I magnifici 7. Un remake di Antoine Fuqua. Vince e convince con qualche dubbio

Sam Chisolm è un delegato di giustizia. Una combinazione tra un giudice e un  cacciatore di taglie. In una dei tanti villaggi di frontiera fa fuori un pluriomicida. Nel corso della sparatoria per acciuffarlo, viene aiutato da Josh Farraday, giocatore d’azzardo dalla pistola e  parlantina fulminee. Sedati gli animi, il delegato di giustizia viene raggiunto da una donna, la vedova di un uomo freddato da Bartholomew Bogue perfido latifondista che alla testa di un esercito di sgherri ha messo a ferro e a fuoco la cittadina di  Rose Creek. Quando la donna ne pronuncia il nome, Chisolm che aveva declinato l’offerta di organizzare la difesa della cittadina,  cambia idea. Uno alla volta mette insieme il suo piccolo esercito di pistoleri: Goodnight Robicheaux, formidabile cecchino dell’esercito sudista e il suo compadre Billy Rocks, un asiatico, artista delle lame; Jack Horne, un montanaro, cacciatore di scalpi e puritano; Vasquez, un bandito messicano, Red Harvest, un comache fenomenale con l’arco e lo stesso Farraday . La vicenda si snoda sull’unico binario possibile, che condurrà all’inevitable epilogo: il confronto tra Chisolm e Bogue che così regolerà anche un vecchio conto.

Anton Fuqua dirige con prudenza il remake dei Magnifici 7 di John Sturges (1960) a sua volta, remake dei 7 samurai di Kurosawa. Ecco spiegata la debita distanza. Non film ma pietre miliari della storia cinema. Fuqua ce la mette tutta per non far brutta figura e in effetti il film propone più di una ragione a favore della sua  visione, per quanto dal paragone coi due riferimenti ne esca sconfitto. Non indugia nelle efferatezze inseguendo la tarantinata post Fulci. Alimenta la suggestione della catastrofe immane e imminente  verso la quale i 7 improvvisati eroi si schierano consapevolmente. Rispolvera e aggiorna l’iconografia della sempre  convincente formazione multirazziale (l’equipaggio dell’Enterprise, i secondi X Men anni 70, l’unità d’assalto di Predator). Condisce i dialoghi con colpi d’ala e non si  nega la citazione: “Occorre più a lei che a me”, che ha per oggetto una bottiglia di vino, omaggio alle due battute che rispettivamente identificarono Yul Brynner – “Mi hanno offerto tanto per il mio lavoro ma mai tutto” e Steve McQueen – “Questa situazione mi ricorda la storiella di quell’ uomo  che cade dal quinto piano e mentre precipita gli abitati dei vari piani dicono: fin qui tutto bene, fin qui tutto bene…”; in realtà, ne I Magnifici 7 di Sturges i piani erano dieci e il precipitato se lo diceva da solo. Una evidente variazione sul tema, per quanto nessuno ha mai capito dove si potesse trovare una palazzo di dieci o anche cinque piani nel west…

L’azione è servita generosamente, ben dosata, persino eccessiva in alcune evoluzioni, come quella che mostra Denzel Washington reggersi alla sella del cavallo in corsa. I personaggi più o meno funzionano. E nella psicologia ritroviamo tracce degli eroi-anti del 1960. Tracce di cedimento dei nervi in Robicheaux  come già fu per Lee, il pistolero minato nella sua sicurezza interpretato da Robert Vaughn; e di disillusione. Ma senza raggiungere il lirismo di Sturges con la sua decadente e malinconica morale del mercenario. Alla conclusione del film ne rimarranno pochi, dei sette iniziali. Tributo fatale alla libertà.

Superbo l’ex mito della x generation, Ethan Hawke, più allucinato e cinico che mai, finalmente tornato ai livelli che si conoscevano; interessantissimo Vincet D’onofrio in una notevole prova d’attore. Quanto a Denzel Washington, fa il suo. Il  cast – complessivamente più anziano dei giovani protagonisti dell’originale, a conferma della linea oramai intrapresa da alcuni anni con al suo centro eroi diversamente giovani. I cinquanta di oggi sono i trenta di mezzo secolo fa – convince ma non fino in fondo. Il cattivo è impalpabile. Si limita al minimo sindacale, nulla a che vedere con l’istrionico, spietato, irresistibile Calvera di Eli Wallach e la fisicità ipetrofica di Chriss Pratt mal si concilia con quella del pistolero del west. Ma il vero assente è la colonna sonora. Se nell’opera di Sturges il contrappunto era di tale presenza dal risultare quasi un interprete aggiunto, nel remake di Fuqua la composizione si smarrisce. Non incide. Rimanda vanamente  all’incalzare esaltante del componimento di Elmer Bernstein. Nell’insieme I Magnifici 7 di Antoine Fuqua è un apprezzabile rifacimento ma nulla di più, a conferma di quanto la sfida del remake sia dura, durissima. Ben pochi sono i titoli che si sottraggono alla memoria a breve termine, senz’altro il  Cape Fear di Scorsese, La Cosa di Carpenter e lo stesso I Magnifici 7 di Sturges.

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Pier Luigi Manieri, curatore di eventi, scrittore, saggista e cultore della materia cinematografica. Ha dato alle stampe l'antologia di racconti spy, horror, sci fi, urban fantasy e a tematica supereroistica "Roma Special effects -di vampiri mutanti supereroi e altre storie" (PS ed.) e la monografia "La Regia di Frontiera di John Carpenter "( Elara). D'imminente pubblicazione il saggio "Le Guerre Stellari - Ovvero, la space opera cine televisiva da Lucas ad oggi" contenuta nel volume "Effetti Collaterali – la fantascienza tra letteratura, cinema e TV" (Elara). Ha all'attivo centinaia di articoli su diverse testate di settore. Esperto d'immaginario e sottoculture di genere, ha curato il volume, "Il Tuo capitolo finale" dedicato a Sherlock Holmes. È autore e regista dei reading video musicali “Iconico & Fantastico” e "Il cinema del telfoni bianchi". Ha ideato e curato eventi come Urania: stregati dalla Luna, Il cinema italiano al tempo della Dolce Vita, Effetti Speciali, MassArt, Radar-esploratori dell’immaginario.

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