La mostra che non ho visto #67. Gino Sabatini Odoardi

Gino Sabatini Odoardi in un ritratto fotografico di Giorgia Tobiolo
Gino Sabatini Odoardi
in un ritratto fotografico di Giorgia Tobiolo

Il pomeriggio del 23 aprile 1997 mi trovavo in un grande e minimale spazio bianco in Austria, esattamente a Klagenfurt. Non ero solo. Indossavo una camicia nera, fazzoletto azzurro, pantaloni grigioverde, anfibio nero e fez in testa. Mi posizionai su un grande tappeto su cui era raffigurata una svastica nera su fondo bianco e con voce decisa, iniziai un dibattito in tedesco sulla Mistica di Regime in onore di un generale tedesco di cera seduto in tribuna in mezzo a spettatori inconsapevoli. Subito dopo mi cambiai d’abito in un camerino retrostante, in meno di 5 minuti mi ritrovai di nuovo sul grande tappeto uncinato, con divisa da scherma, maschera e fioretto in pugno. Iniziai un combattimento sfiancante fino all’ultimo colpo contro un avversario di pari livello. Vinsi ai punti. Con la stessa rapidità mi cambiai di nuovo, nero vestito e con una grande bandiera in mano, intrapresi uno sbandieramento sincrono con l’aria pesante del luogo. L’esaltazione durò all’incirca 15 minuti, dopo i quali tornai a cambiarmi per l’ultima volta per indossare una monocroma divisa ginnica. Volteggiai sempre sulla stessa pedana rincorrendo un primato mai raggiunto. Tra un’azione e l’altra il silenzio veniva puntualmente interrotto da un applauso forzato degli spettatori. Mi sedetti sfinito a terra davanti ad un grande schermo monocromo su cui campeggiava una piccola scritta “The end”.

Quel giorno, con un assordante bombardamento audio si cristallizzò il sublime collage dinamico di “Che cosa è il fascismo”.

Fui orgogliosamente complice – da comparsa anonima fuori fuoco – del “Teatro della mostra” di uno dei più grandi artisti italiani: Fabio Mauri.

Oggi, a distanza di quasi diciotto anni, frugo tra le pieghe del mio ripensamento e qualcosa mi pervade, cerco di decifrarne i contorni. Con nostalgia consolatoria prendo atto che la presenza attiva di quel giorno non mi ha permesso di cogliere l’essenziale. L’inseguimento dell’azione programmata ha favorito l’anestesia della mia coscienza. Sono stato un colore dinamico, un pigmento controllato all’interno di una composizione ideologicamente complessa. Durante tutta l’azione, ho mancato il grande presepe dello spettatore cosciente – fuori tribuna. Ho mancato di cogliere in quell’atto l’ideologia falsa, la superficialità istituzionalizzata, la tautologia del potere, la bugia nascosta nell’ordine e la vergogna della confusione culturale che purtuttavia mi vide parte di un tutto dove l’apparente normalità del sogno dogmatico era pronto a tramutarsi in incubo. Ho mimato il serio come una poesia raccontata a memoria sulla sedia, smarrendo totalmente i contorni, il vero, la profondità.

Una mostra controstoria. Una performance controtempo. L’ho persa per sempre, perché c’ero. Ero commedia.[1]

“[…] Chi indossa la divisa scelta, entra in un campo di relazioni, diventa lo spettacolo. Chi ripete, a suo modo, un testo, idem.
Chi assiste al gesto e ricopre un ruolo assegnatogli dalle “Tribune” in cui viene collocato, diventa spettacolo, senza che si renda necessaria una sua successiva volontà di partecipazione”. [2]

Note

1.  “Che cosa è il fascismo” performance all’interno della retrospettiva di Fabio Mauri “Das Böse und das Schöne”, a cura di Arnulf Rohsmann, Kunsthalle, Klagenfurt (Austria), Aprile, 1997.

2.  Note tecniche di Fabio Mauri su l’azione “Che cosa è il fascismo” 1971 (Ciclostilato distribuito la sera del 2 aprile 1971 negli Stabilimenti Safa Palatino, Roma).

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Nato mezzo secolo fa a Roma e morto nel futuro, non attraversa di buongrado la strada senza motivo. Impiegato prima in un forno in cui faceva arte bianca poi del terziario avanzato, da mancino dedica alle arti maggiori la sola mano sinistra. Allestisce, installa, fa deperire, dimostra, si confonde, è uno scadente imbonitore, intelligentissimo ma con l’anima piuttosto ingenua. Ha fondato in acqua gli artisti§innocenti, gruppo di artisti e gente comune, che improvvisa inutilmente operette morali. Tra suoi progetti: la Partita Bianca (incontro di calcio uguale), una partita notturna tra due squadre vestite di bianco, a cura di ViaIndustriae, Stadio di Foligno 2010 e, in versione indoor, Reload, Roma 2011 e Carnibali (per farla finita con i tagliatori di carne), Galleria Gallerati, Roma 2012.
Ha contribuito alla performance collettiva TAXXI (Movimento di corpi e mezzi al riparo dalle piogge acide contemporanee) prodotto dal Dipartimento Educazione del Maxxi nel 2012. Sua la cura del Premio città etica (per l’anno duemilae...) e del Premio Retina per le arti visive.

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