Dietrich vs Garbo. Una mitologia anticonformista e stravagante

immagine per Marlene Dietrich e Greta GarboC’è spazio per tutto a Tempo di Libri, anche per il cinema.

In una edizione che si incentra su temi quali la donna e la ribellione, i critici cinematografici Emanuela Martini e Maurizio Porro trovano terreno fertile per mettere in scena una battaglia a colpi di film che permette loro di confrontare e analizzare sotto diversi punti di vista due tra le dive più controverse della storia del cinema: Marlene Dietrich e Greta Garbo.

In un’epoca – gli anni Trenta – in cui erano le Major e lo Studio System a farla da padroni a Hollywood, le attrici più poliedriche e promettenti della loro generazione arrivano dall’Europa, dalla Germania e dalla Svezia e portandosi appresso un alone di conturbante mistero.

Emanuela Martini sceglie di prendere le difese della Dietrich, attrice e diva che ritiene essere più moderna e più vicina ad un’idea di star contemporanea, poliedrica nel suo non saper solo recitare, ma anche ballare e cantare con maestria e seducente avvenenza. Maurizio Porro, di rimando, si schiera in difesa della Garbo che definisce modernità incarnata. La conversazione cresce, di domanda in domanda, e il ritmo del dialogo tra i due esperti diventa sempre più incalzante.

Si passano in rassegna le doti recitative, la vita privata, i rapporti con il sistema hollywoodiano, con i registi e con i generi. Alla Garbo vengono riconosciute le straordinarie doti drammatiche e l’intensità che è capace di trasmettere attraverso i primi pani e lo sguardo magnetico, mentre di Marlene viene esaltata la straordinaria ironia, la capacità di essere a proprio agio tanto nel comico brillante quanto nel drammatico.

Si parla di due personaggi pubblici che creano, step dopo step, dei miti edulcorati di loro stesse. Venerate dal sistema e osannate dal pubblico, diventano feticci di una sacralità laica e trasgressiva che spinge sull’acceleratore e si concede – in un epoca in cui, in fondo, non ci si lasciava spaventare ed incatenare dallo spauracchio delle etichette – la possibilità di dare scandalo e di innalzare una mitologia anticonformista e stravagante: mentre Marlene assicurava le proprie bellissime gambe, Greta richiedeva di poter indossare i pantaloni almeno in una scena per film.

Essere le dive di punta della Metro Goldwyn Mayer e della Paramount fa sì che Garbo e Dietrich, puntando sulla rivalità, possano permettersi ogni lusso e ogni stravaganza, non a caso sono le uniche due attrici negli anni Trenta a cui sia concesso baciare una donna sul grande schermo.

Marlene in Morocco (1930) compie una vera e propria opera di seduzione del suo pubblico – quello interno alla narrazione, e quello in sala – lo rapisce con la sua voce profonda in un francese incerto, lo confonde mostrandosi confortevolmente vestita da uno smoking nero e lo stupisce, lasciandolo senza fiato, dopo una lunga sospensione, con un bacio saffico che viene accolto da una chiassosa risata.

La Garbo, al contrario si attiene ad un copione: ne La regina Cristina (1933) si limita infatti ad incarnare, senza sbavature, il ruolo della regina di Svezia, che mai ha celato la sua liaison amorosa con Ebba Sparre.

La carriera della Dietrich e della Garbo si potrebbero confrontare passando in rassegna ruolo dopo ruolo, precisano Martini e Porro, e non si finirebbe mai di rintracciare affinità e contrapposizioni. Nonostante il tempo passi e i canoni del divismo mutino, le due “regine degli anni Trenta” restano intoccabili, dopo di loro non si sono più raggiunte simili vette di modernità e trasgressione, di sobrietà e di stravaganza tanto calibrate.

Le faide ad Hollywood si sono evolute, si è passati a Joan Crawford e a Bette Davis, ma anche loro non si sono spinte oltre, forse perché sulla cresta dell’onda in anni in cui il genere femminile e i suoi canoni sono in continuo cambiamento. Negli anni Cinquanta si passa alle maggiorate o alle lolite, non c’è più posto per l’algida e sensuale durezza delle nordiche europee, nemmeno Ingrid Bergman, che sempre dalla Svezia proviene, riuscirà a far risorgere questo mito.

Restano, come era prevedibile, alcuni rimpianti: quello di non aver visto la Garbo lavorare con Visconti, o la mancata assegnazione dell’Oscar sia a Greta che a Marlene; eppure, il cospicuo apporto che queste due dive hanno dato alla storia del cinema rimarrà indelebile, scolpito sulla pellicola e nella memoria collettiva.

E se proprio si deve ricondurre ciascuna ad un fotogramma preciso, non si può che ripensare alla risata fragorosa ed inattesa di Ninotchka (nell’omonimo film del 1939) e alla performance canora di Lola, in lustrini a cavalcioni di una sedia ne L’angelo azzurro (1930).

 

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Benedetta Pallavidino nasce ad Alessandria nel 1992. Nel 2014 consegue la laurea triennale in lettere moderne con tesi in Storia e critica del cinema, nel marzo 2017 quella magistrale con tesi in Critica cinematografica. Nel 2015 vince il premio Adelio Ferrero per giovani critici nella sezione recensioni. Nel 2017 vince il Premio Franco La Polla e viene selezionata tra i finalisti del Premio Marco Valerio. Scrive di cinema e si occupa dell'organizzazione di eventi culturali ad Alessandria, dove vive.

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