Più Libri Più Liberi 2016 #9. Wislawa Szymborska. Perché vale la pena di ricominciare?

Non c’è vita
che almeno per un attimo
non sia stata immortale

(Sulla morte senza esagerare, da Gente sul ponte)

immagineCe lo chiediamo spesso, con angoscia o con rassegnazione: vale la pena, ricominciare? Quando il nostro sguardo si ferma sulla superficie grigia delle cose, quando la cinica frustrazione ci fa perdere la profondità e la curiosità di andare a vedere cosa c’è dietro?

A Più libri più liberi 2016 si parla di questo, attraverso la presentazione di un libro – Szymborska, la gioia di leggere – Lettori, poeti, critici, a cura di Donatella Bremer e Giovanna Tomassucci, Pisa, University Press- che ci racconta, da diverse angolazioni critiche, in che termini la poetessa (o la poeta) sia riuscita a risvegliare, in un pubblico eccezionalmente vasto trattandosi di poesia, interesse e passione; e di come la relazione con il traduttore (Piero Marchesani) sia un elemento costitutivo di questo successo.

Presentano il libro le curatrici, introdotte da Carla Benedetti, che pone l’accento su quale sia uno dei compiti più importanti del traduttore: quello di far sentire l’anima della poesia, come se la lingua in cui è tradotta fosse quella in cui è scritta; il suo intervento si apre con una domanda: come è potuta, Szymborska, arrivare ai lettori in modo così immediato? Vi è una diffusa idea che la poesia non valga, ma grazie ai suoi versi, scopriamo che “Le persone instupidiscono all’ingrosso e rinsaviscono al dettaglio”: Lei, questo “dettaglio”, lo conosce, e lo illumina.

Giovanna Tomassucci insiste sulla sproporzione, rispetto al pubblico di lettori di poesia, tra il successo editoriale della poesia di Szymborska e invita ad approfondire quella straordinaria capacità che lei ha di rovesciare equilibri e stereotipi che bloccano le parole ad una sola dimensione.

E poi, almeno per me, avviene un piccolo miracolo, uno di quei miracoli di cui posso essere spettatrice attiva grazie alle infinite strade che le parole si sono aperte dentro me. Donatella Bremer parla con amore della poesia di questa donna –che ricevette critiche sferzanti, quando nel 1996 venne insignita del Nobel- , e racconta che ne fu conquistata leggendo Al mio cuore, di domenica [1] (anche io ne sono stata conquistata). È dai suoi versi che emerge il perché valga la pena di ricominciare: appena sotto un’apparente facilità (come ha sostenuto anche Umberto Eco), lei ci dona un mutamento di prospettiva che non solo ci fa sentire meno soli, ma illumina dettagli –in una continuità tra esseri umani, animali, pietre- che toccano la nostra disponibilità mentale a vedere e vederci come non eravamo mai riusciti a dirci. Il suo è un impegno non dichiarato, ma totale e, come conclude poi Alfonso Berardinelli, disturba una certa idea “alta” di poesia proponendo un impiego spregiudicato, umoristico, irriverente anche e dialettico (in senso hegeliano-marxista)  della lingua, usata in tutta la sua varietà e capace, quindi,  di far scoprire al lettore sensazioni ed emozioni che aveva ma che non sapeva nominare.

Ho lasciato in sospeso il miracolo, che mi riservo per la fine: Donatella Bremer racconta che Szymborska amava andare all’Ermitage per guardare un solo quadro: Il figliol prodigo di Rembrandt. Me la immagino, seduta, a dare tutta se stessa per quel solo quadro: è in quella capacità di essere interamente in un’unica realtà, di farsi quell’unica realtà, che risiede la grandezza di questa donna. E cosa scopre, il suo sguardo, nel quadro? Che il figlio non dà le spalle allo spettatore, ma vi si identifica, gli si mette a fianco, per avvicinarlo a sé; che le mani del padre –il cui sguardo è cieco dal tanto scrutare- sono diverse fra loro: una è maschile, l’altra, femminile. È in questo stupore che nasce la poesia. Si guarda una cosa, una cosa qualsiasi e questa stessa cosa si comincia a modificare sotto i nostri occhi, e noi ci modifichiamo insieme a lei…e no, non siamo più soli, e sì, vale la pena ricominciare.

[1] Ti ringrazio, cuore mio:

non ciondoli, ti dai da fare

senza lusinghe, senza premio,

per innata diligenza.

Hai settanta meriti al minuto.

Ogni tua sistole

è come spingere una barca

in mare aperto

per un viaggio intorno al mondo.

Ti ringrazio, cuore mio:

volta per volta

mi estrai dal tutto,

separata anche nel sonno.

Badi che sognando non trapassi in quel volo,

nel volo

per cui non occorrono le ali.

Ti ringrazio, cuore mio:

mi sono svegliata di nuovo

e benché sia domenica,

giorno di riposo,

sotto le costole

continua il solito viavai prefestivo.

 

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Giulietta Stirati, docente di materie letterarie e latino in un Liceo romano. Appassionata da sempre alla lettura, ha fatto di questa attività, declinata nelle sue funzioni più ampie e profonde, il senso del proprio mestiere. Insegnare è insegnare a leggere il mondo, sé stessi, gli altri. Attraverso la trasmissione del sapere si educa a leggere, a scegliere che vita si vuole.

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