Le parole dell’arte: Georg W. Bertram – L’arte come prassi umana.

Per quanto le si vogliano imporre le oscurità del critichese o la convenzionalità del mercato, l’arte è prima di tutto un’esperienza che si realizza concretamente nella prassi umana. È politica e si occupa dell’uomo. Anzi ne è responsabile e in quanto tale ha capacità trasformative. Queste sono le parole del libro L’arte come prassi umana, che ci porta un po’ più in là rispetto al precedente, nella delicata missione che mi sono prefissa di presentare le opinioni sull’arte che trovo significative e importanti in questo momento.

L’imperativo di sperimentare la continua trasformazione come soggetti attivi all’interno della nostra vita, oltre ad essere il compito socratico, è il principale fautore del cambiamento di prospettiva proposto da questa coinvolgente teoria.

È a nostro carico cioè l’oltrepassare il confine e da semplici spettatori passare a fruitori attivi e poi cominciare ad essere artefici di quella trasformazione corredata di azioni pratiche di cui l’arte fa parte integrante.

La tesi del libro è la seguente: l’arte provoca riflessioni e queste si basano sul fatto che si è in grado di porsi in un certo modo rispetto a se stessi.

A parlarne con piglio chiaro e divulgativo è il filosofo e giovane docente di estetica dell’Institut für Philosophie di Berlino, Georg W. Bertram (classe 1967) in un libro nel quale alla domanda apparentemente semplice, se la poesia o l’arte visiva possano fornire un contributo significativo alla prassi umana, risponde di sì convintamente perché l’arte vivifica nell’osservatore una forma specifica di esperienza.

immagine per Georg W. BertramL’assunto sembra essere che nella vita ciò che dobbiamo sviluppare non è la pratica ma la riflessione; se non altro perché non esiste il fatto in sé.  Tutto è costruito dai molteplici discorsi solo intorno a ciò che sperimentiamo e che conosciamo. La questione è antica ovviamente e ancora non sappiamo dire se l’arte si distacchi o si impasti nella quotidianità dell’uomo. L’autore sostiene con forza la necessità di dire che anche laddove non è oggettuale, l’arte è relazione riflessiva e dunque componente essenziale e inscindibile della prassi umana.

La riflessione di cui parla è quella che ci impone di valutare e di ponderare noi stessi e implica «una particolare presa di posizione determinante rispetto a sé». Da qui è chiaro che questa operazione si riflette nel nostro modo di vivere, nel nostro sistema valoriale e in tutto ciò che diciamo che sia vita pratica.

L’esperienza estetica così intesa è dunque una delle mille prassi che l’uomo ha dovuto trovare per orientarsi, per comprendere sé stesso e per relazionarsi. È ciò che deve o dovrebbe ancora fare perché «può fare esperienze soltanto chi mette in gioco le proprie concezioni, e non chi, con le sue concezioni, si isola dal mondo».

In una delle sue pagine più dettagliate e precise – quelle dove non puoi fare a meno di apprezzarne la componente filosofico-antropologica –, Bertram parla di uomini carenti, bisognosi del carattere autoriflessivo della prassi estetica perché sprovvisti dell’occasione di riflettere sulla responsabilità di creare. Il fare esperienze però non è indolente accettazione di proposte artistiche; presuppone invece che si divenga attivi e si partecipi mettendo in gioco le proprie concezioni.

Per conferirle allora questo compito quanto mai auspicabile (pena l’errore di assegnare all’arte l’esclusivo valore di merce in una misura ormai chiaramente  controproducente), l’autore prende le distanze dalla tradizione filosofica dei difensori dell’autonomia dell’arte, negando le tesi di  due degli studiosi della giovane generazione coi quali mi immagino che abbia anche dibattuto in questi ultimi anni:  Christoph Menke (anche lui docente di filosofia a Francoforte, classe 1958), con la sua teoria dell’arte come abbandono delle pratiche quotidiane esemplificativa dalla formula prassi del non-potere, e quella del filosofo americano Arthur Danto specie negli scritti composti nella seconda metà del secolo scorso (anni delle Box Brillo di Andy Wharol, tanto per intendersi), quando ribadiva l’autonomia dell’arte da sganciare da qualsivoglia ruolo sociale. Il valore dell’arte contemporanea non dipende da proprietà valutabili perché le è propria una notevole dose di disinteresse. Questa è la tesi che Bertram intende confutare.

Nella seconda parte del libro l’autore cerca il sostegno di Kant ed Hegel e conferma le questioni aperte fin qui, come la speranza di unire costitutivamente la determinatezza con l’indeterminatezza dell’arte nel suo svolgersi. Il nemico da sconfiggere è nell’idea di arte come pratica per differenziarsi da. L’idea che la missione dell’originalità conferisca all’arte il compito di essere distaccata da ciò che è quotidiano è pretestuosa e improponibile.

L’insanabile squarcio fra la riflessione estetica e le altre pratiche di Kant invita ancora a pensare l’autonomia dell’arte, mentre la vivificazione degli orientamenti essenziali di una forma di vita di Hegel sembrano più vicine al discorso dell’autore. Entrambi hanno parlato di arte come forma riflessiva e dunque è da questa elegante sottolineatura che Bertram fonda la sua teoria. A noi resta di abbinare a quelle intuizioni alle attuali conferme della neuroscienza e della moderna psicologia. Le parole di Kant sull’esperienza estetica come luogo dell’attivazione delle facoltà cognitive e quelle relative al fatto che l’arte vivifica e promuove una spinta alla vita (parole queste ultime hegheliane), diventano quanto mai proficue.

Ma in che modo immergere l’arte nella prassi umana senza alterare, manipolare o sminuire la sua specificità?

Con molti passaggi dettagliati e analisi puntuali, Bertram fa tesoro delle teorie di Adorno, Gadamer, Heidegger e Wittgenstein, e con esse tesse una proposta estetica che di fatto scioglie l’arte dal paradigma dell’autonomia a senso unico. Lo fa unendo indissolubilmente le pratiche estetiche e le azioni umane, senza per questo considerarle estensioni delle restanti prassi. 

Bertram dinamizza l’esperienza artistica e ribadisce l’essenzialità del rapporto e del confronto fra le opere d’arte. L’arte come riflessione profonda dunque, che riflette su sé stessa e sulle pratiche umane con un effettivo impatto sulla vita quotidiana diventa a mio avviso un prezioso libro da leggere a mo’ di manuale. Il contributo più prezioso infatti – ancora tutto da sperimentare – va alla piena libertà che lo rende un libro necessario dicevo, specie laddove afferma che «sono paradigmatiche quelle esperienze che si fanno, non quelle che si hanno». Il fare esperienze comporta quindi una continua revisione ovvero la trasformazione di concezioni, che prendendo le mosse da una riflessione estetica secolare, spinge il lettore e lo studioso a cercare un quid ulteriore nell’esperienza con l’opera d’arte.

L’idea che le opere d’arte e gli eventi estetici abbiano «un potenziale riflessivo, perché provocano le attività interpretative» rinnova la nostra quotidianità e nel frattempo allontana l’arte dalla sua monumentalità.

L’uomo può chiedere all’opera d’arte dunque di essere oggetto o evento provocatorio. Oggetto che agisce sull’uomo specie se quest’ultimo è alla ricerca di una profonda libertà d’idee e d’emozioni.

George Bertram, L’arte come prassi umana – un’estetica
Raffaello Cortina ed. 2017
info@raffaellocortina.it

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Matilde Puleo è storica e critica d’arte, curatrice, organizzatrice di eventi culturali e docente. Ha collaborato con riviste di settore e scrive regolarmente di arti visive e cultura. Collaboratrice di alcune gallerie private e istituzioni museali, nel 2006 ha istituito un’associazione culturale (www.megamega.it) per la quale ha curato la direzione artistica promuovendo progetti d’arte in spazi pubblici. Dal 2008 al 2014 è Indipendent Curator con “Mushroom – germinazioni d’arte contemporanea”; “Marker- evidenziare artisti emergenti” (edizione 2009); “Contrasted-opposti itinerari” (2010) e PP-percorsi personali (2011), progetti sostenuti da TRART (Regione Toscana), per uno spazio espositivo del Comune di Arezzo, nel quale ha promosso l’attività formativo-espositiva dei giovani artisti del territorio. Ha scritto numerosi testi per libri e cataloghi ed ha collaborato con l’Università degli studi di Siena, per l’insegnamento di storia dell’arte contemporanea. Dal 2002 è giornalista per la rivista cartacea Espoarte e collaboratrice free-lance per alcune riviste on-line. Dal 2011 al 2014 ha organizzato progetti speciali (patrocinati dalla Regione Toscana), finalizzati alla realizzazione di workshop, mostre ed eventi dal vivo, performance e ricerca video. E' stata ed è divulgatrice anche attraverso seminari, workshop e conversazioni. Attualmente cerca di mantenere un orizzonte ampio di scrittrice, studiosa e autrice di progetti nei quali intrecciare filosofia, illustrazione, danza, teatro e formazione. La tendenza è quella di portare avanti l’approfondimento e l’articolazione del pensiero come fari con i quali sviluppare la necessaria capacità d’osservazione e di lettura del mondo.

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