La mostra che non ho visto #65. Emilio Fantin

Emilio Fantin
Emilio Fantin

Intro: La mostra che vorrei vedere è “Vernice” a cura di Donatella Giordano e Katiuscia Pompili, Palazzo Cafisi-Majorca, Favara, dove non opere ma voci abitano lo spazio. Vorrei vedere il fantasma di una mostra, così come vorrei vedere la parte invisibile delle persone.

[da registrazione telefonica] “Mi trovo molto spesso ad avere a che fare con persone, a stare assieme con delle persone, a conversare con delle persone, a vivere con delle persone, a lavorare con delle persone. Queste situazioni si condensano in condizione comunitaria, quindi si formano comunità attraverso le quali si portano avanti anche delle pratiche o delle idee che vengono messe in pratica.
La maggior parte delle mie attività si fondano proprio su questa ricerca di comunità.
Molto spesso sono delle comunità all’interno delle quali si cerca qualcosa, per esempio.

Naturalmente è fondamentale che ci si incontri fisicamente, quindi è fondamentale trovare dei luoghi e dei tempi in cui scambiarsi idee, vivere assieme, mangiare assieme, lavorare assieme.
Tutto questo è molto importante e consolida un senso di partecipazione e di condivisione.

Naturalmente tutte le persone che formano queste comunità hanno a loro volta una vita propria, quindi sono destinate prima o poi a rompere queste comunità per seguire i loro interessi particolari.
E proprio su questo punto che ho cominciato ad elaborare delle idee e dei pensieri, sul fatto che una comunità possa esistere anche al di là di un incontro fisico e di uno spazio in cui le persone si incontrano percependosi attraverso i sensi. Da questo è nata l’idea di definire una comunità non tanto come un insieme di corpi fisici ma quanto come una comunità invisibile.

In una comunità invisibile le persone che compongono questa comunità continuano a essere in contatto, continuano a essere presenti in uno spazio a questo punto non più fisico, anche al di là del tempo e al di là dello spazio. Una comunità invisibile è una comunità che comunica anche senza che le persone si trovino una di fronte all’altra.
Questa è un’idea che secondo me pone l’accento su una qualità dell’uomo che non è solo una qualità fisica, ma anche una qualità spirituale. La comunità invisibile si fonda essenzialmente su una qualità spirituale che ogni elemento della comunità porta.

Naturalmente come nello scambio fisico c’è uno scambio di parole, c’è uno scambio di percezioni, c’è uno scambio di sensi, così nella comunità invisibile ci sarà uno scambio di qualità spirituali. Queste qualità devono essere però messe in atto, devono venire agite, devono essere generate, e per fare questo sono necessarie delle ritualità.
Quindi è necessario immaginare una condizione rituale che può essere specifica per ogni comunità, non necessariamente legata a un codice rituale prestabilito, ma può essere ispirata, forse sì, da altre situazioni anche di saggezza millenaria, trasformato ed evocato però da una condizione personale, propria, di quella comunità. Si ha così la creazione di ritualità relative proprio a quella specifica comunità e a quello specifico modo di stare assieme.

Queste ritualità possono essere di vario tipo ma un esempio molto semplice potrebbe essere l’invio di un’immagine che accomuna queste persone, che magari vivono in luoghi diversi, attraverso una ricostituzione dell’immagine su un piano interiore. Quindi un’immagine retinica, anche un semplice file che viene spedito attraverso l’email ad una comunità supponiamo di trenta persone, ha la capacità di rievocare il legame che queste persone (naturalmente dobbiamo scegliere un’immagine che abbia questa potenzialità) hanno stabilito nel momento in cui si sono ritrovate fisicamente.
Ognuna di loro ricostruirà interiormente tutto un apparato sentimentale, psichico e mentale che riguarda l’immagine che viene spedita e questo darà adito ad un ricordo e anche a ritrovarsi su un piano non più fisico.

Naturalmente la comunità invisibile deve incorporarsi, cioè deve prendere corpo di tanto in tanto per potere riattuare e rigenerare questi legami, e quindi ciò che viene colmato tra un incontro fisico e un altro è appunto una condizione di lontananza che viene però continuamente riattivata da queste piccole ritualità.

Nel frattempo ogni elemento della comunità invisibile elabora nella sua vita personale, nel suo discorso assolutamente individuale, una propria linea di ricerca, un proprio approfondimento, che sarà offerto nel momento in cui la comunità si ritrova sul piano fisico, quindi si rincontra in uno spazio determinato.
Questo respiro tra l’incontro fisico, l’offerta, la separazione e la preparazione all’offerta caratterizza la vita di questo tipo di comunità, anzi di questa idea di comunità.
Ecco, ho voluto semplicemente delineare quest’idea perché è l’idea che io cerco di frequentare da anni e attraverso la quale credo e sento di poter vivere meglio con me stesso e con gli altri”.

Intervento audio per “Vernice”, un progetto a cura di Donatella Giordano e Katiuscia Pompili, presentato in Palazzo Cafisi-Majorca a Favara, il 28 giugno 2014.

Trascrizione di Donatella Giordano

 

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Nato mezzo secolo fa a Roma e morto nel futuro, non attraversa di buongrado la strada senza motivo. Impiegato prima in un forno in cui faceva arte bianca poi del terziario avanzato, da mancino dedica alle arti maggiori la sola mano sinistra. Allestisce, installa, fa deperire, dimostra, si confonde, è uno scadente imbonitore, intelligentissimo ma con l’anima piuttosto ingenua. Ha fondato in acqua gli artisti§innocenti, gruppo di artisti e gente comune, che improvvisa inutilmente operette morali. Tra suoi progetti: la Partita Bianca (incontro di calcio uguale), una partita notturna tra due squadre vestite di bianco, a cura di ViaIndustriae, Stadio di Foligno 2010 e, in versione indoor, Reload, Roma 2011 e Carnibali (per farla finita con i tagliatori di carne), Galleria Gallerati, Roma 2012.
Ha contribuito alla performance collettiva TAXXI (Movimento di corpi e mezzi al riparo dalle piogge acide contemporanee) prodotto dal Dipartimento Educazione del Maxxi nel 2012. Sua la cura del Premio città etica (per l’anno duemilae...) e del Premio Retina per le arti visive.

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