Festival Internazionale del Film di Roma 2013. Dallas Buyers Club

Festival Internazionale del Cinema di Roma - Jared Leto

Continua l’appuntamento con il Festival Internazionale del Film di Roma che ha proposto due opere in Concorso che non rimarranno invisibili agli occhi dell’Auditorium (e, si spera, della Giuria): Dallas Buyers Club di Jean-Marc Vallée e Her di Spike Jonze, il primo dei quali, a dire il vero, è già stato insignito del Vanity Fair International Award for Cinematic Excellence (lo scorso anno attribuito al bellissimo film d’animazione Rise of the Guardians).

Se Her è un racconto romantico, dalle sfumature effetto polaroid seppur ambientato in un futuro prossimo, Dallas Buyers Club è la fotografia di una storia vera, la storia di un uomo (ma al contempo di molti) che nel 1986 intraprese la battaglia contro l’AIDS, la disinformazione (sua e degli altri) e l’FDA – Food and Drug Administration. Il luogo dello scontro tra titani è Dallas, una città in quell’angolo d’America, il Texas, che metteva all’angolo i suoi figli disperati. Ironico, per uno Stato il cui nome deriva dalla parola “amici” (tejas). Ma erano gli anni Ottanta, il mondo era un posto diverso, e anche l’America lo era. L’HIV, poi, era considerato il virus degli omosessuali. Solo, degli omosessuali.

L’uomo, invece, è Ron Woodroof (Matthew McConaughey), elettricista texano appassionato di rodei, eterosessuale, omofobo, cocainomane, magrissimo e solitamente più sbronzo che sobrio. L’AIDS, senza che lui ancora lo sappia, lo sta logorando. Gli scarnifica il corpo e la mente senza che riesca a mettervi un freno. Nemmeno l’abuso di droga e alcool sembra giovargli. L’unica soluzione è farsi visitare da un dottore. Da qui, dalle risposte del referto (HIV: positivo), prende slancio questa storia amara fatta di incontri e scontri. Ron conosce Rayon (Jared Leto), transessuale sieropositivo, mentre si sta sottoponendo a delle cure alternative nell’ospedale dove lavora la dottoressa Eve Sack (Jennifer Garner) che rimarrà accanto a entrambi, dimostrandosi lungimirante e amorevole. Quelli sono gli anni della sperimentazione, in cui un malato di AIDS aveva i giorni contati. E per questo era disposto a provare qualunque medicina pur di sopravvivere ancora un po’.

A Ron sarebbero dovuti toccare in sorte 30 giorni di vita. Forse. Ne passa molti sbronzo, strafatto, intossicato dall’ATZ, medicinale che sembra essere l’unica via di scampo alla morte. Ma non funziona. Così Ron e Rayon formano il Dallas Buyers Club, attraverso cui forniscono ai propri soci (paganti) cure alternative a quelle approvate dall’FDA. Sarà un percorso lastricato di difficoltà, di rifiuti, di ispezioni, di normative da aggirare, di viaggi intorno al globo alla ricerca di fiale e vitamine proibite in patria e, puntualmente, di interrogatori. Un percorso durante il quale Ron non diventerà un altro da se stesso: rimarrà un rude texano, appassionato di rodei, eterosessuale e omofobo. Smusserà, è vero, qualche angolo, andrà oltre le parrucche e gli ombretti appariscenti di Rayon nel quale troverà un amico. Un compagno di viaggio gentile, acuto e fragile. Una seconda famiglia. Tuttavia, da diavolo non diventerà angelo. Non è la Terra il posto adatto per portare le ali.

Ron Woodroof è rimasto in vita per 2555 giorni (7 anni), sfidando ogni previsione, specie di chi lo aveva dato per spacciato in trenta. Ha fatto parte di quel 17% di persone che hanno contratto l’AIDS attraverso rapporti sessuali non protetti. La sua battaglia – e di chi, come lui, ha saputo credere in un orizzonte diverso – per far ammettere dall’FDA cure alternative al solo ATZ (tuttora somministrato, ma in dosi minime e insieme ad altri farmaci) è uno dei tanti tasselli che permettono oggi a una persona sieropositiva di avere un’aspettativa di vita incerta. Come tutti. Nessuno può dire quando finirà, prescrivere una data di scadenza. Ma, piuttosto, garantire le cure migliori affinché, quel giorno, sia il più tardi possibile.

Non mi stupirebbe, in conclusione, veder assegnato al film di Vallée qualche altro premio, che magari riconosca la destabilizzante bravura di Matthew McConaughey quanto di Jared Leto (cantante dei 30 Seconds to Mars, oltre che attore) entrambi calatisi in panni decisamente non loro, eppure vestiti così dignitosamente. Così intelligentemente. Tuttavia la sfida è dura, vedremo chi l’avrà vinta.

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Giornalista pubblicista dal 2012, scrive da quando, bambina, le è stato regalato il suo primo diario. Ha scritto a lungo su InStoria.it e ha aiutato manoscritti a diventare libri lavorando in una casa editrice romana, esperienza che ha definito i contorni dei suoi interessi influendo, inevitabilmente, sul suo percorso nel giornalismo. Nel 2013 ha collaborato con il mensile Leggere:tutti ma è scrivendo per art a part of cult(ure) che ha potuto trovare il suo posto fra libri, festival e arti. Essere nata nel 1989 le ha sempre dato la strana sensazione di essere “in tempo”, chissà poi per cosa...

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