Il riscatto dalla certezza

Immagine per Nicole Krauss
Libri Come 2018 Nicole Krauss ©Fondazione-MusicaPerRoma Musacchio, Ianniello & Pasqualini
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Libri Come 2018 Nicole Krauss ©Fondazione-MusicaPerRoma Musacchio, Ianniello & Pasqualini

Wlodek Goldkorn intervista Nicole Krauss, autrice di Selva oscura (Guanda) e ospite della manifestazione.

Devo dire che quando scelgo un evento da seguire mi affido sempre a un istinto inconsapevole ma fortissimo, che mi guida ogni volta verso una scoperta meravigliosa. E oggi il piccolo miracolo si è ripetuto: in un certo senso, si è duplicato. Perché man mano che il dialogo si snodava tra concetti come certezza, trascendenza, selva, deserto, smarrimento, stupore, io scoprivo che loro parlavano non solo a me, ma di me.

I protagonisti del romanzo sono due: non si conoscono, ma – ciascuno a proprio modo – scoprono qualcosa di importante giungendovi per le personali e misteriose vie che la vita di ciascuno si trova a percorrere. Il ricco avvocato ebreo newyorkese Jules Epstein scopre che il possesso di beni, ricchezze, posizioni è diventato per lui un limite e sceglie l’abbandono (anche fisico) delle certezze e delle conoscenze per addentrarsi nella selva della trascendenza. La scrittrice Nicole è alla ricerca del vero Kafka, quello che è stato messo in ombra da Max Brod, amico di Kafka e curatore della pubblicazione delle sue opere. Entrambi si trovano a Tel Aviv, in un luogo che è contraddittorio di per sé, e in un particolare luogo di Tel Aviv: l’hotel Hilton, massiccio monumento a quelle certezze che entrambi stanno scegliendo di abbandonare, per immettersi in un flusso che non è più lineare, ma circolare.

Alle solide evidenze degli oggetti preferiscono lo stupore, all’illusione del possesso –di beni, oggetti, conoscenze- preferiscono la selva oscura, che è oscura soltanto perché è ignota. La selva, all’opposto della città -simboleggiata dal mastodontico hotel -, simboleggia la possibilità di entrare nell’ignoto e di lasciarsene cambiare.

Quando si parla di un libro non si parla mai soltanto del libro, si sa. E il dialogo che si è dipanato intorno a questa storia mette in moto e richiama in vita esperienze, culture e personaggi apparentemente lontanissimi fra di loro. E, soprattutto, libera chi parla e chi ascolta dalla morsa dell’«unica realtà possibile». Anche noi, come Jules Epstein, sentiamo il bisogno di smetterla di volgere le spalle all’ignoto e sentire, invece, la meraviglia. Tuffarsi nel dubbio, come fanno i personaggi, è un modo per uscire dalla prigione della materialità e permetterci di scoprire che la realtà –tutta: quella che viviamo e quella di cui abbiamo notizia o di cui diamo notizia- è solo  una delle tante.

Se accettiamo la possibilità che quello che chiameremmo altrimenti fallimento sia invece la possibilità di lasciarci cambiare, scopriamo che la selva dai confini indistinti e senza tracciati e il deserto –che etimologicamente viene dal verbo desero, is, deserui, desertum, deserere cioè abbandonare- sono i luoghi-non luoghi ideali per incontrare il possibile, il trascendente. Non si tratta di religione: si tratta di scegliere che quel che vediamo, sentiamo, abbiamo e crediamo non sia che una delle possibilità, se siamo disposti a entrare nella zona incerta, e perderci.

Mentre lui cerca la trascendenza, entra in contatto con la dottrina cabalistica detta tzim-tzum; mentre lei cerca il vero Kafka, il Kafka che –stando a certe cose scritte da lui- è fuggito in Israele e lì è rimasto a vivere sotto altro nome, entra in contatto con un’altra grande dottrina cabalistica, il gilgul. Si tratta di dottrine della trascendenza, e che rimandano entrambe all’idea di una realtà creativa e circolare: Dio si ritrae per lasciare parte della creazione agli uomini, e le anime sono in un continuo movimento circolare nell’infinito mare dell’essere. Quest’uomo e questa donna ci stanno dicendo che il nostro io si espande nel momento in cui rinunciamo alla limitazione che ci autoimponiamo: limitazione che consiste principalmente nelle parole che usiamo per definirci e per definire.

Se accettiamo la possibilità di una mancanza della forma, siamo liberi di espanderci e di sperimentare altri mondi, altrettanto veri rispetto a quello in cui ci troviamo. E c’è un modo, per farlo: scrivere. La letteratura, la poesia, il racconto sono modi per ricreare il mondo (e i Greci lo sapevano, e lo sanno i poeti e gli scrittori) e per spezzare le idee costrittive della realtà. Allora Jules Epstein sarà disposto a credere di essere un discendente di re David, e Nicole scoprirà veramente che Kafka, autore egli stesso di un meraviglioso gilgul (a noi noto sotto il nome di Metamorfosi) si è dato, tramite la scrittura, una nuova vita.

Protagonista del romanzo è la letteratura, a cui viene reso questo appassionato omaggio. La letteratura è la selva, è il deserto, è la creatività che, mettendo in dubbio l’univocità della certezza,  ci offre la possibilità di riscattarcene.

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Giulietta Stirati, docente di materie letterarie e latino in un Liceo romano. Appassionata da sempre alla lettura, ha fatto di questa attività, declinata nelle sue funzioni più ampie e profonde, il senso del proprio mestiere. Insegnare è insegnare a leggere il mondo, sé stessi, gli altri. Attraverso la trasmissione del sapere si educa a leggere, a scegliere che vita si vuole.

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