L’Arrivo di Saturno di Loredana Lipperini. Quando il falso illumina la verità

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È possibile raccontare la verità – o dare al lettore una chiave per esplorare le stanze labirintiche del palazzo in cui essa abita – attraverso un’altra verità? Certo, si può. La letteratura, come ci dice Loredana Lipperini, ha (anche) questo scopo.

Ma se invece a ricostruire la verità si battesse la via del falso? Non della  menzogna, si badi bene: questa è occultamento, nascondimento. Mentre invece, almeno nell’arte, il falso è creare quello che non c’è, o che non si vede. L’illusione che il falso crea diventa una realtà essa stessa, e chiave di lettura di una babele di eventi che sembrano aver perso le radici.

Sto parlando del libro scritto da Loredana Lipperini: L’arrivo di Saturno e della relazione tra la verità occultata e il falso che rivela.

Il libro non si limita a “raccontare” una storia, ma fa procedere parallelamente fra loro due diverse – e apparentemente irrelate – storie, per poi farle convergere sul piano della forma letteraria. La prima, è la storia – occultata, secretata, senza una verità, senza un corpo – di Graziella De Palo, giornalista di Paese Sera scomparsa  – insieme al suo collega Italo Toni – a Beirut il 2 settembre del 1980 e di cui non si avrà mai più traccia ma tante, tantissime false tracce (tra cui l’accreditamento presso l’ambasciata di Beirut, a nome di Graziella, di Edera Corrà, giornalista di “Nuova cucina” -sic!-); la seconda, è la storia falsa di un vero falsario che, in una sorta di cammino iniziatico, si reca in cima ad un monte nelle Marche per dipingere un “vero” falso Vermeer. In comune le due storie hanno un personaggio: l’amica di Graziella che ha nel paesello delle Marche le proprie radici, e che, incrociando la storia vera del falsario con la ricerca di una verità occultata, prova a dare un senso alla propria storia, alla storia buia degli anni Settanta, al dolore, e al tempo stesso cerca una forma letteraria che sia capace di creare dubbi e porre interrogativi e aperture impreviste laddove la semplificazione narrativa ha prodotto una generazione di non-pensanti.

All’origine vi è un dolore, un dolore nascosto dagli anni, richiamato in superficie da dolori più recenti, da perdite importanti che costringono l’autrice e il suo alter ego letterario a porsi domande sul tempo, sul senso della perdita, e su come sia possibile fare luce nel buio. La storia del falsario, allora, diventa un elemento fondamentale, perché offre non solo una vicenda che ci costringe a distinguere tra falso e menzogna, ma anche – e soprattutto – ci restituisce (sì, sì, ci restituisce) una chiave figurale per entrare nella complessità e leggerla attraverso un linguaggio e una percezione delle cose che solo una diversa forma della letteratura può provare a dare. Allora, la storia del pittore che vuole riprodurre, in un luogo magico come quello del paesello – un luogo antico, di memorie antiche che però sono presenti -, un quadro di Vermeer, diventa figura (senza perdere la sua realtà) della ricerca dell’amica sopravvissuta alla bufera, di una ricerca che solo la letteratura sa fare, perché la letteratura apre dove la realtà sembra chiudersi sotto una montagna di omissis. E allora, come il falsario entra nel pittore, così la ragazza che cerca di riprendersi il corpo scomparso dell’amica entra nella storia di quel passato e cerca di raccontare cosa significa guardarsi indietro senza quel filtro che cristallizza il passato in qualcosa di immobile (eccola, la menzogna).

La ragazza di allora oggi è una donna che offre ai suoi lettori un dono prezioso: se il corpo di Graziella De Palo non è mai stato ritrovato e la sua memoria è stata impolverata da una narrazione “istituzionale” che non ha manifestato interesse per una dilettante, il racconto letterario è condiviso col lettore, ed egli viene coinvolto nella ricerca della verità, onorando così lo scopo della vita di Graziella, e restituendo corpo alla sua storia.

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Giulietta Stirati, docente di materie letterarie e latino in un Liceo romano. Appassionata da sempre alla lettura, ha fatto di questa attività, declinata nelle sue funzioni più ampie e profonde, il senso del proprio mestiere. Insegnare è insegnare a leggere il mondo, sé stessi, gli altri. Attraverso la trasmissione del sapere si educa a leggere, a scegliere che vita si vuole.

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