Maurizio Nannucci per Hypermaremma IV edizione. Contributo di Lorenzo Bruni

immagine per Maurizio Nannucci Hypermaremma, Ships That Pass In The Night

L’installazione di Maurizio Nannucci per la rocca di Talamone si manifesta tramite un lettering che rende la comprensione della frase Ships that pass in the night “instantanea e universale”.

A questa prima impressione subentra poi, però, la presenza del neon di luce blu che definisce la frase e che ne espande la forma introducendoci ad una dimensione enigmatica e ad una percezione lenta, del tutto inaspettata.

È così che un segno e un codice linguistico sono trasformati in un’immagine e viceversa. Tali tensioni concettuali e percettive, poste in contrasto dialettico, influiscono in maniera radicale anche sul senso del messaggio, spostando il tutto in un territorio aperto a molteplici significati.

Non viene semplicemente sottolineato “il fatto” di una nave nella notte, bensì evocate le tante immagini mentali legate a tutte le navi della storia, che si stratificano a loro volta a quelle potenzialmente future. Ovvero, si dà corpo all’immaginario attorno alla notte e alla dimensione del sogno, territorio limitrofo a cosa può essere considerato certo o potenziale.

Quello che viene chiamato in causa con quest’intervento ambientale è direttamente il desiderio del viaggio, la felicità dei naviganti di rivedere la terraferma, la paura e la curiosità dell’ignoto, fino al dialogo che l’occhio dello spettatore è portato a istaurare in quel luogo guardando avanti e indietro tra l’orizzonte del mare e la rocca.

Non si tratta soltanto di una riflessione sulla filosofia del linguaggio e dell’arte, ma su come tutti noi osservatori possiamo contribuire, in maniera attiva, a tale dibattito.

La frase Ships that pass in the night è stata concepita per la prima volta dall’artista nel 1972 in quanto testo disposto su un’unica linea, come tutti gli altri statement della sua famosa “antologia”. Ogni volta, tuttavia, Nannucci riesce a creare un’opera perfettamente site specific, come nel caso della composizione pensata appositamente per Talamone.

In questo caso il messaggio, oltre ad aprirsi per mezzo del tubo di neon ad una prospettiva meta-narrativa e concettuale, e non solo informativa, propone al fruitore di immergersi in “un’esperienza in presa diretta”. Esperienza instillata dal dialogo che il testo crea tra l’osservatore e l’architettura storica della rocca, capace di suggerire nuovi processi mentali con cui ri-pensarla, osservarla e viverla.

È così che l’avamposto fortificato costruito nel Medioevo come difesa dalla presenza dell’estraneo, acquista, grazie all’intervento di Nannucci, una nuova funzione. Quella fortificazione, piuttosto che essere un limite invalicabile, diventa un luogo di incontro a livello sia mentale che fisico.

Infatti, l’intervento di Nannucci, minimale ma pieno di poesia, porta l’osservatore a interrogarsi non soltanto sul rapporto tra vero e possibile, tra sogno e realtà, tra immagine e concetto, ma anche su chi si assume la responsabilità di accorgersi del transito di quella nave nella notte, vero o desiderato che sia.

La notte che è chiamata in causa dall’affermazione in questione, d’altra parte, è il momento in cui lo strumento della vista per una verifica oggettiva viene meno. L’artista ci ricorda che proprio la notte è il tempo dell’incertezza, la condizione che l’uomo ha cercato di de-potenziare con la luce artificiale e oggi con i sistemi di GPS.

Tuttavia, la notte è anche l’occasione di iniziare nuovamente a immaginare, e non solo a razionalizzare, il mondo. Come afferma l’artista stesso: ho pensato alla luce blu del neon come a una sorta di interfaccia tra realtà e visione, tra cultura e natura, tra tempo e spazio. 

Quella che Nannucci ha realizzato per la quarta edizione di Hypermaremma è un’installazione che punta a far analizzare la natura del linguaggio dell’arte, ma anche il meccanismo della comunicazione solipsistica tipica del tempo dei social media.

L’artista, che inizia il suo percorso artistico durante le rivoluzioni – tecnologiche, artistiche, sociali e politiche – degli anni Sessanta risponde, ieri come oggi, con una pratica legata alla “poesia concreta” (movimento internazionale a cui prese parte) assieme ad una esigenza di intervenire nello spazio pubblico con il quale creare un dibattito senza filtri tra arte e vita.

Le opere pubbliche di Nannucci, come quella permanente al Maxxi di Roma del 2015, sono famose in tutto il mondo per il modo in cui permettono di ripensare al concetto di spazio e di bene collettivo.

Nel lavoro della Rocca di Talamone subentra anche un aspetto intimo, simile come dimensione a uno dei suoi interventi del 1969. L’installazione in questione, dal titolo “Red line”, consisteva in una linea di neon rosso, collocata sul muro a livello del suolo stradale, che trasformava una strada anonima di Firenze in un luogo di incontro dove il cittadino poteva prendere maggiore coscienza del suo rapporto con l’attorno e con “l’altro diverso da sé”.

Le opere che Nannucci ha realizzato in cinquant’anni di ricerca, come quella per Talamone, ci ricordano l’importanza di non fermarci alla prima impressione dell’opera o del messaggio, ma di analizzare le sue ambiguità affinché si possa osservare con più coscienza non solo l’arte e la vita di tutti i giorni, ma soprattutto il nostro modo di contribuirvi al fine di un dialogo corale e condiviso.

L’intervista

Lorenzo Bruni: La tua indagine sul linguaggio inizia nel corso degli anni sessanta quando adotti la macchina da scrivere e la pagina del foglio A4 per le tue prime opere dei “Dattilogrammi” del 1964. E’ il tuo modo di contribuire alla “Poesia Concreta”. Come nasce questa tua esigenza di sperimentazione di altri medium che avviene in un panorama culturale in grande fermento a livello internazionale?

Maurizio Nannucci: La mia esperienza con la macchina da scrivere e con la poesia concreta era legata alla possibilità di agire in un territorio più ampio. Oggi parleremmo di metodo interdisciplinare o dialogo tra cultura elitaria e altre ricerche. In realtà per me si tratta sempre di lavorare in maniera libera senza restrizioni, di ridurre al minimo l’aspetto iconico-intuitivo.

Quello della Poesia Concreta è lo stesso periodo in cui avviene la mia partecipazione, dal 1965 al 1969, allo studio di fonologia musicale s2fm del conservatorio di Firenze in cui realizzavo composizioni elettroniche utilizzando la voce come struttura sonora.

Sono stati due ambiti di ricerca che ti proiettavano immediatamente in un contesto internazionale. È il fermento di cui parlavi. Sono stato a lavorare nello studio di Stockhausen a Colonia, ma ho frequentato anche altre città come Berlino, Londra, Stoccolma e Graz.

Ho tenuto un’intenso scambio con poeti, artisti e intellettuali in tutto il mondo, impegnati nell’ambito di ricerche sperimentali e multimediali. Era il potere del francobollo e della posta di superare non solo le distanze, ma anche i confini nazionali spesso altrimenti invalicabili. Erano gli anni in cui mantenevo un doppio curriculum perché uno legato alle esperienze sonore e uno a quelle dell’arte visiva.

Il francobollo, quindi, per chi lo sapeva usare era il web di oggi…parlami ancora della tua sperimentazione in ambito sonoro e del rapporto con la scrittura e l’uso della parola.

Con le ricerche sonore ho sperimentato l’idea di lavorare in equipe, in gruppo, dove sei portato a mettere in gioco la tua individualità per realizzare un lavoro collettivo condiviso. Pratica che ho trasferito immediatamente ad altri miei progetti come quelli di tipo editoriale con le edizioni Exempla e con l’etichetta discografica Recorthings, e poi con la fondazione di collettivi e di spazi non profit da Zona al recente Base / progetti per l’arte.

Parlando dell’esperienza della Poesia Concreta realizzo i primi dattilogrammi nel 1964 con una Olivetti lettera 22. Scrivendo e ripetendo lettere, segni e parole. Reitero la parola nero con inchiostro nero per visualizzare sul foglio A4 delle composizioni in diagonale o delle griglie descrivevo i limiti e le potenzialità non solo della macchina da scrivere e del foglio, ma anche del messaggio e della possibilità di visualizzare dei concetti.

La macchina da scrivere e un piccolo tavolo sono stati per due anni il mio studio, il mio medium che mi permetteva di prendere distanza dalla pittura, dal disegno, dalle pratiche dell’arte in senso classico. Riduco al minimo per ottenere il massimo di libertà compositiva pur nelle regole del foglio.

Il passaggio dalla lettera scritta a macchina a quella luminosa del neon avviene in modo naturale…

Il passaggio all’uso del neon è dovuto in parte alla ricerca di un confronto con lo spazio fisico dell’architettura che trascendesse quelli del foglio di carta, ma anche per trovare un nuovo senso alla luce del colore che sperimentavo con i dattilogrammi.

Anche se dal 1964 mi ero allontanato dal colore della pittura lo recupero con i mezzi di riproduzione di massa ovvero preparando delle immagini di carta A4 facendogli fare un passaggio di inchiostro rosso o con altri colori. Su questo foglio scrivevo con la macchina da scrivere ripetendo la parola rosso.

In questo caso sperimento il passaggio del segno, della doppia stesura monocroma del colore, che rendeva il testo luminoso e quasi impalpabile. Ecco cosa mi porta ad adottare per i miei testi la luce del tubo del neon.

Possiamo dire che bilancio la mia riflessione concettuale sulla scrittura e il linguaggio con una dimensione dell’esperienza tramite il colore e la luce.

Mi è sempre interessato lo spazio urbano per uscire dai luoghi consueti dell’arte e aprire nuove riflessioni possibili su di essa. La mia attenzione è sempre rivolta ad una analisi dell’atto creativo, della sua necessità e modalità di condivisione.

Ripensando ad alcuni tuoi lavori mi viene in mente un particolare collegamento tra l’installazione che hai realizzato per Hypermaremma e gli interventi diffusi sugli imbarcaderi di tutta la città della laguna di Venezia per la biennale di architettura nel 2000 dal titolo: transit, a light journey.

È una serie di scritte in neon nelle varie lingue dei popoli che si affacciano sul Mediterraneo poste sugli imbarcaderi dei vaporetti. E’ un viaggio in parallelo con la storia aperto alla contemporaneità.

Info

  • Hypermaremma – IV edizione
  • Maurizio Nannucci Ships that pass in the night
  • 04.06 – 30.08.2022
  • Rocca Aldobrandesca di Talamone
  • Coordinates: 42.5527088, 11.1314383
  • Comunicazione – Matteo d’Aloja matteo@hypermaremma.com
  • Organizational Manager – Beatrice Benella info@hypermaremma.com
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