Più libri più liberi 2013. Il secondo e il terzo giorno.

Zerocalcare - Ph. Federico Manni
Zerocalcare - Ph. Federico Manni
Zerocalcare  - Ph. Federico Manni
Zerocalcare – Ph. Federico Manni

Le giornate del 6 e del 7 dicembre hanno visto avvicendarsi appuntamenti davvero eterogenei. Venerdì la giornata è cominciata con una conferenza sul pricing, con un interesse particolare al campo dell’editoria digitale. Sommariamente, le indagini presentate hanno rilevato come siano proprio le politiche del prezzo a incidere maggiormente sull’economia delle case editrici: azzeccare il giusto prezzo, che sia in linea quindi con il mercato e con i desideri dei lettori-clienti, significa avere quella marcia in più per resistere anche ai colpi feroci della crisi. In particolare per quel che riguarda gli eBook, si è sottolineato come la corretta scontistica rispetto alla versione cartacea del dato titolo, dovrebbe aggirarsi intorno al 30-36 per cento. Ma in Italia, come si saranno accorti i lettori digitali, questa percentuale non viene applicata, facendo risultare così gli eBook ancora troppo costosi (sono stati presi in esame titoli forti di grandi case editrici, e mediamente non si superava il 28%).

Un principio, poi, da non sottovalutare, è che tendenzialmente il lettore-cliente, per possedere un prodotto che abbia maggiori contenuti speciali di qualità è disposto a pagare un po’ di più, facendo in taluni casi sensibilmente lievitare il prezzo finale dell’eBook. Nota a margine: chiaramente si parla di prodotti digitali già perfetti nella struttura, che vogliono portare il lettore ad aumentare la propria esperienza con il prodotto e con la storia. Non vale, insomma, far pagare di più un eBook solo perché ha i metadati inseriti correttamente. Quella è la base. 

Dopodiché, nel pomeriggio è stato presentato En Amazonie. Un infiltrato nel “migliore dei mondi (Kogoi) del giovane giornalista francese Jean-Baptiste Malet. Le dinamiche all’interno dei magazzini francesi (o di altrove) del colosso Amazon sono quelle che credo ognuno di noi possa immaginare pensando a un’azienda di tali dimensioni, che ha come scopo il profitto e la soddisfazione del cliente (senza la quale, il primo punto, sarebbe irrealizzabile), non salvare il mondo. Due concetti, però, mi sono sembrati maggiormente interessanti. Il primo è che “in Amazon non esiste un ritmo di lavoro standard, uguale giorno dopo giorno. In Amazon domani dovrai essere più veloce ed efficiente di ieri“. E questo viene chiesto a degli esseri umani, non a delle macchine. E quando un corpo, alla fine di lunghe notti o giorni passati ad essere sempre più veloci di ieri, si scopre totalmente esausto, basta sostituirlo con un altro, più giovane e disperato del precedente. Ed è questo passaggio a portarci alla riflessione successiva, suggerita sempre da Malet. “Non dobbiamo abituarci a pensare che questo metodo di lavoro sia corretto“. Non dobbiamo assuefarci alla crisi, pensando che sia giusto accettare qualunque condizione pur di ricevere un salario. Perché qui sta il nodo: la gestione d’azienda che impone Amazon ai suoi dipendenti, è (anche) il risultato di politiche mancate o errate, di anni passati sotto il giogo del precariato che di volta in volta ha assunto aspetti diversi cambiando nome e bandiera. Quel che mi ha raggelata è stato pensare, durante tutto l’incontro e il racconto, che quanto stavo sentendo era esattamente la descrizione di qualunque condizione di lavoro in Italia. Il giornalista parlava accalorato e scandalizzato, pur mantenendo un tono pacato e serio. E io rimanevo perplessa, chiedendomi quale fosse lo scoop. L’orrore inimmaginabile. Stavo con la testa piegata da un lato, cercando di vedere il tutto da una prospettiva sbilenca, ma non ci arrivavo. Poi mi sono raddrizzata e ho capito. Ci hanno piegati. Non saprei dare un nome al colpevole, ma qualcuno ci ha piegati. Ci ha insegnato una normalità distorta, e se prima di ieri non rimetteremo la testa in asse, dritta lungo la colonna vertebrale, rimarremo stanchi nell’immobilismo, dimenticati da qualche parte dentro un infinito magazzino, inutili come pacchi ormai svuotati del loro prezioso contenuto. 

Pomeriggio austero, insomma. Poi per fortuna alle 20:00 sono arrivati Simone Conte e Diego “Zoro” Bianchi che hanno liberato tante risate, di cui si aveva tanto bisogno. In una Sala Diamante accalorata e piena hanno presentato Kansas City 1927. Anno II – Dalla Z di Zeman alla A di Andreazzoli (Isbn Edizioni). Si è parlato della protagonista di questo libro: la Roma che, reduce da una passata stagione “tragicomica”, pare quest’anno aver stranamente preso una buona piega (ma non diciamo niente fino a maggio). I due co-autori hanno letto alcune schede tratte dal loro secondogenito, ridendo e facendo ridere di cuore. Schede che altro non sono che il racconto esilarante di due tifosi romanisti delle partite dei giallo-rossi. I calciatori diventano i protagonisti di situazioni e discorsi surreali, e alla fine anche le sconfitte non sembrano poi più tanto amare, specie quando si torna finalmente a vincere il Derby capitolino. A un certo punto è stato “messo in mezzo”… ehm, pardon… chiamato sul palco anche Michele Rech (in arte Zerocalcare), in quanto autore delle illustrazioni all’interno del volume, che fanno da corollario azzeccatissimo a una narrazione già estremamente visiva ed evocativa: vi sembrerà di stare in curva allo stadio, a gioire o soffrire per una passione difficile da capire se non si è stati contagiati, già in età infantile, dal morbo della fede calcistica. Forza Roma! 

L’indomani, sabato 7 dicembre, si torna al Palazzo dei Congressi per ascoltare un intervento del giornalista Marco Damilano. Sarebbe dovuto essere da solo, se non che, a un certo punto, un annuncio in stile supermercato per bambini dispersi, fa sapere che anche Diego Bianchi sarà presente in Sala Diamante. Déjà vu.

Parlare in due dà più aria e più respiro a qualunque dialogo, se poi gli interlocutori sono i sopracitati l’efficacia è assicurata. L’ambiente ricreato è molto simile alla famigliarità che evoca Gazebo (programma in onda su Rai3) condotto da Diego Bianchi. La tematica, poi, è rilevante: “Tra rappresentanza e rappresentazione: piazza, rete, tv“. Si analizza l’uso del corpo – privando il confronto di giudizi valoriali – da parte di Silvio Berlusconi e Beppe Grillo nella comunicazione politica (l’uno sembra statico nella ricerca dell’eterna giovinezza, l’altro sudato e affannato nello scaldare le piazze); si dice che, seppur la politica stia progressivamente abbandonando i luoghi a lei deputati (come le sedi di partito, i congressi e così via), mediamente la partecipazione politica alle urne è maggiore che nei decenni passati. E anche il modo di raccontare il Palazzo sta cambiando attraverso, ad esempio, i social network (gli stessi politici ne fanno un largo uso) ma anche con trasmissioni come Gazebo che, dice Bianchi, non fa altro che far vedere cosa accade in Parlamento in presa diretta, con un tipo di comunicazione certamente diversa da quella dei classici TG (più istituzionali), ma che piace alla gente nella sua schiettezza. L’incotro si conclude con una simpatica esortazione alla manifestazione del voto per le primarie, però qualcosa non torna, come sottolineano umoristicamente Bianchi e Damilano: il totale di chi ha alzato la mano per esprimere la sua preferenza, differisce da quello di chi sarebbe andato effettivamente alle urne… 

Ma ecco che, alle 18, arriva uno dei momenti più attesi della Fiera: la presentazione, ancora in Sala Diamante (quella delle grandi occasioni, come avrete intuito), di Dodici (BAO Publishing), quarta fatica di Zerocalcare. A condurre l’intervista, che diventa un simpatico esame per il pubblico, è il direttore editoriale della BAO, Michele Foschini, che con una squisita vena cinica traghetta gli astanti e l’autore attraverso un incontro piacevole e inusuale. Chi, ad esempio, farà la domanda più sciocca riceverà in premio uno scroscio di applausi… e la gloria immemore, ovviamente. La domanda vincitrice, rivolta all’autore, è stata: «Perché ti chiami Zerocalcare?», ma ho il vago sospetto che il giovine responsabile di siffatta stoltezza fosse ben conscio della risposta. Comunque, per quelle due o quattro persone che ancora non lo sapessero o non lo intuissero, Michele Rech (classe 1983) si chiama Zerocalcare a causa della pubblicità virale di un potente anticalcare. Tempo addietro volle usare come nick quel nome, e da allora non lo ha più “scrostato”. Michele è un ragazzo naturalmente simpatico, che «per sbaglio» è nato altrove rispetto a Rebibbia (Roma, quartiere Ponte Mammolo), dove però è cresciuto e vive ancora. Rebibbia non è solo l’omonimo carcere, ma da questo ha come assorbito un’idea di tempo, di spazio e di vita differenti dal resto della Città. Rebibbia è fatta di casette piccole, due o tre piani al massimo, ed è la causa del diverso formato di Dodici rispetto ai primi tre fumetti. La sua estetica doveva entrare nelle inquadrature, e per questo serviva più spazio. Ma non è solo questo, credo. Il quartogenito è un figlio diverso (si parla di zombie, il protagonista non è più il solito…), che forse prova ad anticipare una storia (famigliare) più complessa ancora, che arriverà quando sarà pronta ad arrivare: nel frattempo, si accettano scommesse. Quando Michele parla si rimane rapiti dal suo modo di dire cose profonde, profondissime con quel tono romanesco, che fa sentire a casa anche un milanese; quel tono di chi sta pian piano realizzando un sogno ma non per questo ha deciso di vivere tra le nuvole, in un olimpo distante e algido. Centosettantamila copie vendute farebbero girare la testa a chiunque, tranne forse a chi, come Zerocalcare, rimane seduto su una sedia, con la testa china – per ore – ad autografare con i “disegnetti” le sue opere finché la folla di lettori non si sarà dissipata del tutto. Può voler dire niente come tutto, ma direi che ci piace così. Infine, perdonatemi, ma apro parentesi personalissima seppur brevissima: grazie per il Piccione, per me ormai un vero esempio di vita e pensiero… 

E ora che il 6 e il 7 sono volati via aspettiamo, ansiosi quanto già malinconici, l’ultimo giorno di Fiera.

 

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Giornalista pubblicista dal 2012, scrive da quando, bambina, le è stato regalato il suo primo diario. Ha scritto a lungo su InStoria.it e ha aiutato manoscritti a diventare libri lavorando in una casa editrice romana, esperienza che ha definito i contorni dei suoi interessi influendo, inevitabilmente, sul suo percorso nel giornalismo. Nel 2013 ha collaborato con il mensile Leggere:tutti ma è scrivendo per art a part of cult(ure) che ha potuto trovare il suo posto fra libri, festival e arti. Essere nata nel 1989 le ha sempre dato la strana sensazione di essere “in tempo”, chissà poi per cosa...

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