Blood Drive, la serie di fantascienza. Tanto rumore per nulla

immagine per Blood Drive
Blood Drive, locandina
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Blood Drive, locandina

Quando ero  ormai convinto di aver visto tutto e di tutto nell’ambito dell’intrattenimento-spazzatura, ecco che m’imbatto in Blood Drive (conosciuto anche come Midnight Grindhouse Presents Blood Drive), nuova serie televisiva fantascientifica prodotta dalla Universal Cable e proposta dalla neonata Mediaset 20.

L’impatto è stato, se possibile, ancor più devastante perché  avvenuto in modo del tutto casuale, complice l’insonnia, e senza preavviso: non ne avevo mai sentito parlare. Ma tant’è.

Insomma gli americani schiacciano duro sull’accelleratore dell’enfasi della forma in senso letterale e metaforico.

Siamo in un futuro distopico, i terremoti hanno messo gli USA in ginocchio. Crisi energetica e criminalità alle stelle. Le forze dell’ordine sono privatizzate. Appartengono a una multinazionale, la Heart,  che ha diversificato praticamente in ogni comparto economico. La povertà con indici da terzo mondo induce balordi, tagliagole, psicotici e  disperati di ogni genere a prendere parte alla Blood Drive, una fatale gara interstatale organizzata da un personaggio tanto inquietante quanto enigmatico: Julian Slink.

Schizzi rossi ogni due inquadrature, sesso in massima esposizione, efferatezze a profusione. Tutto il campionario del trash in un concentrato schizofrenico che propone come novità assoluta il tipo di propellente che alimenta i bolidi della folle corsa: il sangue.

I motori sono dotati di tritacarne in cui è sufficiente gettarci dentro un corpo, vivo o morto cambia poco, per ripartire di slancio.

Una soluzione a basso costo e a zero tasso inquinamento, come scoprirà con orrore il poliziotto Athur Bailey che seguendo una pista finisce nel bel mezzo, si fa per dire, della partenza. A questo punto deve scegliere e in fretta, o finire nel’abitacolo insieme alla tostissima Grace D’Argento o nel motore dell’auto della donna.

Come detto, Blood Drive è un chiassosissimo  e a tratti spassosissimo, va riconosciuto, concentrato. Specialmente di cose note. Si va dal catastrofico – i terremoti che da Terremoto in poi fanno sprofondare o inabissare sistematicamente la California – al distopico: la multinazionale che nell’ombra governa e influenza la popolazione indirizzandone i bisogni e ne domina i destini col controllo diretto delle forze di polizia, fa tanto pensare a Robocop.

Sul tutto aleggia sinistramente Soylent Green (2022: i sopravvissuti). In combinazione, possiamo ammirare l’ipertrofia plastica e perfetta dei corpi buoni, quelli dei protagonisti, contrapposta all’orrore di corpi deformi e soprattutto,flagellati selvaggiamente e sadicamente, divorati senza pudori, incapsulati e stipati come materia prima, metabolizzati e spersonalizzati come parte di un sistema.

E qui si dovrebbe rimandare a un’intera enciclopedia del cinema horror. Rimanendo nell’alveo del citazionismo,  la memoria inevitabilmente corre al Death Race originale, quello del 1975 con David Carradine e Sylvester Stallone.

Blood Drive è in ultima analisi un frullatore di stereotipi, luoghi, situazioni e neppure a dirlo, di rimaneggiamenti senza troppi riguardi del sacro – e ci si riferisce a Robocop e Soylent Green – e profano. E a quest’ultima categoria corrisponde  il peggior cinema da Grindhouse.

A tanto delirio di allucinata demenzialità va sottratto a onor del vero, Colin Cunningham, già apprezzato in Falling sky e che qui supera se stesso nel ruolo di  Julian Slink. Ultimo ingrediente, immancabile: il sesso. È su questo tasto che l’idea prende quota.

Le donne sono oggetti da esporre un tutta la loro livida sensualità. In linea col registro fast food che segna l’ultima decade di proposte televisive, sono scoperte, mostrate, cedute all’occhio guardone del telespettatore. E come piombati in un girone dantesco di lamiera, un po’ ovunque ci si avviluppa in intricati intrecci di corpi gementi.

Emblematico il momento in cui mentre l’auto è lanciata a pieno regime nel tentativo disperato di recuperare il tempus fugit, Grace – che prima lega la maglietta intorno al volante e poi lo manovra col piede – e Arthur ricorrono all’amplesso per aumentare l’adrenalina e in questo modo neutralizzare le bombe a impulso iniettate nel collo. Ma il tentativo va a vuoto.

Occorre una dose maggiore e nel deserto è impossibile trovarne, per ciò la bella e fatale si gira ventre a terra e a favore di telecamera invita il suo copilota a “entrare per la porta sul retro”… Benvenuti nel Grindhouse, oltre Tarantino e Rodriguez. E se è possibile, anche peggio.

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Pier Luigi Manieri, curatore di eventi, scrittore, saggista e cultore della materia cinematografica. Ha dato alle stampe l'antologia di racconti spy, horror, sci fi, urban fantasy e a tematica supereroistica "Roma Special effects -di vampiri mutanti supereroi e altre storie" (PS ed.) e la monografia "La Regia di Frontiera di John Carpenter "( Elara). D'imminente pubblicazione il saggio "Le Guerre Stellari - Ovvero, la space opera cine televisiva da Lucas ad oggi" contenuta nel volume "Effetti Collaterali – la fantascienza tra letteratura, cinema e TV" (Elara). Ha all'attivo centinaia di articoli su diverse testate di settore. Esperto d'immaginario e sottoculture di genere, ha curato il volume, "Il Tuo capitolo finale" dedicato a Sherlock Holmes. È autore e regista dei reading video musicali “Iconico & Fantastico” e "Il cinema del telfoni bianchi". Ha ideato e curato eventi come Urania: stregati dalla Luna, Il cinema italiano al tempo della Dolce Vita, Effetti Speciali, MassArt, Radar-esploratori dell’immaginario.

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