Più Libri Più Liberi 2019 #6. Femminili Singolari. Il femminismo è soprattutto nelle parole.

Femminili Singolari. Questo è il titolo del libro di Vera Gheno, che l’autrice ha presentato alla fiera nazionale della piccola e media editoria Più Libri Più Liberi 2019, giunta alla sua diciottesima edizione.


A prima vista il titolo è nient’altro che un titolo, appunto: interessante, pregnante, e però lascia un interrogativo. Perché singolari? In che senso? Sappiamo bene tutti che l’aggettivo singolare  ha almeno due significati: uno, quello che per primo viene in mente, è elemento costitutivo della coppia singolare-plurale: singolare, uno; plurale, più di uno; il secondo significato, però, marca la specificità della persona o del fatto a cui si riferisce.

È singolare ciò che ha una sua caratteristica irriducibile al resto. È singolare, anche, ciò che è un po’ divergente rispetto alla norma. Ecco, mi piace pensare che quel femminili singolari tragga la sua forza da entrambi i significati; se il femminismo è nelle parole, come leggiamo nel sottotitolo, è pregevole una chiave di lettura che insista sulla singolarità, che è il contrario della conformità a un modello inveterato.

Entriamo nello specifico: il libro è una disamina intelligente e ironica dell’evoluzione del linguaggio in rapporto al femminile e delle resistenze di quanti eccepiscono rispetto alla liceità di certi cambiamenti. L’autrice del libro racconta come è nata l’idea di realizzare un libro politico -perché politico è tutto ciò che riguarda la convivenza civile- sui nomi femminili dei mestieri.

A partire dal suo lavoro di gestrice (sì, si può dire!) dell’account Twitter dell’Accademia della Crusca, ha notato alcuni fatti: tutti gli utenti della rete si sentono autorizzati a dire la loro, indipendentemente dalle conoscenze, la cui autorevolezza viene così a mancare; esiste la possibilità di smontare gli eccepitori -come lei stessa ci dice- metodologicamente scorretti, contestando il merito delle loro affermazioni e non semplicemente accusandoli di odiare le donne.

In questo senso il femminismo è nelle parole. Altro dato da cui partire è che il cambiamento non piace, sicché buona parte delle resistenze -e di odiosi ammiccamenti- al nome architetta sono dovute alla resistenza a cambiare un nome che ha funzionato benissimo per tanto tempo solo al maschile. Il punto è che ora, in mestieri che sono stati per secoli appannaggio di uomini, trovano posto molte donne, e spesso in posizioni apicali. Ancora, altri problemi sorgono quando della lingua si occupa la politica. Cioè, quando si ha a che fare con un potere che la lingua ha veicolato.

Perché, sottolinea l’autrice, la lingua si evolve come conseguenza della realtà.

Non è da oggi che esistono i femminili per i nomi di mestiere: la lingua latina ha parole adattabili sia al maschile sia al femminile. Quindi, il nome femminile per indicare un mestiere non è un neologismo: emerge nel momento in cui serve.

Con un bel carico di studi (tra cui non si possono non citare Alma Sabatini e Cecilia Robustelli), Vera Gheno ci invita a rispondere pacatamente alle stronzate di chi sostiene che allora bisogna dire autisto se a guidare la macchina è un uomo. Con grande intelligenza, ci invita a lasciar stare così come sono certi suffissi ormai funzionanti -anche se non belli- come il suffisso -essa (professore/professoressa: io però vorrei chiamarmi ed essere chiamata professora, perché il suffisso -essa nasce come leggermente dispregiativo rispetto al corrispondente maschile); soprattutto, invita le donne a scegliere come definirsi , ma per i motivi che piacciono a loro, non perché avvocata è meno autorevole.

Serve, questo discorso? Serve, eccome: è dal linguaggio che parte la lapidazione sessista delle donne. Serve parlarne, e insistere chiedendo perché si presenta un fatto o una donna in un certo modo, con certe parole. Il femminicidio -sostantivo accettato dalla Crusca nel 2012 a indicare l’uccisione di una donna in quanto donna– di Elisa Pomarelli è un insulto alla vittima che passa attraverso il linguaggio con cui sono stati definiti lei e il suo assassino -il gigante buono-.

All’origine del femminicidio c’è una dinamica culturale che una pragmatica della lingua può far emergere e può disinnescare. Discutendone, senza obbligo di polarizzare su giusto/sbagliato, senza dovere per forza prendere una posizione, perché così facendo perdiamo il senso di quanto andiamo dicendo e ci preoccupiamo soltanto di distruggere l’avversario.

Per concludere: ricordiamoci che l’Italia non è fatta solo di fratelli, ma anche di sorelle, anche se nell’inno di Mameli non ve n’è traccia.

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Giulietta Stirati, docente di materie letterarie e latino in un Liceo romano. Appassionata da sempre alla lettura, ha fatto di questa attività, declinata nelle sue funzioni più ampie e profonde, il senso del proprio mestiere. Insegnare è insegnare a leggere il mondo, sé stessi, gli altri. Attraverso la trasmissione del sapere si educa a leggere, a scegliere che vita si vuole.

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