L’Arte Accidentata di Fabio Sargentini

immagine per Fabio Sergentini
particolare - Claudio Palmieri Albero verde, 2017, tecnica mista su tela

“Può il caso aggiungere senso o addirittura poesia ad un’opera d’arte in sé compiuta concettualmente e formalmente?”
Questa è la domanda ad introduzione della mostra di Fabio Sargentini. in corso a L’Attico.

La storia di Fabio Sargentini e della sua galleria non ha bisogno di grandi presentazioni.

Scorribanda, la mostra del 2018 alla Galleria Nazionale di Roma, ha celebrato i sessant’anni di attività dell’Attico con l’esposizione di circa quaranta opere realizzate dalla fine degli anni Cinquanta a oggi dagli artisti legati alla galleria.

Nelle parole di Sargentini:

lo spirito di avventura mi ha animato nella conduzione de l’Attico, la mia galleria d’arte. C’è, infatti, in Scorribanda un che di piratesco, di corsaro che mi piace”.

Fondata dal padre Bruno Sargentini nel 1957 a Piazza di Spagna, acquisisce in poco tempo fama internazionale e dal 1966 è il figlio Fabio a condurne le sorti, dando vita ad una serie di mostre sperimentali fino allo spostamento nel 1968 della galleria nel garage di Via Beccaria, che rivoluziona il concetto stesso di spazio espositivo.

Nella sede di via Beccaria si sono succedute mostre memorabili tra cui, solo per citarne alcune, quelle di Kounellis, Merz, De Dominicis, Oppenheim. A partire da quegli anni, all’attività espositiva Sargentini ha affiancato l’organizzazione di eventi performativi di musica e danza e dalla fine degli anni Settanta ha avviato l’attività di teatro sperimentale.

Nel 1972 apre la Galleria in Via del Paradiso. Soffitti affrescati e pavimenti marmorei, che paiono suggerire un ritorno alla pittura, fanno da cornice alle sperimentazioni di artisti tra cui Gilbert&George, De Dominicis, Paolini e Ontani. A partire dagli anni Ottanta alla galleria si uniscono alcuni pittori tra cui Palmieri e Limoni, presenti oggi nella mostra “Arte accidentata”.

Nel comunicato stampa, Fabio Sargentini ipotizza che sia stato “lo spazio espositivo di via del Paradiso (forse geloso di via Beccaria, appena ospitato con le gigantografie nella mostra L’Attico dentro L’Attico) a proporsi come progetto principe di una mostra su misura”.

Eventi casuali, rovinosi ad una prima impressione, hanno dato vita ad una mostra che ricomprende opere “accidentate”, appunto, di alcuni artisti storici della galleria.

Come racconta Sargentini, tutto ha inizio con lo squarcio aperto nella tela dipinta del controsoffitto di una delle sale della galleria in via del Paradiso, seguito poi dalla casuale rottura del vetro che incorniciava un nudo di Luigi Ontani e da un buco apparso sulla tela di Giancarlo Limoni ad opera di un topo, affamato forse di arte?!

Memore di altre sciagurate avventure che non hanno risparmiato neppure le opere del grande Duchamp (si sa che il caso è l’unico vero elemento di democrazia nella storia umana!), Sargentini rilegge sotto nuova luce questi accadimenti e decide prima di bloccare i lavori di restauro del controsoffitto della galleria, poi di chiedere ad alcuni artisti di rinvenire le proprie opere “toccate” dall’implacabile mano della fatalità.

Il risultato è una mostra in cui alcuni pittori, che hanno vissuto la storia dell’Attico, sono presenti con opere che, dal loro essere irrimediabilmente rovinate, hanno acquisito un nuovo stato e modo di esistenza.

Uno squarcio si apre su Albero Verde, del 2017, di Claudio Palmieri: pare che una scultura presente nel multiforme studio del poliedrico artista romano abbia voluto farsi strada in questa vivace natura dipinta.

In un modo forse simile, un corpo contundente ha colpito Assolo del 2010 di Stefano Di Stasio, provocando un’ampia e netta ferita nel fianco del nudo protagonista.

Nel bianco Senza titolo del 1990 di Paolo Fabiani, emerge silenziosa una subdola crepa, che pare quasi nascondersi tra le forme evanescenti che fluttuano sulla tela.

Un topo, invece, ha rosicchiato un angolo in basso di Torsione di Giancarlo Limoni del 1989, aprendo un ben evidente buco orizzontale, che quasi si contrappone al dinamismo obliquo della tela.

Un foro netto si è aperto accanto al Buddha con telefono cellulare, protagonista di Made In China, l’opera fotografica di Miki Carone del 2000. Mentre su Piazza di Spugna del 1967 di Luca Patella, sono colate misteriose macchie nere, cariche di drammaticità.

Il Testimone di Luigi Ontani è proprio lì, a rimirare attraverso il vetro rotto della propria cornice quello squarcio aperto nel controsoffitto dipinto della galleria.

Ci si chiede, allora, se quello sguardo al cielo sia più di timore per le violente conseguenze del caso, o forse più di curiosità per quei nuovi orizzonti che spesso dagli squarci si intravedono.

Info mostra

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Laureata in storia dell'arte contemporanea, accosta allo studio e alla scrittura la propria di ricerca artistica. Da una prima sperimentazione di matrice informale si avvicina all'arte figurativa, utilizzando principalmente pittura a olio e disegno a matita. Convinta che non ci siano definizioni e limiti alla ricerca artistica, se non l'onestà della ricerca stessa, prosegue a scrivere di arte con una visione critica, per vivere la propria dimensione artistica in maniera completa.

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