La mostra che non ho visto #63. Massimo Orsi

Massimo Orsi in un ritratto fotografico di Giuseppe Cavallaro
Massimo Orsi
in un ritratto fotografico di Giuseppe Cavallaro

Arte Degenerata

Su uno dei tanti libri che ho letto intorno al terzo reich, mi colpì l’aneddoto dell’uomo berlinese che, dopo il crollo del regime, si recava tutti i giorni dal suo edicolante a chiedere se fosse uscito il Wolkischer Beobachter, il quotidiano ufficiale del partito nazista. Ovviamente l’edicolante tutti i giorni rispondeva di no e, all’ennesimo giorno, domandò all’uomo il motivo per cui si ostinava a fargli sempre la stessa domanda.

La risposta fu che quel “no” quotidiano, gli dava la conferma che quel giornale, anche quel giorno non sarebbe uscito e ciò contribuiva alla certezza che il Wolkischer Beobachter non sarebbe uscito mai più.

L’aneddoto mi permette di parlare di uno dei periodi più bui e terribili della nostra storia, del sentimento di attrazione e repulsione che quegli anni hanno sempre esercitato su di me e di una mostra che fu inaugurata in quei tempi.

Fin dal 1933, anno in cui Adolf Hitler viene eletto cancelliere del reich, era il 30 Gennaio, i nazisti non perdono tempo nel perseguitare ed incarcerare tutti gli oppositori del regime.

Nel marzo dello stesso anno viene creato il primo campo di concentramento, il campo di Dachau, dove vengono internati, oltre agli ebrei e agli altri “nemici del popolo”, tutti i politici appartenenti ai partiti della passata repubblica, che nel frattempo vengono dichiarati illegali.

La violenza ed il terrore si propagano per il paese e ogni aspetto della società viene ferocemente controllato dai vari apparati repressivi.

Neppure l’arte ne è immune.

Correva l’anno 1935.
Il ministero della propaganda e il suo ministro Joseph Goebbels, che parlano per bocca del Fuhrer, dettano le leggi e stabiliscono i canoni estetici per l’arte di regime: le espressioni che non corrispondono a quei canoni retorici e di esaltazione della razza ariana, vengono etichettate come Arte Degenerata, in tedesco: “Entartete Kunst”.

I quadri esposti nei musei Tedeschi, non corrispondenti ai suddetti canoni, acquisizioni della passata Repubblica di Weimar, vengono sequestrati. Le fonti parlano di circa 6000 opere: una parte viene venduta ai musei americani, una parte viene bruciata in vari roghi pubblici, tanto per dare l’esempio e far capire che non si stava scherzando e, un’altra parte, viene utilizzata per allestire una mostra “al contrario”, dove le opere non vengono esposte per essere apprezzate o criticate, ma per essere esecrate e sottoposte al pubblico ludibrio.

Appunto di questa mostra, che ovviamente non ho potuto vedere, vorrei parlare.

Nel 1937 a Monaco, prima roccaforte e culla del partito nazista, vengono inaugurate due esposizioni, a distanza di un giorno l’una dall’altra: la prima dell’arte tedesca ufficiale in un padiglione edificato per l’occasione e la seconda, dell’Arte Degenerata.

Il 19 luglio del 1937, l’esposizione apre i battenti.

Le opere esposte sono circa 650, vengono appese ,volutamente storte, senza cornici, una accanto all’altra, senza spazio, con l’intento di creare un’accozzaglia di colori fastidiosa alla vista, i titoli delle opere vengono cambiati e travisati e i nuovi titoli stanno a sottolineare il grado di degenerazione delle opere stesse.

L’esposizione viene divisa in varie sezioni, quella sul bolscevismo, quella sull’ebraismo, se un artista era ebreo, era comunque degenerato, e su altri vari temi sociali, come la rappresentazione della donna, in un’ottica degenerata.

I lavori, dipinti e sculture, appartengono a tutti quegli artisti che noi ora consideriamo maestri indiscussi e perenne fonte di ispirazione, tra i quali ricordo: P. Picasso, V. Van Gogh, M. Chagall, M. Beckmann, Otto Dix, Max Ernst, G. Grosz, W. Kandinsky, E. L. Kirchner, Paul Klee, O. Kokoshka, P. Mondrian, E. Nolde, K. Schwitters e tanti, tantissimi altri, appartenenti alle varie correnti contemporanee quali l’espressionismo, la nuova oggettività, l’astrattismo, il dadaismo e il surrealismo.

La mostra ha un successo di pubblico senza precedenti, più di due milioni, coloro che si recano a vedere le opere “degenerate”, mentre sono solo 400.000 i visitatori di quella ufficiale.

I nazisti decidono così, certi dell’effetto derisorio e intimidatorio dell’operazione, di portare l’esposizione in altre città del Reich, come Dusseldorf , Francoforte, Berlino, e, dopo l’annessione al grande Reich, Vienna.

La mostra Entartete Kunst, con tanto di catalogo, è la prima mostra itinerante nella storia dell’arte.

Penso sia una delle mostre più importanti di tutto il secolo passato, sia per la quantità di capolavori concentrati in un’unica sede (cronache del periodo parlano di file interminabili di persone, che attendono per ore e ore fuori dall’ingresso), sia per la geniale perversione dei nazisti di concepire una mostra al contrario, che a noi, assidui frequentatori di arte contemporanea, pare quasi un’operazione concettuale.

Sia per gli interrogativi che una simile esperienza ci pone.

Sull’arte in quanto espressione di libertà, sui canoni estetici e sul condizionamento che tali canoni esercitano sul giudizio del pubblico e sulla nostra supposta libertà individuale nell’esercitare tale giudizio.

Quanti di quei due milioni di visitatori andarono a vedere la mostra solo per curiosità, quanti con intento denigratorio e quanti apprezzarono le opere esposte per il loro intrinseco valore, senza condizionamenti di sorta?

Quanti di noi vedendo oggi quelle stesse opere nei musei di tutto il mondo, formulando giudizi entusiastici, sono convinti che il loro giudizio non sia condizionato dai canoni della nostra epoca?

Quanta arte contemporanea, nei musei di tutto il mondo non è che espressione di canoni estetici consolidati e di un sistema precostituito?

Chi impone questi canoni?

Penso che la barbarie di quegli anni e la spietata ideologia nazista, che portava tutto alle estreme conseguenze, possa farci vedere i problemi nella loro nudità, senza orpelli e senza camuffamenti e possa essere un valido spunto per riflettere su questo complicato e contraddittorio presente.

Non so, comunque, se avrei voluto veramente vedere quella mostra, perché vivere in Europa in quegli anni, non era certamente una cosa facile. Vivere in Germania, se non eri un fervente nazista, era ancora più difficile, essere un artista in quella Germania, era un’impresa quasi impossibile, avere le proprie tele esposte in quella mostra, significava il sistematico boicottaggio del proprio lavoro, se non addirittura l’arresto e l’internamento, oppure arrivare al suicidio, come fece Kirchner, l’anno successivo.

Di lì a pochi anni il mondo sarebbe stato scaraventato dalla follia nazi-fascista, in una devastante guerra mondiale e credo che se avessi vissuto quel tempo, fossi riuscito a vedere questa mostra, divenuta ormai per me un feticcio e fossi giunto indenne alla fine di quell’epoca, potrei essere io quell’uomo che si reca tutti i giorni dal giornalaio a domandare se sia uscito il Wolkscher Beobachter o, parafrasando, il Popolo d’Italia.

Questo ovviamente con il senno di poi.

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Nato mezzo secolo fa a Roma e morto nel futuro, non attraversa di buongrado la strada senza motivo. Impiegato prima in un forno in cui faceva arte bianca poi del terziario avanzato, da mancino dedica alle arti maggiori la sola mano sinistra. Allestisce, installa, fa deperire, dimostra, si confonde, è uno scadente imbonitore, intelligentissimo ma con l’anima piuttosto ingenua. Ha fondato in acqua gli artisti§innocenti, gruppo di artisti e gente comune, che improvvisa inutilmente operette morali. Tra suoi progetti: la Partita Bianca (incontro di calcio uguale), una partita notturna tra due squadre vestite di bianco, a cura di ViaIndustriae, Stadio di Foligno 2010 e, in versione indoor, Reload, Roma 2011 e Carnibali (per farla finita con i tagliatori di carne), Galleria Gallerati, Roma 2012.
Ha contribuito alla performance collettiva TAXXI (Movimento di corpi e mezzi al riparo dalle piogge acide contemporanee) prodotto dal Dipartimento Educazione del Maxxi nel 2012. Sua la cura del Premio città etica (per l’anno duemilae...) e del Premio Retina per le arti visive.

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