Letteratura inaspettata #26. L’albatro di Simona Lo Iacono

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L’albatro di Simona Lo Iacono, cover

Un romanzo straordinariamente geniale è L’albatro (ed. Neri Pozza) di Simona Lo Iacono.

Siracusana, magistrato, scrittrice di successo, finalista al Premio Strega nel 2016 con il romanzo Le streghe di Lenzavacche, ha fatto della scrittura una missione, abbracciando il messaggio lanciato da san Giovanni Paolo II con la sua Lettera agli artisti del 1999. Infatti, sono molteplici le attività che la vedono impegnata nel sociale, ora con i detenuti, ora con i bambini ipovedenti, ora con i giovani, sempre legata all’idea che la scrittura sia fonte di rinascita e di bellezza.

E fonte di bellezza lo è senz’altro se parliamo dei suoi romanzi, fra cui il nuovo con il quale “vola” da una città all’altra dell’Italia dove viene chiamata non solo per l’incantevole scrittura, ma per la sua simpatia e semplicità.

Così, ne L’albatro trova spazio la versatilità, dell’autrice, la forte preparazione, la passione e la sensibilità letteraria che la contraddistinguono. E, trova spazio la storia di un uomo, non un uomo qualunque, bensì la storia del Principe Giuseppe Tomasi di Lampedusa, l’autore de Il Gattopardo.

Questa storia è narrata attraverso due binari temporali: il presente e il passato, descritta da un’unica voce quella  dello stesso principe che, nella clinica romana, ormai prossimo alla fine, scrive il suo diario incoraggiato dalla moglie Licy. E, proprio perché consapevole di questa “fine”, egli rivede l’infanzia, in una necessità essenziale per affrontare la dimensione dell’uomo maturo, malato, che sta per spegnersi.

La necessità del ricordo, la necessità di cercare nella memoria  l’esistenza propria, dei propri cari, su tutti la madre, della servitù devota, dei luoghi amati, delle tradizioni, di un tempo che fu, si respira in tutto il testo, un testo ricco, vibrante di riflessioni, votato ad un’illuminante  analisi introspettiva che si rivela attraverso l’eccezionale penna dell’autrice.

Così, in un mondo di ricchezza, di palazzi nobiliari, di colori e variopinta umanità, si sviluppa la ciclicità della narrazione,  che ci porta lontano e che ci lascia con la voglia di conoscere più da vicino Antonno, personaggio chiave del testo.

Un bimbo che indossa panni troppo larghi, che legge un libro iniziando dall’ultima pagina, che ha la passione di intagliare pezzetti di legno trovati per caso per farne “lupiceddi”. Stranezze, diremmo, se non ci fosse uno specifico perché per ogni sua azione.

Un personaggio dolcissimo, a cui è data la saggezza per rafforzare la non paura della morte, di un uomo come di un’epoca.

Un personaggio vero o immaginario, non lo sappiamo, sarà la lettura del romanzo  a svelarlo.

A noi, basta viaggiare sulle ali di quell’albatro, come la Lo Iacono, senza pretesa alcuna ma con grande maestrìa, ci insegna tra le pagine di libro che arricchisce l’anima.

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Rita Caramma è giornalista e scrittrice. Per poesia ha pubblicato: “Nella mia ricca solitudine” (Il Filo – Roma – 2005), “Retrospettive dell’inquietudine” (Zona - Arezzo – 2008), “Ti parlerò d’amor” (Drepanum – Trapani – 2016), “Parole di carta, parole di cartone” (Youcanprint – 2018). Per la narrativa il racconto lungo “Tecla” (Youcanprint – 2019). Per il teatro: “Una vestale di nome Ginevra” (Zona – 2010) e “Respiri migranti” (CR – Acireale – 2018), di quest’ultimo ha curato anche la regia. Ha scritto le favole in rima “Il ragno” (Arteincircolo 2007) e “Gelsomina” (Youcanprint – 2018). Ha curato diverse antologie di poesie e racconti. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti a livello nazionale, fra questi nel 2010 le è stato conferito il premio “Ercole Patti” per il suo impegno culturale.

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