogna, dettata dalla maturità e da uno studio approfondito di filosofia e psicologia: quella di aver rinnegato le proprie origini e quella famiglia che l’ha messa al mondo, amata e cresciuta.

Lo stile di Ernaux, si addentra nell’analisi Flabbi, è semplice, non adopera un vocabolario semanticamente ricercato, ma, al contrario di ciò che ci si aspetterebbe, soppesa le parole, le ricerca, dà loro una ben precisa e ricercata sfumatura, oltre che una pluralità di livelli di lettura. “Niente va tradotto con superficialità, nemmeno un pronome o una congiunzione. Se entri nella sua ottica di idee e nella sua visione del mondo, ti senti in dovere di rendere giustizia ad ogni minima sfumatura del suo stile e della sua ponderata espressività”. Il grande merito di un’autrice come Ernaux è quella di vivere, scrivere e raccontare ogni cosa con autenticità, lucidità e veridicità.

Parlare a settantasei anni di quella che si è stata a diciotto è un’impresa difficile per chiunque: Annie Ernaux lo fa senza lasciarsi contagiare dalla maturità acquistata, astenendosi da ogni giudizio e parlando di sé esattamente come lo avrebbe fatto a diciotto anni.

Si riscopre, ritrova tutte le emozioni e le sensazioni provocate dai primi guadagni, dalla scoperta della propria fisicità e di quella dell’uomo, dell’ebbrezza e l’eccitazione dei primi parties. Scolpisce, insomma, sulla carta la perfetta descrizione di ciò che è stata senza macchiarne il candore, l’ingenuità e la bellezza.

Irmgard Keun è stata la più grande autrice del Novecento tedesco, così esordisce Scarlini per raccontare la sua scrittrice del cuore, una donna che non si è fatta fermare da censure, falò e fama passeggera, una scrittrice che ha ridipinto i contorni della donna all’epoca della Repubblica di Weimar, che ne ha esaltato le virtù e il bisogno di indipendenza. Le sue sono donne oggetto, che a comando soddisfano i bisogni dell’uomo, ma che posseggono un cervello e un’eloquente astuzia.

La sua temerarietà le ha permesso di scrivere a Goebbels e di condannare aspramente un regime che, definendola Asphaltliteratur, aveva posto fine alla sua libertà espressiva e alla sua incisiva e dettagliata rappresentazione di uno Stato e una società in continuo movimento. Ciò che della sua produzione, come anche di un certo filone cinematografico degli anni Venti, viene condannato, non è solo il delinearsi di un ruolo attivo della donna nella società – la donna diventa impiegata – ma soprattutto il suo creare, pagina dopo pagina, un mondo in cui l’uomo e la sua virilità vengono gradualmente annullate e lasciate annegare in un oceano di superficiale e fasullo senso di superiorità che lui,  inconsapevole dello starsi rendendo ridicolo, tenta di esternare, finendo solo per imporsi come un maschio alpha senza principi e cervello realmente funzionante.

L’Orma, che vanta tra le sue pubblicazioni buona parte della produzione di entrambe le autrici, avvalora, con le sue intelligenti strategie di vendita e di confezionamento del prodotto, due nomi destinati a scomparire nel panorama di proposte commerciali e mainstream. Si dedica alla valorizzazione di pilastri della cultura contemporanea e all’arricchimento personale del lettore, stimolato e invogliato all’acquisto e alla scoperta di una letteratura intelligente, colta e di nicchia capace di allargare gli orizzonti della sua mente.

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Benedetta Pallavidino nasce ad Alessandria nel 1992. Nel 2014 consegue la laurea triennale in lettere moderne con tesi in Storia e critica del cinema, nel marzo 2017 quella magistrale con tesi in Critica cinematografica. Nel 2015 vince il premio Adelio Ferrero per giovani critici nella sezione recensioni. Nel 2017 vince il Premio Franco La Polla e viene selezionata tra i finalisti del Premio Marco Valerio. Scrive di cinema e si occupa dell'organizzazione di eventi culturali ad Alessandria, dove vive.

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