La poesia che resiste #13. Maternità marina. Silvia Rosa e Valeria Bianchi Mian raccontano della poesia e dell’immagine nel femminile collettivo

immagine per Maternità marina

immagine per Maternità marinaÈ un lavoro corale intriso di delicatezza, forza, abbandono e visione piena del reale. È un dialogo tra voci che si stemperano in cifre poetiche differenti ma tutte importanti raccolte in Maternità marina (Terra d’ulivi edizioni) a cura di Silvia Rosa e Valeria Bianchi Mian.

E con Silvia Rosa abbiamo parlato di  questo progetto che prende vita da una poltrona di pelle rossa abbandonata sugli scogli… e che si inserisce in un personale percorso artistico della curatrice:

La poltrona di pelle rossa abbandonata sugli scogli è una visione in cui mi sono imbattuta per caso, e come a volte capita la casualità ha innestato un processo creativo, convogliando alcune istanze e alcuni contenuti inconsci che premevano in me per essere nominati e rappresentati in una qualche maniera.

Era il 2011 e io mi trovavo in vacanza in una bellissima regione del Sud, che frequentavo ogni estate. Una mattina, mentre passeggiavo in riva al mare, nella luce abbacinante d’agosto, ho visto la poltrona adagiata sugli scogli, scolorita e malconcia. Mi sono fermata a osservarla, era ancora così accogliente, nonostante tutto, veniva voglia di addormentarsi sul suo dorso sdrucito.

Poi all’improvviso ho immaginato – come fosse reale – una giovane donna vestita di bianco, seduta su quella poltrona, con la veste arrossata dal sangue del parto, e a questa immagine primigenia ne sono seguite altre, un racconto intero, una specie di fiaba, a cui ho sentito il bisogno di dare concretezza attraverso la fotografia.

Ecco, la poltrona è stato il fil rouge che ha tenuto insieme tutte e tre le sezioni della storia e del lavoro fotografico: la prima in cui fiorisce tra gli ulivi secolari, la seconda in cui è immersa nella brulla campagna, e l’ultima in cui appare tra mare e scogli. L’ordine con cui ho scattato le foto è stato inverso rispetto al montaggio che figura nell’antologia, ma tale dettaglio sottolinea una volta di più la circolarità rituale e alchemica che attraversa questa narrazione simbolica di nascita-morte-rinascita (e via all’infinito).”

Ma dalle foto all’antologia il passo non è breve:

In realtà quando la serie fotografica ha visto la luce, non avevo ancora idea di come impiegarla, Maternità marina allora era solo il titolo di un racconto di donne, di ventre e di morte, l’antologia è stata ideata molto tempo dopo, ha avuto una gestazione lunghissima, un decennio in cui intanto mi sono dedicata ad altre esperienze di scrittura.

Quando ormai non stavo più prendendo in considerazione l’idea di dare seguito al guizzo creativo iniziale, ne ho parlato per caso (un’altra casualità felice!) a Valeria Bianchi Mian, con cui curo il progetto Medicamenta – lingua di donna e altre scritture, e insieme abbiamo iniziato a ragionarci su.

Solo quando ho sottratto la serie fotografica dall’oblio in cui l’avevo relegata e ho condiviso questa visione con Valeria e poi con le altre poete invitate a scrivere, solo in quel momento è stato davvero gettato il seme da cui l’opera Maternità marina è sbocciata.

Siccome alla fine è un’antologia corale al femminile,  e le due curatrici siamo io e Valeria, è venuto naturale inserirla a pieno titolo nelle attività che fanno capo a Medicamenta  ̶  lingua di donna e altre scritture, un progetto di ampio respiro, nato un lustro fa, che si declina in laboratori, gruppi di formazione, eventi e performance,  lavorando al confine tra individuale e collettivo, sui temi caldi della vita femminile, come dipendenza affettiva, violenza di genere, il difficile cammino di ricomposizione dell’identità a seguito del trauma migratorio, le crisi psicologiche che costellano le fasi della vita, dalla giovinezza alla maternità, dalla menopausa all’anzianità.

Il tronco del progetto affonda nella terra fertile delle nostre differenti formazioni – psicoterapeuta e psicodrammatista (Valeria), educatrice e insegnante io.”.

Nella postfazione al testo, Sandra Baruzzi, tra l’altro scrive:

(…) La particolarità della pubblicazione è la contaminazione fertile, la trasformazione e il passaggio continuo tra un territorio artistico e l’altro (…).

Una contaminazione, quindi, che arricchisce e che diviene essenziale:  “Fondere insieme fotografia poesia e illustrazione – continua Silvia – non è da intendersi solo come un’operazione che accosta differenti modalità artistiche, dal momento che il risultato finale è molto più della mera somma dei vari elementi implicati: si tratta infatti di un esito che li supera e li rigenera in un elaborato più ampio, da cui non è più possibile separare e scindere le singole parti.

immagine per Maternità marinaTra l’altro la relazione tra fotografia e poesia per me non riguarda solo la feconda commistione dei due linguaggi in un unico libro, come nel caso di Maternità marina: la poesia è già di suo ricolma di immagini (similitudini e metafore) che arrivano dal mondo esterno e dalla memoria e generano una torsione dello sguardo e un nuovo punto di vista, che ne porta con sé numerosi altri.

Trovo poi moltissime analogie tra il lavoro del poeta e quello del fotografo. Personalmente adoro la fotografia, in particolare quella surreale, onirica, dalle atmosfere inquiete, che stravolge la prospettiva usuale, spalancandola verso altre dimensioni, una fotografia costruita con scenografie fantastiche e personaggi improbabili.

Spesso in passato ho collaborato con artisti e fotografi, scrivendo poesie per dare voce ai loro scatti. Con Maternità marina è successo il contrario, ho chiamato a raccolta trenta autrici per animare con i propri versi le foto da me scattate. La scelta è ricaduta su di loro perché ne apprezzo la poetica, ma anche perché sapevo che qualcuna aveva già esperienza di scrittura a partire da uno stimolo fotografico, e molto spesso anche una poliedrica personalità di poeta e artista: si tratta dunque di autrici aduse a confrontarsi con molteplici linguaggi.

A completare e ad arricchire il confronto tra immagini e poesie ci ha pensato Valeria, ideando un racconto grafico che riscrive la storia di significati ulteriori, attraverso la creazione di inserti che ricamano le fotografie e di illustrazioni che puntellano i versi, come una sorta di sottotesto che accompagna la narrazione poetica.”

E, se la parola poetica diviene metafora di pensiero, chiediamo alla scrittrice da dove la stessa può trarre forza nell’attuale:

Da un lato dal quotidiano e dalle esperienze che lo costellano, dall’altro dalle immagini oniriche, dai simboli disseminati in ogni dove, dall’arte in genere, con cui nutrire il proprio mondo interiore per dare vita a inedite visioni che incidono sul linguaggio, in un circolo virtuoso che unisce in sé il piano reale e quello immaginifico, la coscienza individuale e l’inconscio collettivo, alla ricerca di nuove interpretazioni e originali scenari di senso.

L’intreccio tra individuale e collettivo si evidenzia ogni volta che la parola poetica diventa universale. Per me la poesia è il luogo della cura, in cui provare a mettere insieme tutti gli elementi della realtà creando una composizione inedita, una nuova prospettiva, una differente rielaborazione degli stessi, – a partire dal proprio personale punto di vista – un mondo distinto che non è evasione, ma capovolgimento salvifico e illuminante.

La poesia è anche il luogo della memoria e dell’incontro, in cui le storie così riscritte e narrate sono consegnate allo sguardo di chi le legge e decide se farle proprie o meno, identificandosi in esse, prestando loro una voce altra che le rinnovi e le tenga in vita.

Quindi, nel momento in cui si scrive poesia e si mette nero su bianco qualcosa, ecco che quel qualcosa non è fissato immobile sulla carta, non resta identico a sé stesso, non inchioda il sentire anzi lo libera, perché tutto in poesia assume un’esistenza autonoma, misteriosa, e si mischia alle infinite declinazioni del dire e del dirsi, diventa una narrazione corale, condivisa, universale, simbolica.

La poesia trae la sua forza anche dall’aderenza a una verità che va ricercata costantemente e coltivata non solo come esercizio di stile, ma come modalità cardine di stare al mondo, di conoscerlo, nel gesto di dare un nome e una forma al non detto, intanto che si fa esperienza di sé nelle numerose e imprevedibili trasformazioni che comporta l’attraversare il fiume in piena dell’esistenza.”

All’interno di questo pregevole lavoro, oltre gli scatti fotografici con le modelle “per caso” Natali e nonna Fiorina, troviamo i testi intensi delle poete: Franca Alaimo, Sandra Baruzzi,  Vera Bonaccini, Angela Bonanno, Claudia Brigato, Martina Campi, Paola Casulli, Mirella Ciprea Crapanzano, Flaminia Cruciani, Alessia D’Errigo, Lella De Marchi, Francesca Del Moro, Laura Di Corcia, Claudia Di Palma, Alba Gnazi, Ksenja Laginja, Anna Lamberti-Bocconi, Daìta Martinez, Silvia Maria Molesini, Gabriella Montanari, Renata Morresi, Daniela Pericone, Valeria Raimondi, Anna Ruotolo, Silvia Secco, Francesca Serragnoli, Enza Silvestrini, Claudia Sogno, Alma Spina, Antonella Taravella, Claudia Zironi.

A rappresentare qui i loro testi bellissimi, luoghi dell’anima, i versi della Spina:

Un tempo fui donna e uomo
on spalle grandi e calli sulle mani.
Un tempo fui pentola calda sul fuoco.
Sole e luna fui.
Fui campo di battaglia
salmo in maggiore
anto di stagione.
Un tempo fui mulattiera
roccia che muta
la bambina col soldino in tasca.
Fui rapimento
eccessiva bellezza
la croce del Santo.
Un tempo fui grano e fatica.
Senz’altro fui madre. Madre fui
e non temo tempesta.

 

+ ARTICOLI

Rita Caramma è giornalista e scrittrice. Per poesia ha pubblicato: “Nella mia ricca solitudine” (Il Filo – Roma – 2005), “Retrospettive dell’inquietudine” (Zona - Arezzo – 2008), “Ti parlerò d’amor” (Drepanum – Trapani – 2016), “Parole di carta, parole di cartone” (Youcanprint – 2018). Per la narrativa il racconto lungo “Tecla” (Youcanprint – 2019). Per il teatro: “Una vestale di nome Ginevra” (Zona – 2010) e “Respiri migranti” (CR – Acireale – 2018), di quest’ultimo ha curato anche la regia. Ha scritto le favole in rima “Il ragno” (Arteincircolo 2007) e “Gelsomina” (Youcanprint – 2018). Ha curato diverse antologie di poesie e racconti. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti a livello nazionale, fra questi nel 2010 le è stato conferito il premio “Ercole Patti” per il suo impegno culturale.

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e statistici. Cliccando su "Accetta" autorizzi tutti i cookie. Cliccando su "Rifiuta" o sulla X rifiuterai tutti i cookie eccetto quelli necessari per il corretto funzionamento del sito. Cliccando su "Personalizza" è possibile selezionare quali cookie attivare.