La mostra che non ho visto #47. Alberto Parres

Alberto Parres in un ritratto fotografico di Alexandra Sinyasvskaya
Alberto Parres
in un ritratto fotografico
di Alexandra Sinyasvskaya

La vita mi ha fatto tanti doni, uno lo tengo nel mio cuore per sempre… la mia amicizia con Giacinto Cerone.

Con lui ho condiviso una grande fetta della mia vita a Roma. Insieme abbiamo sognato e realizzato le nostre opere ridendo come dei bambini pieni di entusiasmo per quel grande dono che gli artisti del passato hanno donato a tutti noi, per gli artisti nostri contemporanei… anche!

Eravamo curiosi estremi. Tutto era ottimo, nessun artista era escluso, tutto bisognava mettere nel nostro calderone, frullarlo, mangiarlo e digerirlo in piena coscienza. Niente era da inventare… tutto stava davanti a noi, là, per essere vissuto e preso a piene mani… era la nostra parola d’ordine, non inventare niente per stare umilmente il più vicino alla natura naturante, ascoltarla e assecondarla nella sua pienezza… era il nostro segreto svelato continuamente ad un mondo spesso di sordi presuntuosi…

Eravamo ubriachi di gioia, nonostante le enormi difficoltà che la vita ci poneva davanti. Ci vedevamo quasi tutti i giorni e spesso la domenica prendevamo il tè nel mio studio a Campo de’ Fiori insieme a sua moglie Elena. Loro tornavano dalla passeggiata alla stazione Termini, vestiti di tutto punto con occhiali da sole anni cinquanta e pieni di dignità nonostante la mancanza di soldi. Passeggiavano in un mondo tutto immaginario ma pieno d’amore. Altre volte mangiavamo una insalata con pane e olio perché altro non c’era. Molte volte Elena faceva la domenica la pasta in casa, con la sapienza e la semplicità che solo le persone antiche sanno fare. Elena mi leggeva le sue poesie, Giacinto mi recitava Montale a memoria e io estasiavo e abbracciavo tutto con meraviglia.

Elena e Giacinto erano un’unica realtà. Lei era Penelope che intesseva nel telaio della vita e del lavoro di Giacinto e lui era Ulisse che viaggiava veloce nell’ immaginario per tornare sempre da lei con amore e devozione verso la donna eccellente.

La nostra amicizia era di una complicità a tutto tondo…. niente era nascosto… avevamo dei soprannomi per tutti e anche per noi… Io ero Parigi quando mi trovava bene e Desk quando mi trovava piatto e depresso… lui era Cinto per mio figlio Miguel, Viet quando parlava di guerra al nemico e Genio sempre…

Sognavamo di andare insieme in Vietnam… rivivere i viaggi di Andrè Malraux in Siam, ritornare a quello che sentivamo la nostra terra promessa dove ci saremmo dissolti nei piaceri più sottili tra Templi, Mekong ed Erotismo estremo. Il viaggio era sempre rimandato per impegni di lavoro e responsabilità familiare, ma la verità era che sarebbe stato un viaggio senza ritorno, allora rimandavamo più in là…

Ci bastava un’occhiata per capirci al volo… un sorriso, spesso una risata, e ognuno a studio suo a lavorare sodo con orari rigorosamente da fabbrica…

Perché ti racconto tutto questo… Perché, in occasione della mostra che si fece a Roma in onore di Giacinto (con dipinti messi in vendita per sostenere la sua famiglia in quel delicato momento) presso la Galleria di Valentina Bonomo, fui intenzionalmente escluso dagli organizzatori.

All’inizio non sapevo neanche che si stava organizzando la mostra… fu incontrando Luigi Ontani per strada… fu lui a dirmi che dovevo partecipare perché quella sarebbe stata la volontà di Giacinto… Cercai di capire, ma inutilmente. Un muro di gomma degli organizzatori mi fermava… così con molto dispiacere mi trovai escluso… era un duro colpo vedere che artisti che neanche conoscevano Giacinto partecipavano come amici suoi, ed io e altri artisti amici suoi eravamo esclusi di sana pianta perché, secondo un bieco giudizio di chi si sente più in alto degli altri, non ci ritenevano all’altezza…. e poi dai nostri dipinti non avrebbero ricavato un granché… insomma una umiliazione di quelle toste… bella lezione da parte del mondo chic dell’arte!

Sono passati oramai tanti anni da quel giorno e le ferite si sono rimarginate, ma il ricordo è rimasto a far comprendere la meschinità di tanta ignoranza e opportunismi vergognosi.

L’amicizia con Elena è svanita come un sogno di mezza estate e così non ho più visto i suoi figli che ho amato tanto come i miei. Penso spesso a loro e a quello che Giacinto deponeva in loro vedendo e condividendo la loro crescita, nella continuità di un uomo pieno di amore per la vita.

Molti giovani che approdano oggi alla scultura non conoscono Giacinto Cerone, non sanno che la scultura di fine novecento in Italia ed Europa senza la conoscenza delle sue opere è zoppa e insufficiente.

Giacinto con il suo operato ha aperto un breccia fondamentale per inoltrarsi in modo impeccabile nella scultura del terzo millennio.

Il suo ricordo si è dissipato nelle “alte sfere dell’arte” dove un manipolo di sciacalli lo tiene imbalsamato aspettando tempi migliori per la venuta dell’angelo del profitto.

Cosi è stato per tanti artisti del passato, ma voglia la vita farmi vedere che nei libri di Storia e nelle scuole d’Arte si ricordi Giacinto come merita il suo genio e talento e, più importante, per il beneficio delle generazioni a venire.

Questa è la mostra che non ho visto. Non sono andato a vederla di proposito. Elusa come è stata la mia partecipazione, per non pestare un “impeccabile” che non ha ritenuto immensa l’amicizia tra Giacinto e me stesso.

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Nato mezzo secolo fa a Roma e morto nel futuro, non attraversa di buongrado la strada senza motivo. Impiegato prima in un forno in cui faceva arte bianca poi del terziario avanzato, da mancino dedica alle arti maggiori la sola mano sinistra. Allestisce, installa, fa deperire, dimostra, si confonde, è uno scadente imbonitore, intelligentissimo ma con l’anima piuttosto ingenua. Ha fondato in acqua gli artisti§innocenti, gruppo di artisti e gente comune, che improvvisa inutilmente operette morali. Tra suoi progetti: la Partita Bianca (incontro di calcio uguale), una partita notturna tra due squadre vestite di bianco, a cura di ViaIndustriae, Stadio di Foligno 2010 e, in versione indoor, Reload, Roma 2011 e Carnibali (per farla finita con i tagliatori di carne), Galleria Gallerati, Roma 2012.
Ha contribuito alla performance collettiva TAXXI (Movimento di corpi e mezzi al riparo dalle piogge acide contemporanee) prodotto dal Dipartimento Educazione del Maxxi nel 2012. Sua la cura del Premio città etica (per l’anno duemilae...) e del Premio Retina per le arti visive.

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