Paladino ad Arezzo, la città museo. Dedica a Piero della Francesca e molto di più

immagine per la regola di piero
Mimmo Paladino | La regola di Piero. Senza titolo (Carro), ferro, 125 (h) x 706 x 60 cm, 1988

Esistono luoghi che sembrano fatti per essere interpretati dagli artisti. Sono territori che si sposano perfettamente con le sensibilità e perfino con le loro modalità operative riuscendo in alcuni casi anche a impreziosirne la qualità espressiva. Spesso però, si trasformano in risposte paesaggiste di stereotipi che non tengono conto delle diversità e complessità ecologiche e ciò induce a fare riflessioni e non semplici recensioni.
Ad Arezzo, cittadina di provincia poco avvezza al contemporaneo è la Fortezza Medicea ad attirare Mimmo Paladino al punto da farne l’inizio dell’articolato percorso della mostra La regola di Piero.

Evento di grande impegno con ben 6 sedi espositive che si configura come un’antologica completa, con installazioni, quadri e grandi sculture per un totale di circa cinquanta opere collocate tra la sala Sant’Ignazio, la Galleria dArte Contemporanea, la chiesa San Francesco, la Chiesa di San Domenico e Porta Stufi.

A cura di Luigi Maria Di Corato, questa ampia ed esaustiva esposizione appare come qualcosa di diverso da una mostra, più simile invece ad altre variazioni di ambienti urbani realizzate da Paladino in questi ultimi anni in territorio italiano.

Come già successo recentemente, a Brescia, ad esempio, anche ad Arezzo si tratta di un dialogo molto serrato tra l’artista e la città. Un dialogo che fa sua la metafora del teatro e che invita a recepire queste installazioni e sculture come attori di uno spettacolo cui è dato di avere a disposizione l’intero paesaggio urbano e naturale come scenografia.

La Fortezza aretina – bastione mediceo che domina la città -, presentando il ciclo degli Specchi Ustori, punta ad ottenere il massimo delle potenzialità espressive di queste gigantesche sculture capaci di riflettere la luce concentrandola in un solo punto, perché è stato scelto per loro il luogo simbolicamente più alto della città. Opere in ottone, di cinque metri di diametro ciascuno, questi dispositivi sono in grado di penetrare e imporsi idealmente nel contesto paesaggistico del centro storico. Una presenza monumentale che trova una collocazione consona, in grado di aprirsi a quinta scenica verso il paesaggio toscano.

Avvalendosi della suggestione intensa del verde delle colline in primo piano e del cerchio delle montagne che si aprono sullo sfondo l’opera si misura con il mondo rurale e dunque con la storia di questo territorio in un confronto fra titani.

Luogo ideale per le grandi mostre, la fortezza medicea è ricchissima di spunti specie per chi come Paladino voglia manifestare interesse specifico per la storia rinascimentale e per Piero della Francesca in particolare.

La dedica a Piero che Paladino omaggia con il suo Suonno (1985), opera cercata tra i collezionisti proprio per l’occasione in modo da permetterci di leggere l’intero lavoro pittorico dell’artista alla luce di questo legame spirituale con l’opera pierfrancescana, sancisce gli esiti di una raffinata ispirazione che si avvale di un ampio spettro di riferimenti al passato, attraverso un interessante sovraccarico di echi soprattutto quattrocenteschi.

Una pittura che è intesa qui come espressione consapevole del grande sistema della modernità: la certezza cioè che la pittura, e in generale tutta l’arte, sia il risultato di un fare originato da un’idea. Una pittura pensata che però si lascia libera di scorrere dove vuole. Che si tratti infatti solo di un’apparente rispetto delle regole, ne abbiamo conferma quando l’artista sciogliendo ogni riserva dice che la regola ha senso solo se viene sovvertita.

Tuttavia, al pubblico e agli organizzatori il titolo piace perché in questo modo si sancisce il debito al passato dei grandi artisti di oggi e si certifica che la città sin dal Quattrocento non ha mai spezzato il suo legame con l’arte e che questa definizione identitaria sarà solida, manifesta e dunque, in una parola irremovibile.

Il curatore peraltro sottolinea che nessuno dei pezzi presenti in mostra è stato realizzato per questa occasione. Come a dire che ogni singolo momento della produzione artistica ha coinciso con il permanere dell’interesse per Piero e per Luca Pacioli e prova ne sia il lungo elenco dei titoli presenti in questa mostra: l’obelisco votivo Giglio (2019), i Dormienti (1998-2000), il dodecaedro stellato, i bronzi di Vento e Acqua (2005), gli Specchi ustori (2017), il grande Elmo (1998), il De Mathematica (2019) e poi ancora le opere pittoriche intitolate Il principio della prospettiva (1999). Si passa cioè dalle opere anni ‘80 a quelle pittoriche della fine del secolo quando il linguaggio diventa rigoroso ed essenziale, con quei pochi segni di arcaica memoria assemblati e riproposti nella produzione degli anni Duemila visibili presso la Galleria Comunale.

Sculture come attori di un immenso spettacolo, dicevo, che ovviamente porta con sé memoria dell’attività di scenografo per le Orestiadi che ha visto Paladino vincitore del prestigioso premio UBU quando realizza la Montagna del sale, poi riproposta a Napoli in piazza del Plebiscito nel 1995. Attività questa che lo vede collaborare con il regista Mario Martone in un’ottica di scambio continuo tra arti visive e teatro, al punto che moltissime delle sue installazioni diventano allestimenti scenici e viceversa.

Questo è ciò che è accaduto e accade ancora per I Dormienti qui disposti sul pavimento in cotto della chiesa sconsacrata di S. Ignazio e prima presentata a Poggibonsi, alla Fonte delle Fate e alla Round House di Londra con l’intervento musicale di Brian Eno. È interessante ricordare che questo stesso lavoro è stato riproposto nel 2002 come scenografia per un Tancredi di Rossini, rappresentato a Napoli e poi nel 2004 come apparato scenografico per il concerto di Lucio Dalla a Benevento.

Esattamente come fa a teatro, Paladino mette in atto una vera e propria invasione dello spazio, realizzando con opere provenienti da epoche e luoghi lontani sempre qualcosa che ha natura ampia, fluida e che versatile com’è mette insieme molte forme d’arte, da cui non è separata da confini stabiliti e ben distinguibili.

Queste sculture – veri oggetti di scena – hanno la responsabilità cioè di comunicare e fare da cornice ad una narrazione ed esattamente come fa lo scenografo la loro disposizione, consegna un messaggio ed un’intenzione precisi.

Nella progettazione di questa mostra l’artista non ha solo condiviso l’allestimento e la curatela ma ha evidentemente interagito con lo spazio a disposizione.

Senza dilungarsi in troppi dettagli di concetto, le aree della città con le loro stratificazioni storiche sono diventati giochi di luce e di forme che riducono o ingigantiscono anche ciò che hanno intorno. È questa abilità da scenografo che viene davvero a mio avviso messa in mostra. Quel suo allestire la città a rendere possibile l’adattamento del suo palcoscenico per quest’unica rappresentazione teatrale che continua a parlare di umanesimo e rinascimento.

Questa regola di Piero da sovvertire dunque è abilmente messa in gioco non nell’unione tra arte e geometria, ma nell’antica esigenza di stabilire un dialogo serrato tra l’artista e la città, facendo proprie le regole della raffigurazione prospettica che consentono di veicolare la percezione mentale degli spazi nella direzione voluta. Si mette in mostra la capacità dell’artista di individuare il punto di fuga ottimale che permetta di orientare la percezione dell’ambiente urbano trasformandolo in scena. Si apprezza l’ascolto della forma e della dimensione del luogo scelto e in particolar modo, la coerente ricerca di mutare la profondità di campo degli elementi architettonici.

Il curatore, Luigi Maria Di Corato, sostiene che fondamento imprescindibile della mostra sia proprio questo sistema di misurazione dello spazio fisico e interiore. Certamente, anche alla Galleria Comunale d’arte contemporanea il lavoro sui grigi e i colori terrosi del primo piano e poi il colore al piano di sopra richiamano Piero, ma di fatto ciò che risulta evidente è che quando si parla della caratterizzazione di un qualsiasi spazio, in qualche modo stiamo parlando di applicazione di teorie che rimandano alla comunicazione.

Ciò che ci racconta Paladino è che quando in una città le cose sono disposte con intenti monumentali, dalla forte impronta a volte un po’ pesante, lo si fa per ribadire quanto rispetto dobbiamo al passato.

Ciò che mi chiedo è quanta complessità e dinamismo siano negate da quest’unico punto di vista e quante volte ancora ci misureremo con un paesaggio stereotipato che congela ipotesi alternative, in ragione del fatto che è questa l’interpretazione che ne dà un artista di indiscusso valore.

Info mostra

  • Mimmo Paladino | La regola di Piero
  • Arezzo, sedi varie
  • 15 giugno 2019 – 31 gennaio 2020
  • dalle ore 10 alle ore 19. Giorno di chiusura: lunedì
  • info tel.:39 0575 356203
  • http://www.laregoladipiero.wordpress.com
  • Enti promotori: Fondazione Guido d’Arezzo
  • Patrocinio di: Comune di Arezzo e per la Fondazione Guido d’Arezzo: Coingas srl; Fraternita dei Laici; C-Way
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Matilde Puleo è storica e critica d’arte, curatrice, organizzatrice di eventi culturali e docente. Ha collaborato con riviste di settore e scrive regolarmente di arti visive e cultura. Collaboratrice di alcune gallerie private e istituzioni museali, nel 2006 ha istituito un’associazione culturale (www.megamega.it) per la quale ha curato la direzione artistica promuovendo progetti d’arte in spazi pubblici. Dal 2008 al 2014 è Indipendent Curator con “Mushroom – germinazioni d’arte contemporanea”; “Marker- evidenziare artisti emergenti” (edizione 2009); “Contrasted-opposti itinerari” (2010) e PP-percorsi personali (2011), progetti sostenuti da TRART (Regione Toscana), per uno spazio espositivo del Comune di Arezzo, nel quale ha promosso l’attività formativo-espositiva dei giovani artisti del territorio. Ha scritto numerosi testi per libri e cataloghi ed ha collaborato con l’Università degli studi di Siena, per l’insegnamento di storia dell’arte contemporanea. Dal 2002 è giornalista per la rivista cartacea Espoarte e collaboratrice free-lance per alcune riviste on-line. Dal 2011 al 2014 ha organizzato progetti speciali (patrocinati dalla Regione Toscana), finalizzati alla realizzazione di workshop, mostre ed eventi dal vivo, performance e ricerca video. E' stata ed è divulgatrice anche attraverso seminari, workshop e conversazioni. Attualmente cerca di mantenere un orizzonte ampio di scrittrice, studiosa e autrice di progetti nei quali intrecciare filosofia, illustrazione, danza, teatro e formazione. La tendenza è quella di portare avanti l’approfondimento e l’articolazione del pensiero come fari con i quali sviluppare la necessaria capacità d’osservazione e di lettura del mondo.

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