La mostra che non ho visto #43. Iginio De Luca

Iginio de Luca in un ritratto fotografico di Giulio Crisante
Iginio de Luca
in un ritratto fotografico di Giulio Crisante

Ogni volta che incontro Gianni la mia mente comincia a viaggiare immaginando le decine di mostre e contesti che avrei voluto vivere; e tutto si mescola in una strabordante esposizione collettiva che racchiude in sé tanti periodi apparentemente distanti della storia dell’arte.

Mi sarebbe piaciuto trovarmi ad una delle tante vernici di fine ’800 o dei primi del ‘900 a Parigi, io bohémien a cavallo tra post-impressionismo e prime accensioni fauve, oppure all’inaugurazione della Fontana dei Fiumi del Bernini, vera e propria installazione a cielo aperto al centro di una Roma barocca e onnipotente, o ancora al cospetto di Caravaggio e alle storie alternative di San Matteo, con l’odore dell’olio ancora fresco e il fumo delle candele che impregna i vestiti.

Per poi approdare agli anni ’60, urtare un braccio di Pino Pascali che da Sargentini assesta nervosamente i bachi da setola prima dell’apertura della galleria. Fino in Cina alla metà degli anni ‘90, per trovarmi nell’attimo in cui sospeso in aria c’è un antico vaso della Dinastia Han che, un secondo dopo, si frantumerà al suolo, a fianco ad Ai Weiwei ancora giovane.

Mi perdo nella capacità visionaria delle loro menti che, in tutte le epoche, sfondano lo sguardo oltre l’immagine (per dirla come Alfredo Jaar), trasformando in arte, tramite una sorta di processo alchemico, i materiali più banali e le circostanze meno interessanti.

Ma  pecco di autoreferenzialità e di miope narcisismo se dico che la mostra che avrei voluto vedere più di tutte sarebbe proprio la mia?

Quale migliore occasione per mettersi a nudo se l’arte è lo specchio autobiografico per eccellenza, il ritratto più intimo? Paradossalmente, però, più siamo immersi e più non vediamo, non ci rendiamo conto; come di fronte allo specchio se ci avviciniamo troppo l’immagine si deforma. E allora, come per improvvisa amnesia, spellicolare me stesso da me stesso.

Mi distacco senza più coscienza, accidentalmente estraneo alla mia vita, mi vedo dall’esterno e a distanza. Come quando senti la tua voce dentro una segreteria telefonica e non ti riconosci, oppure ti rivedi filmato a tua insaputa e non ti attribuisci quella postura, quello strano profilo e i movimenti nervosi a scatti.

Un altro Iginio, al di qua di Iginio artista, in un cortocircuito di identità. Per la prima volta posso finalmente vedere me e il mio lavoro in tutti gli aspetti e le angolazioni.

Spietato (perché disinteressato) mi sostituisco da vittima a carnefice, da artefice a critico. E da critico imparziale entro in galleria: cos’è quello che vedo? E’ arte? Sono azioni performative? Protesta sociale e politica? Puro sfogo personale? Bisogno psicologico di essere visto? Ritorno all’infanzia? Provocazione fine a se stessa?

Il silenzio.

Nonostante sia fuori da me, i crescenti dubbi non si placano. Purtroppo o per fortuna le domande rimangono prive di risposta: mi condanno o mi assolvo? Dopo ulteriori giri mi avvio all’uscita della galleria.

Sulla porta rileggo il nome e mi domando: “ma  Iginio chi?”

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Nato mezzo secolo fa a Roma e morto nel futuro, non attraversa di buongrado la strada senza motivo. Impiegato prima in un forno in cui faceva arte bianca poi del terziario avanzato, da mancino dedica alle arti maggiori la sola mano sinistra. Allestisce, installa, fa deperire, dimostra, si confonde, è uno scadente imbonitore, intelligentissimo ma con l’anima piuttosto ingenua. Ha fondato in acqua gli artisti§innocenti, gruppo di artisti e gente comune, che improvvisa inutilmente operette morali. Tra suoi progetti: la Partita Bianca (incontro di calcio uguale), una partita notturna tra due squadre vestite di bianco, a cura di ViaIndustriae, Stadio di Foligno 2010 e, in versione indoor, Reload, Roma 2011 e Carnibali (per farla finita con i tagliatori di carne), Galleria Gallerati, Roma 2012.
Ha contribuito alla performance collettiva TAXXI (Movimento di corpi e mezzi al riparo dalle piogge acide contemporanee) prodotto dal Dipartimento Educazione del Maxxi nel 2012. Sua la cura del Premio città etica (per l’anno duemilae...) e del Premio Retina per le arti visive.

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